Cosa sta facendo la Francia in Libia
Macron ha deciso di puntare da tempo sul principale rivale del governo libico riconosciuto dall'ONU (e appoggiato dall'Italia): perché?
di Elena Zacchetti
Da più di tre settimane molte delle notizie che arrivano dalla Libia riguardano l’offensiva militare lanciata dal maresciallo libico Khalifa Haftar contro Tripoli, città dove ha sede il governo riconosciuto dall’ONU e guidato dal primo ministro Fayez al Serraj. La battaglia per il controllo di Tripoli, che secondo diversi osservatori potrebbe causare l’inizio della terza guerra civile libica, è iniziata improvvisamente il 4 aprile scorso e sembra abbia sorpreso anche alcuni alleati dello stesso Haftar, tra cui la Francia. Il governo francese di Emmanuel Macron è accusato da tempo di portare avanti una politica molto ambigua in Libia, di rottura rispetto alla posizione ufficiale di appoggio del governo di Serraj: è accusato di avere puntato tutto su Haftar, senza però riconoscerlo in maniera aperta e pubblica.
L’impegno della Francia a fianco di Haftar, nonostante a parole sia stato negato dal governo francese, è ormai un fatto riconosciuto da analisti, esperti e governi stranieri. Negli ultimi anni, per esempio, l’Italia si è scontrata in diverse occasioni con la Francia per intense divergenze sulle Libia: era successo durante il governo di Paolo Gentiloni e sta risuccedendo con il governo di Lega-Movimento 5 Stelle. La cosa che non è del tutto chiara è il tipo di appoggio che il governo di Macron ha fornito ad Haftar, al di là di quello politico.
Da un punto di vista militare non si hanno troppe informazioni sull’impegno in Libia della Francia, paese che guidò l’intervento NATO del 2011 contro il leader libico Muammar Gheddafi. Nel febbraio 2016 Le Monde pubblicò un’inchiesta che sosteneva che forze speciali e agenti dell’intelligence francese erano in Libia dall’anno precedente per svolgere operazioni segrete contro lo Stato Islamico e per assistere la coalizione che si stava formando attorno ad Haftar. Un funzionario della Difesa francese citato da Le Monde disse che per il governo di Parigi era importante agire con discrezione, con azioni militari non ufficiali. La Francia sperava così di aiutare Haftar a imporre l’ordine in Libia, ripristinando la normale produzione di petrolio e tenendo sotto controllo la diffusione di gruppi islamisti e jihadisti: l’architetto di questa strategia era il ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian, che sotto la presidenza di Macron sarebbe diventato ministro degli Esteri.
Pochi mesi dopo, a luglio, il governo dell’ex presidente François Hollande fu costretto a riconoscere la presenza militare della Francia in Libia dopo un incidente che coinvolse un elicottero vicino a Bengasi, città considerata quartier generale di Haftar, che provocò la morte di tre soldati francesi. Hollande confermò che agenti francesi stavano conducendo «pericolose operazioni di intelligence in Libia», ma non diede molti altri dettagli. La Francia comunque non era il solo paese occidentale ad avere suoi soldati in territorio libico: anche Regno Unito e Stati Uniti avevano mandato agenti dell’intelligence a monitorare le attività dei gruppi jihadisti.
L’appoggio francese nei confronti di Haftar divenne ancora più rilevante sotto la presidenza di Macron, a partire dalla seconda metà del 2017.
In una delle sue prime iniziative diplomatiche di alto profilo, Macron invitò a Parigi sia Serraj che Haftar, escludendo l’Italia, che fino a quel momento aveva guidato l’iniziativa dell’Unione Europea in Libia. Macron cercò di presentarsi come mediatore e risolutore della complicata crisi libica e allo stesso tempo diede forte legittimità politica ad Haftar. Le cose non andarono però come aveva previsto il governo francese. Tarek Magerisi, ricercatore libico del think tank European Council on Foreign Relations, ha detto a Politico: «Macron fu consigliato male nel pensare che la Libia potesse essere una vittoria facile da ottenere tramite il suo carisma. Sottovalutò la complessità del paese. Fu un po’ ingenuità, un po’ opportunismo. Tentò di affidarsi ai militari per risolvere un problema politico».
