Una delle giornate elettorali più complicate di sempre
193 milioni di aventi diritto al voto, 245mila candidati e 800mila seggi distribuiti su 18mila isole: oggi si vota in Indonesia
Oggi si vota in Indonesia: si terranno in un solo giorno le elezioni presidenziali, parlamentari e regionali, un evento senza precedenti nella storia del paese. Gli aventi diritto al voto sono 193 milioni di persone, che disporranno di più di 800mila seggi distribuiti sulle circa 18mila isole che formano l’Indonesia, la terza democrazia più grande al mondo e la più solida del sudest asiatico. Sarà una giornata storica: le urne e il personale dell’enorme macchina elettorale, sei milioni di persone, raggiungeranno ogni angolo del paese in aereo, in nave, in canoa, a cavallo e anche a piedi.
Il Lowy Institute, centro studi australiano specializzato in cose asiatiche, ha definito la giornata elettorale di mercoledì in Indonesia «tra le più complicate della storia del mondo».
Perché sono complicate?
I numeri sulle elezioni di mercoledì non rendono da soli l’idea di quanto sia complicato organizzare una tale macchina elettorale in un paese come l’Indonesia, formato da migliaia di isole e diversissimo nelle sue parti. Solo nell’ultimo anno, ha scritto Ben Bland sull’Atlantic, due paesi come Nigeria e Afghanistan hanno dovuto rimandare le elezioni a causa di guai logistici, mentre l’India, la più grande democrazia al mondo, ha deciso di spalmare il processo elettorale in sei settimane, tra aprile e maggio.
Il sistema di voto che ha sviluppato l’Indonesia negli ultimi vent’anni, dopo la caduta del regime dittatoriale di Suharto, è stato progettato per rendere più complicati brogli e altre irregolarità.
Una delle sue caratteristiche è la proliferazione dei seggi elettorali, ciascuno dei quali si rivolge a poche centinaia di elettori, e lo svolgimento della parte iniziale dello spoglio all’aria aperta, per aumentare la trasparenza. Il procedimento di voto è particolare: per segnare la propria preferenza, gli elettori usano una specie di unghia metallica che fa un buco sulla scheda elettorale. Alla chiusura dei seggi, alle 13 di mercoledì, i voti vengono contati sollevando ciascuna scheda verso l’alto e facendo passare la luce dal buco. Per evitare che un elettore voti due volte verranno usate più di un milione e mezzo di bottiglie di inchiostro indelebile halal (permesso dall’Islam: in Indonesia il 90 per cento della popolazione è musulmana), su cui viene fatto immergere un dito finita la procedura di voto. Il conteggio dei voti è piuttosto rapido, anche grazie al numero ridotto di elettori di ciascun seggio, ma per avere i risultati definitivi a livello nazionale ci sarà probabilmente da aspettare qualche settimana.
Chiaramente, ha spiegato Ben Bland, il sistema non è perfetto e ha mostrato già in passato numerosi problemi, che il governo guidato dal presidente Joko Widodo non è riuscito a risolvere.
Per esempio molti osservatori sono critici verso il modo in cui si continua a votare in alcune zone di Papua occidentale, provincia più occidentale dell’Indonesia attraversata da sempre da movimenti indipendentisti molto forti. Qui viene ancora usato il “sistema noken”, dove “noken” è il nome di una borsa tipica della provincia fatta con le radici degli alberi. Il “sistema noken” funziona in due modi: o il capo della comunità locale vota in nome di tutti i membri della stessa comunità, oppure ciascuno vota per sé introducendo pubblicamente la sua preferenza nella borsa “noken”, che funziona come sostituta dei moderni seggi elettorali. Come si può ben immaginare, nessuno dei due metodi dà garanzie sulla segretezza del voto, né tanto meno sulla correttezza dell’intera procedura, che è estremamente soggetta alla corruzione e alla manipolazione.
Chi vota e chi si elegge?
Possono votare tutti i cittadini indonesiani che hanno compiuto 17 anni e che sono in possesso di un documento di identità elettronico conosciuto come e-KTP, che però nelle zone più remote del paese, quelle per esempio abitate da popolazioni indigene, hanno in pochi. Chi è sposato può votare anche prima (per le donne l’età minima per il matrimonio è di 16 anni). Non possono invece votare poliziotti e militari, che per legge devono rimanere neutrali.
La carica più importante che si elegge mercoledì è quella del presidente dell’Indonesia. I principali candidati sono due: il presidente uscente, più conosciuto con il soprannome “Jokowi”, che negli ultimi cinque anni è riuscito a non essere coinvolto in alcuno scandalo di corruzione, anche se non ha mantenuto tutte le sue più importanti promesse elettorali; e l’ex generale Prabowo Subianto, molto vicino all’élite più tradizionale del paese ed ex marito della figlia del generale Suharto, dittatore dell’Indonesia per tre decenni. I due si erano già affrontati alle elezioni del 2014, vinte da Jokowi con il 53 per cento dei voti.
