Cosa ha fatto un anno di Spazio a Scott Kelly
Una ricerca senza precedenti su Science spiega i cambiamenti che ha subìto l'astronauta, rispetto al suo fratello gemello rimasto sulla Terra
Scott Kelly ha 55 anni ed è una delle pochissime persone ad avere vissuto per un anno consecutivo in orbita, intorno al nostro pianeta tra il 2015 e il 2016, sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Anche Mark Kelly ha 55 anni ed è un astronauta: è il gemello di Scott, ma a differenza di suo fratello tra il 2015 e il 2016 è rimasto con i piedi ben saldi sulla Terra. Scott e Mark Kelly sono ora diventati gli astronauti gemelli più studiati nella storia delle esplorazioni spaziali e un nuovo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista scientifica Science, ha fornito per la prima volta nuovi elementi per avere indizi su cosa comporti la vita nello Spazio per l’organismo umano.
I ricercatori della NASA, e non solo, sanno ormai da tempo che non siamo proprio fatti per lo Spazio. Nel corso di centinaia di migliaia di anni di evoluzione, il nostro organismo si è adattato a vivere nelle condizioni più varie ed estreme offerte dal nostro pianeta, ma sempre rimanendo sotto la rassicurante protezione della nostra atmosfera e sotto la piena influenza della forza di gravità terrestre (sul mal di schiena possiamo ancora migliorare). La vita in assenza di peso – come quella che conducono gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale – complica le cose, soprattutto dopo una lunga permanenza, e questo potrebbe condizionare le nostre possibilità di esplorare un giorno pianeti lontani come Marte. Per questo la ricerca sui gemelli Kelly è importante.
Secondo la ricerca pubblicata su Science, l’organismo di Scott Kelly ha subìto alcuni cambiamenti che non sono stati invece riscontrati in Mark Kelly, la sua “copia” rimasta sulla Terra. Molti di quei cambiamenti sono scomparsi dopo il rientro di Scott, senza lasciare modifiche permanenti preoccupanti da un punto di vista clinico.
Alcuni effetti erano noti e prevedibili, considerato che interessano tutti gli astronauti che soggiornano sulla ISS. L’assenza di peso fa sì che si riduca il tono muscolare, perché l’organismo fa meno fatica negli spostamenti e la muscolatura non deve sorreggere il suo peso. Per lo stesso motivo, le ossa tendono a diventare meno dense, e quindi a essere più fragili. Gli astronauti si sottopongono quindi a quotidiane sessioni di allenamento sulla ISS, con particolari attrezzature per fare ginnastica ed evitare di perdere più di tanto il tono muscolare. Il rischio di ammalarsi di cancro aumenta leggermente, a causa della maggiore esposizione alle radiazioni dell’ambiente spaziale.
Da sfere quasi perfette, i bulbi oculari degli astronauti tendono a schiacciarsi leggermente e a gonfiarsi, per cause che non sono ancora del tutto chiare, e che possono portare a qualche problema alla vista. L’assenza di peso fa sì che l’afflusso di sangue verso la testa aumenti: è per questo che gli astronauti, soprattutto nei loro primi giorni a bordo della ISS, appaiono paonazzi e con il viso gonfio. L’adattamento fa sì che pian piano il gonfiore diminuisca, anche se non scompare mai del tutto.
Tutti questi effetti noti da tempo sono stati riscontrati anche nel caso di Scott Kelly e della sua annuale permanenza in orbita. I ricercatori hanno però notato altri cambiamenti, per i quali sono stati comunque molto cauti nel trarre conclusioni definitive. Il problema è l’enorme quantità di variabili che devono essere tenute in considerazione: l’assenza di peso, i cambiamenti nei cicli sonno/veglia, i pasti molto diversi da quelli terrestri, lo stress legato alla vita in costante stretto contatto con altre cinque persone, la maggiore esposizione alle radiazioni e molto altro. Per farvi vagamente un’idea, immaginate come vi sentite dopo un volo transoceanico: ora pensate di vivere per un anno chiusi in un aeroplano con poche altre persone e le giornate che durano 90 minuti tra un’alba e l’altra.