Il 29 maggio 2018, a quasi un anno di distanza dal primo vertice, Macron ne convocò un altro, invitando i due leader libici e di nuovo escludendo l’Italia, che non la prese bene. Al termine della riunione si decise che entro la fine dell’anno si sarebbero tenute elezioni «credibili e pacifiche» in Libia, un piano che comunque non si concretizzò mai e che fu criticato fin da subito dal governo italiano.
Nous vivons aujourd’hui un moment historique pour les Libyens, fruit d'un travail de longue haleine pour accompagner une sortie de crise en Libye. pic.twitter.com/UMosbRSpkm
— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) May 29, 2018
La scelta di schierarsi di fatto con Haftar non è stata legata nel tempo solo alle ambizioni di Hollande e poi di Macron. Ci sono stati anche motivi economici, in particolare gli interessi energetici della società francese Total in Libia, e motivi strategici, spiegabili con la necessità di fermare il flusso di armi e finanziamenti verso gruppi jihadisti operanti in Niger, Ciad e Mali, tre paesi della regione nei quali la Francia è operativa tramite la missione Barkhane, finalizzata alla lotta al terrorismo e al jihadismo. I governi francesi fecero inoltre un ragionamento legato alle alleanze internazionali del paese. La Francia è schierata con Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, a cui ha venduto armi per miliardi di euro: cioè è alleata di un fronte che in Libia è dalla parte di Haftar e che si contrappone a quello formato dal Qatar, dalla Turchia e dal movimento politico religioso dei Fratelli Musulmani.
L’impegno francese in Libia è continuato fino a oggi, così come l’ambiguità di sostenere pubblicamente Serraj e appoggiare segretamente Haftar. L’attacco di Haftar contro Tripoli delle ultime settimane ha messo però la Francia in una posizione complicata.
Il governo Macron ha negato fin dal principio di essere stato a conoscenza dei piani di Haftar contro Tripoli, che tra le altre cose hanno costretto l’ONU a rimandare a tempo indefinito un’importante conferenza di pace sulla Libia che si sarebbe dovuta tenere a metà aprile. Non si sa con certezza cosa sapesse il governo francese, ma le critiche sono state molte. Macron è stato accusato di avere dato una sorta di via libera implicito ad Haftar, il quale sapeva che la Francia sarebbe stata dalla sua parte e avrebbe bloccato qualsiasi azione punitiva contro il maresciallo intrapresa dall’Unione Europea e dall’ONU. Il governo di Serraj ha annunciato la sua intenzione di interrompere tutti i rapporti bilaterali con la Francia.
In generale – e questo si dice da un po’ di tempo – Macron è stato il presidente che ha dato legittimità politica ad Haftar, trasformandolo di fatto da capo militare a capo di stato e interlocutore politico con cui parlare.
#GNA's Minister of Interior Bashagha demands that the head of the international relations & cooperation committee cease all its bilateral activities and agreements with #France (including in security cooperation) due to #Paris' relentless backing of #Haftar. #Libya pic.twitter.com/MneJ5EfAld
— Emadeddin Badi (@emad_badi) April 18, 2019
La mossa di Haftar, nonostante tutte le critiche, potrebbe però avere dato un’opportunità nuova e inaspettata alla Francia, anche se è ancora presto per dirlo con certezza.
Questa opportunità potrebbe essere arrivata dal presidente statunitense Donald Trump, che in una delle sue molte svolte improvvise in politica estera ha deciso di recente che la sua amministrazione avrebbe cominciato ad appoggiare Haftar, che considera un baluardo contro la diffusione dell’estremismo islamista in Libia. Quella di Trump è stata una svolta rilevante. Nel luglio 2018, durante una visita ufficiale del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte a Washington, Trump aveva infatti riconosciuto il ruolo guida dell’Italia nella complicata crisi libica, di fatto squalificando l’iniziativa francese. L’appoggio ad Haftar va invece in direzione contraria e potrebbe restituire alla Francia la credibilità perduta nelle ultime settimane.