L’intercettazione su Armando Siri esiste?
La Verità sostiene sia inventata, ma tutti i principali quotidiani smentiscono questa tesi: il dubbio semmai è su quale sia il contenuto esatto
L’intercettazione che ha spinto i magistrati a indagare il sottosegretario ai Trasporti della Lega Armando Siri esiste, anche se probabilmente non corrisponde esattamente alla versione che ne hanno dato i principali quotidiani una settimana fa. Ieri, il quotidiano La Verità aveva accusato Repubblica e Corriere della Sera di aver inventato il testo dell’intercettazione del sottosegretario, ma oggi quasi tutti i quotidiani confermano il contenuto dell’intercettazione che secondo Repubblica e Ansa è stata depositata venerdì pomeriggio al tribunale del riesame di Roma.
L’inchiesta che ha coinvolto Siri riguarda un presunto giro di tangenti e favori pagati per ottenere favori e facilitazioni da alcuni imprenditori siciliani dell’industria eolica, alcuni dei quali sospettati di avere rapporti con esponenti di Cosa Nostra. Siri, secondo i magistrati, avrebbe ricevuto o gli sarebbero stati promessi 30 mila euro in cambio del suo aiuto nell’approvazione di alcuni emendamenti nella legge di bilancio. Per questa ragione il sottosegretario è indagato per corruzione. Siri ha negato ogni accusa ed è stato difeso dal segretario della Lega Matteo Salvini.
Nei primi articoli sulla vicenda, Corriere e Repubblica riassumevano con parole leggermente differenti quella che definivano la prova principale contro Siri: un’intercettazione in cui uno degli imprenditori coinvolti diceva a suo figlio che l’appoggio di Siri «Ci (o “mi”) è costato 30 mila euro». Dal testo dei due giornali sembrava che Siri fosse esplicitamente nominato nella conversazione e che nel dialogo si facesse direttamente riferimento a lui. Dopo gli articoli, il Movimento 5 Stelle aveva chiesto con forza le dimissioni di Siri e il suo ministro, Danilo Toninelli, gli aveva tolto le deleghe operative, contribuendo a peggiorare ulteriormente i rapporti già molto tesi tra Lega e Movimento 5 Stelle.
Secondo il quotidiano La Verità, invece, quell’intercettazione non esisterebbe. Un magistrato romano ha detto al giornalista Giacomo Amadori che «quelle frasi non ci sono nel fascicolo». Secondo la sua ricostruzione, i magistrati avrebbero appreso della frase in questione leggendola sui giornali e si sarebbero subito messi a cercarla tra gli atti, senza trovarla. Avrebbero quindi chiamato i loro colleghi siciliani che hanno dato inizio all’inchiesta, i quali avrebbero a loro volta confermato che la frase non esiste. I magistrati non avrebbero smentito i giornali per una sorta di “scoraggiamento”, scrive Amadori, vista la frequenza con cui i giornali manipolano o inventano le intercettazioni.
La tesi della Verità, giornale considerato molto vicino al governo, non ha ancora trovato ulteriori conferme e oggi quasi tutti i principali quotidiani hanno ribadito invece la versione iniziale della storia. I due più netti nel respingere la versione della Verità sono proprio il Corriere e soprattutto Repubblica, che poi nel pomeriggio ha riportato insieme ad Ansa che il rapporto della Direzione Investigativa Antimafia che la contiene sarebbe stata depositata, confermandone ulteriormente la veridicità.
Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi, erano entrati nel dettaglio: «L’intercettazione – con buona pace di chi ciancia di “fantasmi” e ricerche affannose negli archivi – è stata registrata dalla Dia (che ne conserva copia), messa a disposizione dei pubblici ministeri, richiamata in un’informativa del 29 marzo 2019, e persino riascoltata nelle ultime ventiquattro ore dagli inquirenti, per verificarne, con esito positivo, il tenore e il contenuto». Due fonti della procura hanno confermato a Repubblica che l’intercettazione esiste e che la sua interpretazione è «univoca»: le parole pronunciate si riferiscono al sottosegretario Siri.
Nella prima versione pubblicata una settimana fa, in ogni caso, non era molto chiaro che nell’intercettazione Siri non fosse esplicitamente nominato, ma che a considerarlo il soggetto della frase fossero stati i magistrati. Più che l’esistenza o meno dell’intercettazione, questa sembra al momento la cosa da chiarire.
Sul resto, invece, sono rimasti pochi dubbi. Quasi tutti i quotidiani ricordano che la conversazione che coinvolgeva il sottosegretario Siri è citata anche nel decreto di perquisizione esibito dai magistrati la scorsa settimana, fino a questo momento uno dei pochi atti pubblici di tutto il provvedimento. Nel testo si legge che i sospetti su Siri derivano, tra gli altri indizi, anche «dal contenuto di alcune conversazioni tra l’indagato Paolo Franco Arata ed il figlio Francesco (alla presenza anche di terzi) nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla somma di denaro pattuita a favore di Armando Siri per la sua attività di sollecitazione dell’approvazione di norme che lo avrebbero favorito».
Sia il Messaggero che Repubblica ricordano poi gli altri elementi che i magistrati avrebbero contro Siri. Ad esempio, le testimonianze di Vito Cozzoli, capo di gabinetto al ministero dello Sviluppo economico e vicino al Movimento 5 Stelle, la sua vice Elena Lorenzini, e il sottosegretario Davide Crippa, sempre del Movimento 5 Stelle, secondo i quali Siri avrebbe fatto pressioni su di loro per ottenere il passaggio degli emendamenti voluti dai suoi amici imprenditori. Tutti gli emendamenti e le altre modifiche sarebbero comunque state bloccate prima dell’approvazione.
Siri fino a questo momento ha rifiutato di dimettersi dall’incarico. Dovrebbe essere interrogato dai magistrati la prossima settimana, mentre si attende nei prossimi giorni una decisione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul suo futuro all’interno del governo.