La fine del Chievo che conosciamo?
La piccola squadra veronese – che per alcuni anni era sembrata un modello – è stata retrocessa dopo undici stagioni in Serie A, nell'anno della penalizzazione per il caso plusvalenze
Dopo essere stato ultimo in classifica per tutto il campionato, domenica il Chievo Verona ha perso 3-1 contro il Napoli ed è matematicamente retrocesso in Serie B con sei giornate di anticipo. Il Chievo Verona – o Chievo – quest’anno non aveva mai dato l’impressione di poter evitare la retrocessione, e la sua situazione era peggiorata a metà settembre, quando il Tribunale sportivo federale gli aveva inflitto tre punti di penalizzazione in classifica per il caso delle plusvalenze fittizie. Questa storia, che non è ancora del tutto chiusa, ha coinvolto tutta la società, fino al presidente e proprietario Luca Campedelli, e rischia di mettere fine al Chievo che quasi tutti conoscono, quello della storica promozione in Serie A del 2001 e di un progetto che per anni è stato simbolo di un calcio “sano”.
Il Chievo è la squadra di una piccola frazione di Verona che conta meno di 5.000 abitanti. Il borgo deve la sua fama alla squadra, nata di fatto nel 1929 ma rifondata nell’immediato dopoguerra. Nel 1964 Luigi Campedelli, proprietario dell’azienda dolciaria Paluani, ne divenne proprietario e presidente e a partire dagli anni Ottanta, sotto la sua gestione e quella del figlio Luca, il Chievo fu protagonista di una delle storie più incredibili del calcio italiano, salendo dalle categorie dilettantistiche fino alla Serie A, raggiunta nel 2001, e poi ancora fino ai preliminari di Champions League, disputati nel 2007.
A differenza dell’altra squadra veronese, l’Hellas, un club che negli ultimi vent’anni è stato gestito da diverse proprietà, spesso deboli e poco trasparenti, il Chievo ha saputo creare un modello di gestione oculato, spendendo sempre poco ma riuscendo nonostante tutto a disputare diciassette degli ultimi diciotto campionati di Serie A. Nelle ultime stagioni, tuttavia, la squadra è cresciuta troppo poco. Di conseguenza i suoi risultati sono calati fino al ritorno in Serie B: le cessioni di Valter Birsa, Lucas Castro e Dario Dainelli si sono rivelate incolmabili. In trentadue partite disputate quest’anno con tre allenatori diversi, il Chievo ha ottenuto soltanto una vittoria, a fronte di undici pareggi e venti sconfitte, compresa l’ultima decisiva contro il Napoli.
La scorsa estate, inoltre, il Chievo era stato accusato di aver contabilizzato nei suoi bilanci annuali delle plusvalenze fittizie, grazie alle quali avrebbe registrato un patrimonio netto superiore a quello esistente vendendo giocatori delle sue giovanili per cifre gonfiate. Le stesse accuse erano state rivolte al Cesena, la squadra con cui il Chievo mise in atto queste operazioni. Secondo l’accusa, senza le plusvalenze fittizie entrambe le società non avrebbero soddisfatto i requisiti per l’iscrizione agli ultimi tre campionati. La scorsa estate il Tribunale federale aveva condannato il Cesena a 15 punti di penalizzazione, anche se la società era poi stata esclusa dalla Serie B per irregolarità fiscali e successivamente fallita. Nel caso del Chievo, invece, era stata dichiarata l’improcedibilità, poiché la procura federale non aveva raccolto nei tempi consentiti la testimonianza del presidente Campedelli.
A settembre il processo sportivo si era comunque concluso con tre punti di penalizzazione da scontare nella stagione in corso — a fronte dei quindici richiesti dalla procura — e 200.000 euro di multa. Il caso non è ancora chiuso: è infatti passato dalla giustizia sportiva a quella amministrativa, che sta ancora indagando Campedelli e l’ex presidente del Cesena Giorgio Lugaresi.
Nel 2007 – nell’anno dei preliminari di Champions League – il Chievo Verona era già stato retrocesso in Serie B una prima volta, ma era riuscito a tornare immediatamente in Serie A e il progetto sportivo non era sembrato compromesso. Ora però il futuro della squadra sembra legato all’indagine in corso sulla faccenda delle plusvalenze e, più ampiamente, alla capacità della società di ritrovare un nuovo modello di sviluppo.