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  • Mercoledì 17 aprile 2019

Il caso Radio Radicale

Il governo ha annunciato che non rinnoverà la convenzione che esiste da 25 anni, rischiando così di far chiudere la storica radio del Partito Radicale

(ANSA / CIRO FUSCO)
(ANSA / CIRO FUSCO)

Radio Radicale, la storica emittente radiofonica legata al Partito Radicale di Marco Pennella, rischia di chiudere. Lo scorso 15 aprile il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Vito Crimi, ha annunciato che il governo non intende rinnovare la convenzione stipulata con la radio nel 1994, e da allora sempre rinnovata, per trasmettere le sedute del Parlamento in cambio di un finanziamento da 10 milioni di euro l’anno.

«È intenzione di questo governo», ha detto lunedì il sottosegretario Crimi, «non rinnovare la convenzione con Radio Radicale. Un servizio che Radio Radicale ha svolto per 25 anni senza alcun tipo di valutazione, come l’affidamento con una gara. Nessuno ce l’ha con Radio Radicale né vuole la chiusura. Sono questi i termini della questione, non altri». Emma Bonino, storica leader dei Radicali, ha definito le parole di Crimi «totalmente imprecise» e ha ricordato che Radio Radicale ha vinto regolarmente una gara nel 1994 e da allora ha sempre chiesto che il servizio venisse sottoposto a nuove gare per l’assegnazione.

La convenzione con il governo e il finanziamento pubblico che Radio Radicale riceve in quanto radio di partito, che ammonta attualmente a 4 milioni di euro l’anno (ma è destinato a cessare entro il 2022), sono le uniche fonti di finanziamento della radio, che non trasmette pubblicità e quindi rischia la chiusura. Il direttore Alessio Falconio ha chiesto ieri, in un’intervista all’Huffington Post, un incontro con il governo, e ha ricordato che se la decisione non sarà modificata entro il prossimo 21 maggio, il giorno in cui scadrà la convenzione, cento dipendenti della radio e delle società esterne rischiano di perdere il lavoro e la radio di sospendere le trasmissioni. Non è chiaro come il governo intenda procedere, se aprendo una nuova gara – alla quale Radio Radicale ha già annunciato parteciperebbe – o rinunciando del tutto alla convenzione.

Radio Radicale venne fondata nel 1976 da un gruppo di membri del Partito Radicale, a cui da allora è sempre rimasta molto legata. L’editore della radio è l’associazione politica Lista Marco Pannella, di cui fanno parte i quattro storici collaboratori del fondatore del partito, Marco Pannella: Maurizio Turco, che ne è anche il presidente, Rita Bernardini, Laura Arconti e Aurelio Candido. Fin dalla fondazione la radio si è occupata soprattutto di informazione politica, trasmettendo in particolare le sedute del Parlamento, e facendolo, per i primi 15 anni di attività, a spese del partito. Il suo motto è una frase dell’economista e presidente della Repubblica Luigi Einaudi: «Conoscere per deliberare».

Oltre alle sedute parlamentari, alle assemblee e riunioni pubbliche di vari partiti e a numerosi programmi di informazione politica, sulla radio si potevano ascoltare anche i lunghi discorsi del leader del partito Pannella e le sue storiche discussioni con l’allora direttore della radio, Massimo Bordin, morto oggi a 67 anni e divenuto celebre per la sua rassegna stampa quotidiana “Stampa e regime”. Alla fine degli anni Ottanta la radio entrò in crisi e fu avviato l’esperimento di “Radio Parolaccia“: senza soldi con cui realizzare programmi, la radio trasmise per oltre un mese e senza alcun filtro i messaggi registrati dagli ascoltatori.

La situazione della radio si stabilizzò quando il governo decise di estendere alle radio di partito il finanziamento pubblico fino a quel momento destinato solo a giornali. Radio Radicale divenne così ufficialmente l’emittente del Partito Radicale. Nel 1994, durante il governo Berlusconi, con cui Pannella aveva stabilito un accordo politico alle precedenti elezioni, la situazione migliorò ancora grazie alla convenzione ottenuta per trasmettere le sedute parlamentari a pagamento. Radio Radicale era stata l’unica emittente radiofonica a partecipare al bando.

Secondo il progetto di fact-checking Pagella Politica, che ha raccontato questa vicenda in un approfondito articolo pubblicato da AGI, da allora Radio Radicale ha sempre ottenuto una conferma del bando senza mai avere la necessità di partecipare a una nuova gara. È vero che in diverse occasioni gli editori della radio hanno chiesto che venisse indetta una vera gara, ma hanno sempre posto come condizione che fosse una gara “vera” e cioè tra operatori privati, senza la partecipazione della RAI.

Pagella Politica, quindi, conclude notando che:

Nel 1994, Radio Radicale si era aggiudicata la funzione di trasmettere le sedute parlamentari – nel rispetto della legge Mammì del 1990 – dopo una gara, a cui aveva però partecipato in solitaria. La convenzione è poi stata prorogata oltre dieci volte negli anni, per trienni, bienni e singole annualità, senza che effettivamente venisse indetta ogni volta una nuova valutazione con altri contendenti.

Infine, sembra esagerato dire come fa Bonino che “ogni anno, ogni volta” Radio Radicale abbia chiesto che fosse fatta una gara per il rinnovo della convenzione. La posizione ufficiale dell’emittente è comunque quella di trovare una soluzione del Ministero, anche con un confronto pubblico – purché “equo” – con altri contendenti.