I problemi delle bombole d’ossigeno sull’Everest
Sono indispensabili per quasi tutti gli alpinisti che lo scalano, ma da tempo vengono segnalati sempre più malfunzionamenti
Le cose che possono andare storte quando si scala l’Everest sono molte: la montagna più alta del mondo non è la più difficile da salire né la più pericolosa, ma i suoi quasi novemila metri di altezza la rendono comunque un posto inadatto e ostile alla presenza umana. Le condizioni meteo possono cambiare rapidamente, gli accumuli di neve lungo le sue pareti possono staccarsi in qualsiasi momento, gli enormi seracchi dei ghiacciai che circondano la montagna possono inghiottire gli alpinisti durante l’avvicinamento. Ma è soprattutto la rarefazione dell’aria a quelle quote che rende faticosissimo procedere lungo il percorso che porta alla vetta, anche in condizioni climatiche perfette.
È per questo che la quasi totalità delle centinaia di persone che ogni anno scalano l’Everest usa delle bombole di ossigeno ausiliarie: un articolo del New York Times ha però raccontato che da anni l’utilizzo smodato di bombole vecchie e malridotte, a cui ricorrono gli organizzatori delle spedizioni per risparmiare soldi, ha reso anche questo aspetto della scalata pericoloso, fino a mettere a rischio la vita degli alpinisti. E ci sono stati problemi anche nelle attrezzature più recenti, prodotte da aziende nuove e che si erano affermate come alternativa proprio a quelle che offrivano attrezzature più datate.
È un problema poco raccontato, e di cui le autorità si sono rese conto con molto ritardo, anche per via del fatto che molte delle cose che avvengono sull’Everest rimangono sull’Everest.
Cosa sono queste bombole
Fin dalla sua prima ascesa, compiuta nel 1953 dall’alpinista neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay, usare l’ossigeno per salire l’Everest – così come tutti gli ottomila himalayani – è stata la norma. La prima ascensione senza bombole arrivò soltanto nel 1978 e fu completata da Reynold Messner e Peter Habeler: in quegli anni si stava diffondendo un approccio più “purista” alla montagna, che prevedeva per l’appunto di non utilizzare l’ossigeno. Ancora oggi, compiere un’ascesa senza ossigeno rende una spedizione più rispettata e stimata nell’ambiente dell’alpinismo.
Negli anni l’Everest è diventata però una montagna di massa, scalata ogni anno da molte persone impreparate e che partecipano alle spedizioni commerciali pagando decine di migliaia di dollari. Nel 2018, 802 persone sono arrivate in cima all’Everest: soltanto una non ha usato l’ossigeno supplementare, secondo l’Himalayan Database. Le spedizioni commerciali all’Everest ebbero un picco a partire dagli anni Novanta, grazie all’introduzione sul mercato delle bombole prodotte dall’azienda russa Poisk, le prime contemporaneamente economiche e affidabili. Si stima che oltre il 90 per cento delle bombole di ossigeno usate in Nepal siano prodotte da Poisk.
Le cose però cambiarono quando Poisk cominciò a vendere bombole che potevano essere ricaricate più volte.
In teoria, l’operazione doveva essere svolta dalla stessa azienda, che si sarebbe dovuta occupare anche della manutenzione e certificazione delle bombole. In pratica, si diffuse un vasto mercato nero: per tagliare i costi delle spedizioni, le società che le organizzavano cominciarono a riempire artigianalmente le bombole e a riutilizzarle ben oltre la loro data di scadenza. Questo ha reso sempre più frequenti i guasti alle bombole o ai regolatori, quei sistemi che si innestano sulla valvola e attraverso i quali si decide quanto ossigeno fare arrivare alla maschera. Oggi parte del mercato è stato occupato da aziende come Summit Oxygen e Topout, che hanno iniziato a vendere alternative valide ai sistemi Poisk.
I problemi
Adrian Ballnger, un alpinista che fa da guida sull’Everest da dieci anni, ha raccontato al New York Times che durante una spedizione della scorsa primavera nove regolatori sulle poche decine a disposizione degli alpinisti si misero a perdere ossigeno nel giro di un’ora. I 25 alpinisti furono presi dal panico. Ballinger ha raccontato che fu il suo giorno più pericoloso sulla montagna. Oltre gli ottomila metri, non potere improvvisamente fare affidamento sull’ossigeno supplementare può essere un imprevisto devastante e ingestibile per la stragrande maggioranza degli alpinisti.
Ballinger e i suoi se la cavarono, ma non fu un episodio isolato. I loro regolatori erano prodotti da Summit Oxygen, così come quelli di altre spedizioni in Tibet e in Nepal che riportarono problemi simili, senza che ci fossero morti o feriti. In tutto le bombole difettose furono 25 su un numero totale compreso tra i 500 e i 1.000, e Summit Oxygen richiamò le attrezzature in circolazione, spiegando che i problemi erano stati causati dall’alta umidità e da un difetto a una guarnizione dei regolatori.
I problemi delle attrezzature vecchie e riutilizzate, invece, sono più difficili da risolvere. Per gli organizzatori delle spedizioni, far ricaricare le bombole Poisk abusivamente in India o a Kathmandu è comune, anche nei casi di attrezzature scadute da anni: sulle bombole più vecchie manca addirittura questo tipo di indicazione, rendendo molto difficile verificarne l’età. Un portavoce della società ha detto che Poisk non può intervenire su quest’utilizzo improprio. Non si può stabilire se ci siano state delle morti, e quante, causate da malfunzionamenti di vecchie attrezzature: i corpi di chi muore sull’Everest sono spesso lasciati sulla montagna, perché dispersi o troppo difficili da portare a valle.
Il mese scorso, in vista dell’inizio della stagione delle scalate, il Nepal ha vietato le bombole più vecchie di dieci anni, annunciando anche che sarà organizzata una squadra per condurre delle ispezioni sull’attrezzatura.