In campagna elettorale si è parlato di infrastrutture e corruzione, ma soprattutto di economia e identità nazionale in relazione all’Islam. Durante la presidenza di Jokowi, l’economia indonesiana è cresciuta, gli indici di povertà si sono ridotti e alcuni importanti progetti infrastrutturali sono stati completati. Secondo alcuni esperti, come Colin Brown, docente al Griffith Asia Institute (Australia), l’operato di Jokowi non è però stato all’altezza delle aspettative: soprattutto negli ultimi due anni della sua presidenza, non è riuscito ad aprire del tutto il paese agli investimenti stranieri e non ha creato stimoli sufficienti per l’economia, che sta crescendo meno di quanto non facesse dieci anni fa. Il suo più grande insuccesso, ha sostenuto Brown, ha riguardato la coesione sociale.
Negli ultimi anni la società indonesiana è sembrata sempre più divisa su linee religiose, come si è visto con il caso che tra il 2016 e il 2017 coinvolse l’ex governatore di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, più noto con il soprannome “Ahok” e alleato di Jokowi. Ahok, di religione cristiana, fu condannato per il reato di blasfemia dopo essere stato accusato dai suoi avversari di avere insultato l’Islam. Il suo caso e le enormi proteste contro di lui organizzate da gruppi islamici fondamentalisti hanno dimostrato come i religiosi più radicali stiano diventando sempre più rumorosi e influenti in diverse zone dell’Indonesia.
Per questa ragione, ha scritto BBC News, negli ultimi mesi sia Jokowi che il suo principale avversario alle presidenziali, Prabowo, hanno cercato di ingraziarsi i gruppi islamici più conservatori. Quello che ha sorpreso di più è stato Jokowi, musulmano moderato, che ha scelto come suo vice Ma’ruf Amin, un potente religioso che tra le altre cose assunse un ruolo rilevante nelle proteste che portarono alla fine politica di Ahok. Prabowo, più vicino all’élite conservatrice del paese, ha promesso di proteggere i leader islamici indonesiani e di aumentare i finanziamenti per le scuole religiose, sempre però nel rispetto della Costituzione. Tra le altre cose, è riuscito a ottenere l’appoggio del Partito della prosperità e della giustizia, il principale partito islamista del Parlamento indonesiano.
Un altro pezzo di società molto conteso da entrambi i candidati è quello dei giovani tra i 17 e i 35 anni, circa il 40 per cento degli aventi diritto al voto. I partiti di Jokowi e Prabowo, rispettivamente il Partito democratico indonesiano di lotta (liberaldemocratico) e il Partito del movimento della grande Indonesia (nazionalista e di destra), hanno cercato modi originali per attirare l’elettorato più giovane: il primo presentando diversi articoli di abbigliamento rivolti ai giovani, tra cui magliette, giacche e cappellini, il secondo stabilendo rapporti con youtuber e influencer. Entrambi hanno assunto professionisti dell’uso di Twitter, Facebook, Instagram e YouTube per cercare di ottenere il favore dei 130 milioni di utenti dei social media attivi in Indonesia, quelli che trascorrono più ore online, secondo uno studio del 2018 svolto da We Are Social.
Il problema della disinformazione
Più che della correttezza del processo elettorale, diverse organizzazioni indonesiane e internazionali che stanno seguendo le elezioni in Indonesia sono preoccupate della diffusione delle fake news, le notizie false, un problema che affligge il paese da tempo e che è aggravato dal numero molto elevato di indonesiani che usano i social network e i servizi di messaggistica istantanea, in particolare Facebook e WhatsApp. Mafindo, organizzazione indonesiana che combatte contro le fake news, ha detto che le notizie false e la disinformazione sono aumentate del 61 per cento tra dicembre 2018 e gennaio 2019.
Lo scorso anno il magazine indonesiano investigativo Tempo scrisse che sia Jokowi che Prabowo stavano usando i cosiddetti “team ombra” all’interno dei rispettivi staff per attaccarsi l’uno con l’altro tramite la diffusione di fake news. In un recente dibattito televisivo tra i due candidati, giornali e organizzazioni contro le fake news solitamente in competizione tra loro hanno unito le forze per fare un fact-checking in tempo reale di quello che veniva detto, grazie al lavoro di più di una trentina di giornalisti e fact-checker.
Il più colpito dalla disinformazione è stato Jokowi, che è stato definito dai suoi avversari cristiano, di origini cinesi e comunista, tutte cose che in Indonesia non sono viste troppo bene. Ross Tapselle, esperto di Indonesia all’Australian National University, ha scritto sul New York Times che inizialmente Jokowi aveva cercato di difendersi dimostrando la falsità delle informazioni diffuse sul suo conto, poi però è passato alle maniere forti: ha minacciato di chiudere Facebook e WhatsApp, ha ordinato alle forze di sicurezza indonesiane di punire i cittadini che diffondevano fake news e ha fatto arrestare diversi membri di quello che si autodefinisce “Esercito informatico musulmano“, hacker vicini ai gruppi religiosi musulmani più conservatori che appoggiano Prabowo.
I sondaggi dicono comunque che molto probabilmente le elezioni saranno vinte di nuovo da Jokowi, che al momento sembra essere avanti diversi punti percentuali e che otterrebbe così il suo secondo mandato da presidente.