La strage di Columbine, 20 anni fa
Il 20 aprile 1999 due ragazzi di 17 anni entrarono armati nella loro scuola e uccisero 13 persone: diventò il simbolo dei problemi degli Stati Uniti con le armi
Il 20 aprile 1999, esattamente 20 anni fa, i 17enni Eric Harris e Dylan Klebold entrarono nella scuola superiore Columbine di Littleton, una città nei sobborghi di Denver, in Colorado – e cominciarono a sparare contro i loro compagni e professori. Uccisero 13 persone e ne ferirono 24, poi si suicidarono.
Fu una delle più gravi stragi in una scuola nella storia degli Stati Uniti insieme a quelle di Virginia Tech (nel 2007), della Sandy Hook Elementary School (nel 2012) e della Marjory Stoneman Douglas High School, lo scorso anno. La strage di Columbine diventò un simbolo al centro della discussione sull’uso e il controllo delle armi negli Stati Uniti: nel 2002 il regista Michael Moore realizzò un documentario su questo argomento, intitolato Bowling for Columbine, che vinse l’Oscar e consolidò il valore esemplare dell’episodio.
Per commemorare l’anniversario, la città di Littleton ha organizzato una veglia, e in tutti gli Stati Uniti sono state organizzate diverse manifestazioni per richiedere leggi più severe sulle armi.
Cosa successe alla Columbine
Tutte le persone morte nella strage vennero uccise all’interno della scuola: 12 studenti e un insegnante. Eric Harris e Dylan Klebold arrivarono la mattina a scuola dopo aver posizionato una piccola bomba in un campo vicino, con lo scopo di distrarre il personale addetto alla sicurezza. La bomba esplose alle 11.14.
Prima che arrivassero gli altri studenti, Harris e Klebold piazzarono due bombe al propano nella mensa della scuola, nascondendole in due borse che dovevano esplodere alle 11.17. Una volta sistemate le bombe tornarono nel parcheggio delle auto. Il loro piano era di attendere che tutti gli studenti uscissero dall’edificio e sparare contro di loro.
Le due bombe erano costituite da una bombola di propano da nove chilogrammi, una sveglia a cipolla, un contenitore con della benzina e una comune batteria. All’ora programmata le lancette della sveglia avrebbero chiuso il contatto della batteria che avrebbe trasmesso alla benzina la corrente necessaria ad incendiarsi. Il fuoco avrebbe scaldato il propano all’interno della bombola. Il gas sarebbe aumentato di pressione e avrebbe potenzialmente potuto causare un’esplosione (un evento, tuttavia, piuttosto difficile). Il timer però non funzionò e le bombe non esplosero.
Quando alle 11.17 Harris e Klebold capirono che l’innesco delle bombe non aveva funzionato decisero di prendere le altre armi che avevano nell’auto e andare in cima alle scale dell’entrata ovest della scuola, il punto più alto del campus.
Lanciarono una bomba a tubo. Harris e Klebold avevano circa un’ottantina di queste bombe, costruite con tubi di metallo riempiti di polvere da sparo ottenuta da vecchi fuochi d’artificio. Le estremità dei tubi erano sigillate e l’innesco era costituito da un fiammifero. La bomba a tubo lanciata nella caffetteria esplose, senza causare feriti.
Subito dopo l’esplosione, alle 11.19, Harris gridò: «Via! Via!». I due estrassero le armi da sotto i loro impermeabili di pelle e cominciarono a sparare. Non è chiaro chi dei due sparò per primo. La prima persona uccisa, colpita da entrambi, fu Rachel Scott, una ragazza di 17 anni, seduta sull’erba poco lontano insieme a Richard Castaldo, 17 anni, che fu ferito. Dopo aver sparato Harris si tolse l’impermeabile e cominciò a scendere una scala poco distante. Sparò a tre ragazzi che stavano salendo, ferendoli tutti e tre.
Klebold intanto si diresse verso la caffetteria, dove le due bombe al propano non erano esplose. Sparò ad altri due studenti, uno dei quali era appena stato ferito, uccidendoli subito prima di entrare nella caffetteria. Dave Sanders, 47 anni, allenatore della squadra femminile di softball e basket, aveva fatto evacuare gli studenti quando aveva sentito il rumore dei primi spari. Klebold trovò la caffetteria vuota e tornò sulle scale, raggiungendo Harris.
