Lo sterminio dei gatti in Australia
Dal 2015 il governo porta avanti un ambizioso piano per ucciderne 2 milioni, perché sono una minaccia per diverse altre specie
Da qualche anno il governo dell’Australia è alle prese con una popolazione che ritiene essere fuori controllo: quella dei gatti randagi. Si stima che nell’intero continente ce ne siano tra i 2 e i 6 milioni e che continuino a riprodursi velocemente, mettendo a rischio il resto della fauna e le specie che vivono solamente in Australia. Per questo motivo, nel 2015 il governo australiano aveva annunciato un piano molto ambizioso per sterminarne almeno 2 milioni entro il 2020. Il progetto è ancora in corso, ma come racconta un lungo articolo del New York Times Magazine il raggiungimento dell’obiettivo si sta rivelando più complicato del previsto.
Secondo le ricerche e le prove archeologiche più recenti trovate a Cipro, i gatti furono addomesticati dal genere umano circa 9mila anni fa. La loro capacità di catturare piccoli roditori fu rapidamente sfruttata per proteggere i frutti dei raccolti. Nei millenni, divennero divinità per alcune popolazioni come gli antichi egizi e i greci, e si diffusero progressivamente in buona parte dei continenti, fatta eccezione per l’Australia, dove il primo gatto sarebbe arrivato molto più tardi.
Non è chiaro quando fecero la loro comparsa in Australia, continente remoto e tutto sommato trascurato fino a pochi secoli fa. Inizialmente si ipotizzò che il loro sbarco fosse avvenuto nel Seicento, forse in seguito al naufragio di qualche nave olandese i cui relitti arrivarono sulle coste australiane. In seguito, test più accurati sul patrimonio genetico dei gatti dei giorni nostri in Australia avrebbero portato a conclusioni diverse. Gli studi più condivisi collocano l’arrivo dei primi gatti in Australia nella zona di Sydney, quando nel 1788 approdò la Prima Flotta, le 11 navi partite dall’Inghilterra per fondare nel continente una colonia penale.
I gatti avevano condiviso con i marinai e i galeotti mesi di navigazione, occupandosi di cacciare i topi che vivevano a bordo delle navi. Nei decenni seguenti al loro sbarco, i gatti randagi si moltiplicarono colonizzando buona parte della costa sudorientale dell’Australia. Alla fine dell’Ottocento, erano ormai presenti in ogni angolo del continente, con una crescente popolazione che poteva prosperare grazie alla fauna locale, che si era evoluta per conto proprio ed era impreparata a quella nuova specie di predatori.
L’arrivo degli europei in Australia, con i loro galeoni carichi di animali che erano di fatto esotici per il continente, avrebbe condizionato pesantemente le sorti di molte specie australiane. Dall’arrivo della Prima Flotta si stima che si siano estinte 34 specie di mammiferi endemiche dell’Australia: animali che esistevano solo su quel continente e da nessuna altra parte nel mondo. Oggi, ci sono un centinaio di mammiferi australiani che rischiano di fare la stessa fine, e l’Australia ha il primato del tasso di estinzione più rapido di tutto il pianeta.
Secondo gli studiosi della fauna australiana, i gatti sono stati una delle principali cause dell’estinzione di almeno 22 specie di mammiferi, ma le cose non vanno meglio per altri animali. Si stima che ogni anno i gatti uccidano 377 milioni di uccelli e 649 milioni di rettili australiani. Per questo motivo sono considerati una minaccia per la fauna e il governo sta cercando di sterminarne il più alto numero possibile.
Il problema è che i gatti randagi sono sfuggevoli e ancora oggi non ci sono molte conoscenze sulle loro abitudini. Per avere dati più chiari e precisi, negli ultimi anni diversi ricercatori si sono dati da fare per tracciare i gatti con collari radio e GPS. Nei gruppi studiati, hanno notato comportamenti simili. In genere, un gatto randagio vive in una porzione di territorio stabile, dalla quale sconfina raramente. Trascorre i primi sei mesi di vita con la madre e i suoi fratelli, con i quali impara a cacciare, per poi condurre una vita piuttosto solitaria. Le dimensioni dell’area in cui vive variano a seconda della sua resistenza, della disponibilità di prede e della presenza di eventuali altri gatti che competono per la stessa porzione di territorio.
I ricercatori hanno inoltre trovato conferme a comportamenti tipici di questi animali, come il fatto di essere sempre pronti e interessati alla caccia. Anche se sono già sazi e non hanno necessità, si mettono ugualmente sulle tracce di uccelli, piccoli rettili e mammiferi da cacciare e uccidere. Ottenuta una preda, a volte ne mangiano le parti più tenere e prelibate, mentre in altri casi si disinteressano totalmente della carcassa e se la lasciano alle spalle, partendo alla ricerca di un’altra.
I metodi per cacciare i gatti variano molto, a seconda di chi se ne occupa e se privatamente o per conto del governo e delle amministrazioni locali. Gli australiani si sono rivelati piuttosto creativi e c’è chi li caccia con trappole, chi con i fucili e chi con altre armi come balestre e archi. Iniziative su più larga scala prevedono l’utilizzo di salsicce avvelenate, che vengono lanciate dagli aeroplani su ampie porzioni di territorio, note per ospitare migliaia di gatti randagi. Le salsicce contengono una sostanza derivata dalle piante del genere Gastrolobium, velenosa per i gatti e alcune altre specie animali. Nel Queensland c’è una taglia di 10 dollari australiani (6,30 euro) per ogni gatto catturato.
Nel 2015, l’annuncio del governo australiano fu tutto sommato accolto positivamente dagli abitanti dell’Australia, consapevoli della minaccia che i gatti costituiscono per la fauna. La principali critiche arrivarono dall’estero, con numerose associazioni animaliste e personaggi dello spettacolo (Morrissey e Brigitte Bardot, per citarne un paio) che chiedevano al governo di ripensarci e di fermare quello che definivano uno sterminio ingiustificato.
Un’opposizione interna al programma di caccia ai gatti ha comunque assunto una sua rilevanza da qualche tempo, con petizioni e richieste per interrompere i piani del governo. Chi è contrario sostiene che i gatti siano uccisi barbaramente, che non ci siano controlli sufficienti sulle condizioni in cui vengono cacciati e che nel complesso l’intera iniziativa sia superflua.
Si stima che nel primo anno di caccia, dopo l’annuncio del governo nel 2015, fossero stati cacciati e uccisi almeno 200mila gatti. Stime affidabili sull’andamento dell’iniziativa a quattro anni dal suo annuncio non sono ancora disponibili e c’è chi mette in dubbio che l’obiettivo possa essere raggiunto, così come la sua effettiva utilità.
Una ricerca pubblicata a inizio anno sulla rivista scientifica Conversation Letters dubita che le stime fornite dal governo australiano nel 2015 fossero corrette. All’epoca non esisteva infatti un censimento attendibile dei gatti randagi e si diceva che potessero essere tra i 5 e i 18 milioni, seppure senza prove statistiche convincenti. Solo nel 2017 una ricerca più approfondita portò alla stima dei 2-6 milioni di gatti, rendendo quindi improbabile lo sterminio di 2 milioni annunciato dal governo. La ricerca ha inoltre contestato la stessa indicazione di quel numero, ritenuta arbitraria e mai motivata scientificamente.