Lo sblocca-cantieri è bloccato

Era stato "approvato" 27 giorni fa e da allora è sparito: dovrebbe contenere una serie di norme per ridurre controlli e regolamenti su appalti ed edilizia che piacciono molto alla Lega

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Lo scorso 20 marzo, il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto “decreto sblocca-cantieri”, una legge che contiene una serie di norme per ridurre regolamenti e controlli nella gestione degli appalti pubblici e semplificare l’attività edilizia in generale. Ventisette giorni dopo di quel decreto circolano solo le bozze, nonostante la Costituzione prescriva che lo strumento del decreto debba essere utilizzato solo per casi di “necessità e urgenza”. L’urgenza però è sembrata passare in secondo piano rispetto alle profonde divisioni interne alla maggioranza su cosa inserire nel decreto.

Era già accaduto in passato che il Consiglio dei ministri approvasse soltanto le linee guida generali di un provvedimento, lasciando poi ai tecnici il compito di scriverlo nei dettagli (in questi casi si dice in genere che il provvedimento è approvato “salvo intese”), causando così un ritardo tra il momento dell’approvazione e quello della sua entrata in vigore (il che avviene formalmente con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale).

Ma quello di questi giorni è un ritardo insolito, secondo il Sole 24 Ore è addirittura il più lungo della storia: mai erano trascorse quasi quattro settimane senza che venisse pubblicato un provvedimento in teoria già approvato. Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha assicurato che entro un paio di giorni il decreto sarà pubblicato, ma i giornali di oggi riportano indiscrezioni provenienti dal Quirinale secondo le quali il presidente della Repubblica potrebbe chiedere al governo di approvare il decreto una seconda volta, visto l’enorme ritardo nella sua approvazione: sarebbe anche questa una prima volta nella storia repubblicana.

Le ragioni del ritardo, scrivono i quotidiani, sono le solite: complessità della materia e divisioni politiche su come affrontarla. Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si poteva capire già dalla riunione del Consiglio dei ministri del 20 marzo: convocata alle 14, venne sospesa poco dopo per dare il tempo ai tecnici di consultarsi sui punti più controversi, fu poi riconvocata di nuovo poco prima delle 19 e quindi proseguì fino alle 21 quando venne pubblicato un comunicato vago e generico che lasciava intuire come nel governo non ci fosse accordo su niente o quasi.

L’argomento del decreto, appalti pubblici ed edilizia, è particolarmente complicato e specialistico, ma la divisione tra i due schieramenti è abbastanza chiara. La Lega, sostenuta da molte associazioni di imprenditori, in nome della “semplificazione”, vuole ridurre il più possibile i controlli e i regolamenti anticorruzione e antimafia, oltre che la burocrazia in generale. Il Movimento, un tempo la forza politica che chiedeva la maggiore severità nella gestione di appalti e regolamenti, condivide il principio in generale, ma non è disposto a far passare tutto ciò che chiede la Lega. Per il Movimento si occupa del decreto il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Danilo Toninelli. La Lega invece lo segue tramite il sottosegretario Armando Siri.

Un caso tipico di questa trattativa è la soglia nel valore di un appalto oltre la quale è necessario fare una gara. Attualmente questa soglia è di 40 mila euro ed è ritenuta troppo bassa da molti imprenditori. Nel corso dell’elaborazione del decreto si è parlato di alzarla fino a un milione di euro, una norma che era stata appropriatamente ribattezzata “ammazza gare”, perché avrebbe cancellato in un momento la maggioranza delle gare d’appalto pubbliche che si fanno in Italia. Nelle ultime bozze di decreto questa soglia sembra che sia stata abbassata a 200 mila euro.

Il decreto toccherà anche la normativa per i subappalti, che sarà allargata (sarà insomma possibile fare più subappalti e più facilmente), dovrebbero inoltre essere molto allargati i poteri dei commissari straordinari governativi, che potranno occuparsi di opere pubbliche agendo in deroga rispetto a gran parte delle leggi sui contratti pubblici; e verrà anche ripristinato il “massimo ribasso”  come norma nella scelta dei vincitori degli appalti (si sceglie chi offre la cifra minore, senza meccanismi per premiare altri aspetti, come avveniva col meccanismo dell’offerta “economicamente più vantaggiosa”).

L’insieme delle modifiche che sembra saranno introdotte dal decreto piace alle associazioni di costruttori che in questi giorni esprimono cauto ottimismo sulla norma (anche loro hanno visto solo le bozze del testo). Sono invece contrari sindacati e altre associazioni. Alberto Vannucci, professore di Scienza politica all’Università di Pisa e membro della presidenza dell’associazione Libera ha ribattezzato la legge “sblocca-tangenti”, mentre il sindacato degli edili della CGIL, la FILLEA, ha scelto il termine “sblocca-porcate”. Il segretario, Alessandro Genovesi, ha spiegato che con il decreto: «Torneremo alla legge della giungla, con tutto ciò che questo vuol dire in termini di lavoro nero, rispetto dei contratti di lavoro, sicurezza, legalità e corruzione».