Intorno alle 11.21 Klebold e Harris cominciarono a sparare agli studenti vicini al campo di calcio, ma li mancarono. Pochi istanti dopo, Brian Anderson, un ragazzo di 16 anni, uscì da una porta verso i due. Voleva dire loro di smetterla: pensava che stessero girando un film oppure facendo uno scherzo. Klebold gli sparò, colpendo i vetri della porta e ferendolo con le schegge. In quel momento li raggiunse un vicesceriffo della contea che cominciò a sparare verso i due, permettendo ad Anderson di rifugiarsi nella biblioteca. Harris sparò un totale di dieci colpi contro il vice-sceriffo, che si riparò dietro la macchina chiedendo aiuto per radio. Quando Harris finì i colpi tornò dentro la scuola insieme a Klebold. Quasi subito si trovarono davanti Sanders, l’allenatore che aveva evacuato la caffetteria e che ora stava cercando di fare lo stesso con la biblioteca. Lo colpirono alla schiena e al collo, uccidendolo.
Soltanto nella biblioteca, Klebold e Harris uccisero e ferirono 33 persone. Alle 11.25, 56 persone erano nascoste sotto i banchi e dietro le librerie della sala. Quando entrarono, Harris gridò «Tutti in piedi!», così forte che venne registrato nella chiamata al 911 che stava facendo uno degli studenti. Poi uno dei due gridò «Tutti quelli con i cappelli bianchi in piedi! Ve la faremo pagare per la merda che ci avete fatto subire per quattro anni!». Alla scuola di Columbine portare un cappello bianco era il segno di appartenenza a una delle squadre sportive scolastiche. Dato che nessuno rispondeva, Harris gridò: «Cominceremo a sparare comunque!».
Klebold e Harris uscirono dalla biblioteca alle 11.42. Alle 12.02, dopo aver girato per la scuola per circa venti minuti, senza sparare a nessuno, furono ripresi dalle telecamere di sorveglianza mentre ritornavano nella caffetteria. Una ragazza che si era chiusa in uno sgabuzzino li udì gridare insieme: «Tre, due, uno!». Poi udì due spari: Klebold e Harris si erano suicidati. Klebold si sparò un colpo alla tempia sinistra, Harris si sparò in bocca con il suo fucile da caccia. Il massacro era durato 23 minuti, di cui 17 nella biblioteca.
Il giorno dopo la sparatoria lo sceriffo di Littleton John Stone spiegò che altre persone avevano contribuito alla realizzazione della strage, perché i due ragazzi non potevano, da soli, posizionare tutta quella quantità di esplosivo. Chris Morris, amico di Harris e Klebold, venne arrestato con l’accusa di aver posizionato una delle bombe.
Tra i motivi che spinsero Harris e Klebold al massacro fu individuato il bullismo che avevano subito da parte dei ragazzi delle squadre sportive. Nel quinto anniversario della strage, un gruppo di psichiatri pubblicò i risultati dell’analisi delle personalità di Harris e Klebold. Harris risultò avere una forma di psicopatia con un complesso di superiorità di tipo messianico. Klebold risultò essere un depresso. Fu Harris, secondo gli psichiatri, a ideare il piano per più di un anno e a convincere Klebold a seguirlo. Altre motivazioni della strage furono prese in considerazione e poi accantonate: si parlò della responsabilità dei videogiochi e dell’appartenenza di Harris e Klebold a un gruppo gotico della scuola di Columbine che si faceva chiamare Trenchcoat Mafia (“la mafia dell’impermeabile”).
Dopo la strage della Columbine si discusse molto del comportamento della polizia, accusata di aver atteso troppo tempo prima di intervenire. Gli agenti di polizia, infatti, entrarono nella scuola solo due ore dopo aver sentito gli ultimi spari, il suicidio dei due ragazzi. Dalla strage di Columbine si aprì un lungo dibattito tra gli organi di polizia per riformare le procedure da rispettare in casi simili: le nuove norme consentono alle squadre speciali d’intervento di fare irruzione negli edifici anche se ci sono degli ostaggi all’interno, e di sparare ai responsabili delle stragi in totale autonomia, invece di aspettare, limitarsi a delimitare la zona e cercare di aprire una trattativa come stabilivano le linee guida precedenti.
Cosa vuol dire essere la madre di uno degli assassini della strage di Columbine