Chi ha vinto e chi ha perso in Spagna
Il successo di Pedro Sánchez e dei Socialisti, l'entrata in Parlamento di Vox e la crisi della destra tradizionale: sette cose per capire i risultati delle elezioni di domenica
di Elena Zacchetti
Domenica si sono tenute elezioni anticipate in Spagna, convocate dal primo ministro uscente Pedro Sánchez, del Partito Socialista (PSOE), il principale partito di sinistra spagnolo. I risultati definitivi del voto sono già stati diffusi e sono rilevanti e sorprendenti per diverse ragioni, tra le altre perché sono molto diversi da quelli emersi dalle elezioni del 2016. In poche parole, si può dire che la sinistra è andata molto meglio della destra, che il vero vincitore è stato il PSOE di Sánchez, e che per la prima volta dal ritorno alla democrazia in Spagna un partito di estrema destra è entrato in Parlamento.
Il PSOE è tornato a vincere dopo 11 anni
Il PSOE ha ottenuto un risultato molto positivo: ha vinto le prime elezioni generali dopo 11 anni, ottenendo il 29 per cento dei voti (pari a 123 seggi) e diventando di gran lunga la prima forza politica nel nuovo Parlamento spagnolo. È stato il primo partito in tutte le comunità autonome (le regioni in cui è divisa la Spagna), ad eccezione di Catalogna, Paesi Baschi, Navarra e Melilla. Rispetto alle ultime elezioni, i Socialisti hanno guadagnato 38 seggi e soprattutto sono venuti fuori da una crisi che sembrava irreversibile e che li aveva portati a toccare il punto più basso della loro storia.
Sánchez ha vinto su tutti i fronti e ha imposto la sua linea a quella corrente del PSOE che nel 2016 aveva cercato di sostituirlo con l’andalusa Susana Díaz, non riuscendoci: in particolare sembra che abbia allargato i consensi dei Socialisti sia a sinistra, sottraendo voti a Unidas Podemos, che al centro, spazio lasciato vuoto dopo lo spostamento a destra del vecchio centrodestra.
Il peggior risultato della storia del PP
Il Partito Popolare (PP), il principale partito di centrodestra in Spagna, ha ottenuto il peggior risultato della sua storia, con il 17 per cento dei voti (pari a 66 seggi), praticamente la metà del 33 per cento dei voti (137 seggi) ottenuto alle ultime elezioni. Rispetto ad allora, il PP ha cambiato leader: non più Mariano Rajoy, che era stato primo ministro fino al voto di sfiducia del Parlamento, all’inizio di giugno dello scorso anno, ma Pablo Casado, giovane leader che negli ultimi mesi ha spostato il partito sempre più a destra.
Casado non ha fatto autocritica per la sconfitta e ha incolpato sia gli elettori per non avere scelto un’alternativa di centrodestra, sia Vox, la destra radicale, per avere diviso il voto rivale del PSOE e «avere lasciato che migliaia e migliaia di voti non si trasformassero in seggi», come ha commentato al País un alto funzionario del partito. Gli avversari interni di Casado sostengono invece che i risultati elettorali siano la dimostrazione di una strategia sbagliata, diretta a sottrarre voti a destra lasciando troppo scoperto il centro. Casado, comunque, ha fatto sapere di non avere intenzione di dimettersi.
Vox, per la prima volta in Parlamento
Vox – partito di estrema destra, anti-immigrazione e anti-femminista – è la più grande sorpresa del nuovo Parlamento: ha ottenuto il 10 per cento dei voti (pari a 24 seggi), un risultato notevole se si considera che fino a pochissimo tempo fa era una forza politica praticamente irrilevante. È la prima volta che un partito di estrema destra entra nel Parlamento nazionale spagnolo da quando in Spagna è finito il regime franchista ed è tornata la democrazia.
Nonostante i 24 seggi, in realtà da Vox ci si aspettava qualcosa di più. «Vox, che aveva alimentato le aspettative di un trionfo epico, ha dovuto fare i conti con un risultato molto più prosaico», ha scritto Miguel González sul País. Dopo la diffusione dei risultati, il leader del partito, Santiago Abascal, ha criticato la destra tradizionale per non essere stata capace di battere il PSOE (ha parlato di «derechita cobarde», piccola destra codarda), e ha minimizzato le accuse del PP di avere diviso la destra facendo un regalo a Sánchez.
Le seconde forze: Ciudadanos e Unidas Podemos
Le seconde forze a destra e sinistra – dietro rispettivamente il PP e il PSOE – si sono confermate essere Ciudadanos e Unidas Podemos, che però hanno avuto sorti un po’ diverse. La prima è andata molto meglio della seconda, ma è possibile che la seconda finirà per contare di più, se alla fine si farà un governo di coalizione a guida PSOE.
Ciudadanos, partito nato in Catalogna che negli ultimi anni si è spostato dal centro a destra, è andato molto vicino al sorpasso sul PP: ha ottenuto quasi il 16 per cento dei voti (pari a 57 seggi), guadagnando 25 seggi dalle elezioni del 2016. Da allora, il partito di Albert Rivera è riuscito a sfruttare al meglio la crisi catalana, posizionandosi nettamente contro gli indipendentisti, e il momento difficile del PP, sottraendo diversi consensi a quello che è sempre stato il partito di riferimento del centrodestra spagnolo. La sconfitta generale della destra sembra però ridurre di molto le possibilità di Ciudadanos di entrare in una maggioranza di governo.
Unidas Podemos, coalizione elettorale di sinistra che riunisce tra gli altri Podemos e Izquierda Unida, non è andata troppo bene, ma le aspettative non era altissime: ha ottenuto il 14 per cento dei voti (42 seggi), perdendo il 7 per cento (29 seggi) rispetto alle elezioni del 2016. Il calo di Unidas Podemos (prima Unidos Podemos) era ampiamente previsto ed è parte di una tendenza in atto da tempo, che il leader Pablo Iglesias non è riuscito a cambiare. Dato l’ottimo risultato del PSOE, comunque, Unidas Podemos potrebbe allearsi con Sánchez per formare un governo di centrosinistra.
In Catalogna e nei Paesi Baschi hanno vinto i nazionalisti
Catalogna e Paesi Baschi sono due comunità autonome molto particolari, con forti spinte nazionaliste e indipendentiste, che risultano spesso fondamentali per la formazione di maggioranze al Parlamento di Madrid. In entrambe, i partiti nazionalisti sono andati molto bene.
Nei Paesi Baschi il Partito Nazionalista Basco (PNV, di centrodestra) è tornato a essere la prima forza politica della regione, dopo che nel 2016 si era imposto Podemos. Il PNV ha ottenuto 6 seggi, davanti al PSOE e a Podemos, che ne hanno ottenuti 4. In Catalogna ha vinto Esquerra Repubblicana (ERC), la sinistra indipendentista, per la prima volta. ERC, il cui leader Oriol Junqueras è in carcere per i fatti dell’ottobre 2017, ha ottenuto 15 seggi, davanti alla sezione locale dei Socialisti (sinistra non indipendentista), con 12 seggi. Entrambi i partiti – PNV e ERC – potrebbero diventare fondamentali per la creazione di una maggioranza, se si farà una coalizione a guida PSOE.
Non ci sono mai state così tante donne in Parlamento
Le elezioni di domenica hanno eletto il Parlamento più paritario in termini di genere nella storia democratica della Spagna: i seggi ottenuti dalle donne sono pari al 41,1 per cento del totale, un dato che supera dell’1,4 per cento il precedente record, registrato alle elezioni generali del 2015. Questo dato rende la Spagna uno dei paesi in Europa con la percentuale maggiore di donne in Parlamento: in Finlandia le donne occupano il 42 per cento dei seggi, in Norvegia il 41, in Danimarca il 37, in Francia il 40, in Italia il 36, in Germania il 31.
E ora? Chi fa il governo, e con chi?
L’incarico di formare il governo verrà dato molto probabilmente a Pedro Sánchez, il leader del partito che ha indubbiamente vinto le elezioni, che sembra avere tre possibilità.
Prima: allearsi con Ciudadanos. I due partiti raggiungerebbero 180 seggi, quattro in più della maggioranza richiesta, fissata a 176 seggi. Sarebbe l’opzione più facile, ma al momento anche quella più improbabile. In campagna elettorale Rivera, leader di Ciudadanos, ha escluso più volte la possibilità di allearsi con il PSOE, e gli stessi elettori Socialisti sembrano essere poco favorevoli all’idea (domenica sera di fronte alla sede del PSOE a Madrid si sentivano molti slogan contro Ciudadanos).
Seconda: allearsi con Unidas Podemos e nazionalisti. La somma dei seggi del PSOE, Unidas Podemos, PNV (nazionalisti baschi), Coalición Canaria (nazionalisti delle Canarie), Compromís (nazionalismo valenciano) e Partido Regionalista de Cantabria (partito regionalista della Cantabria) farebbe 175, uno in meno della maggioranza: Sánchez avrebbe bisogno di un’astensione, ma sarebbe uno dei pochi modi per escludere gli indipendentisti catalani (in particolare ERC), che vengono considerati poco affidabili dai vertici del PSOE, ma che potrebbero diventare indispensabili.
Terza: governare da solo. Lunedì mattina la vicepresidente del governo uscente, Carmen Calvo, ha detto a Cadena SER che il PSOE proverà a vedere se ci siano le condizioni per governare da solo, ovvero con l’appoggio esterno di altre forze politiche. Non si sa ancora cosa pensi dell’eventualità Unidas Podemos, il cui leader, Pablo Iglesias, aveva detto ieri che la sua coalizione sarebbe stata «imprescindibile» per la formazione di qualsiasi governo di sinistra in Spagna.