Analizzando alcuni campioni cellulari prelevati da Scott Kelly, i ricercatori hanno notato cambiamenti al livello dei cromosomi, le strutture che contengono il DNA. Si sono accorti che i telomeri – la parte terminale dei cromosomi che serve da controllo per assicurarsi che la divisione cellulare avvenga nel modo giusto – avevano assunto una lunghezza diversa da quella solita. Si sa da tempo che i telomeri possono accorciarsi nel caso di forte stress e i ricercatori si aspettavano che potesse accadere la stessa cosa a quelli di Scott Kelly, considerata la vita condotta per un anno a 450 chilometri da noi. I telomeri di Kelly si sono invece allungati, esponendolo a un maggiore rischio per quanto riguarda i tumori. Al suo ritorno sulla Terra, i telomeri si sono nuovamente accorciati, ma ora risultano più corti rispetto a quando l’astronauta era partito per la sua missione.
La ricerca su Science spiega anche come sia cambiata l’espressione genica di Kelly, cioè il processo con cui le informazioni contenute nei geni (pezzetti di DNA) portano alla produzione di molecole con specifiche funzioni (di solito proteine). L’espressione genica oscilla spesso ed è condizionata da molti fattori che riguardano gli stili di vita, come la scelta di una nuova dieta, oppure un periodo in cui dormiamo poco. Nel caso di Kelly le variazioni sono state ancora più consistenti e hanno interessato diversi geni responsabili della produzione di proteine, compresi quelli che hanno a che fare con il sistema immunitario. Al rientro sulla Terra più del 90 per cento dei geni osservati sono tornati alla normale attività, ma non è ancora chiaro cosa abbia innescato i cambiamenti.
I ricercatori non sanno se i cambiamenti nell’espressione genica di Kelly siano positivi o negativi. Una spiegazione è che le variazioni siano ciò che consente all’organismo di rispondere a un ambiente molto diverso dal solito, adattandosi alle nuove condizioni. I ricercatori confidano di capire qualcosa di più tenendo sotto controllo Kelly per vedere come muterà ancora la sua espressione genica, in modo da vedere se i cambiamenti indotti dall’ambiente spaziale siano o meno completamente reversibili.
Sulla ISS vengono condotti ogni settimana svariati esperimenti, ma ciò che spesso non viene compreso è che il più grande esperimento di tutti riguarda proprio la permanenza degli astronauti a bordo della Stazione. Sono loro le prime “cavie” e le più interessanti: per questo ogni astronauta è tenuto costantemente sotto controllo, per verificare il suo stato di salute e il suo andamento. Gli abitanti della ISS devono raccogliere periodicamente campioni di sangue, feci e urine per le analisi. Da quelli di Kelly è emerso che la sua flora intestinale è cambiata: una specie di batteri, che popola il nostro intestino e ci aiuta a digerire e assimilare il cibo, è diminuita, mentre un’altra è aumentata. Le cose sono tornate al loro posto quando Kelly è rientrato sulla Terra, ma non è chiaro che cosa avesse determinato lo sbilanciamento in orbita.
Le capacità cognitive di Scott Kelly sono inoltre oscillate sensibilmente durante la sua missione. Sono diminuite all’inizio per poi aumentare dopo un certo periodo in orbita, ma sono nuovamente diminuite dopo il suo rientro sulla Terra. In seguito, sono nuovamente aumentante, anche se finora non sono tornate ai livelli precedenti la missione. Lo stress cognitivo per gli astronauti è molto forte e può condizionare la loro capacità di concentrazione, per questo è tenuto costantemente sotto controllo. Un’ipotesi è che quella di Kelly sia diminuita al ritorno sulla Terra quando si è trovato a dovere affrontare molte più sollecitazioni, cui non era più abituato in orbita. Oltre la fatica fisica di riabituarsi alla forza di gravità nella sua interezza, gli astronauti al loro rientro devono partecipare a innumerevoli ore di esami, test, conferenze stampa e viaggi da una parte all’altra della Terra per scopi di ricerca e di divulgazione.
Per quanto riguarda la vista, i ricercatori spiegano su Science di avere notato un lieve ispessimento della parte del nervo ottico in prossimità della retina. Questa modifica ha fatto sì che la vista di Kelly sia peggiorata, ma non è ancora possibile dire se si tratti di un effetto permanente o se ci siano margini di miglioramento.
L’esperienza di Scott Kelly e i confronti con il suo gemello Mark hanno permesso di notare stranezze e cambiamenti che terranno impegnati i ricercatori ancora per molto tempo, anche se loro stessi ammettono i limiti dell’iniziativa. Il problema più grande è che riguarda un solo individuo e quindi nessuna delle conclusioni dello studio può essere applicata a tutti gli altri astronauti. Non sappiamo se i cambiamenti siano stati determinati dalla vita nello Spazio, oppure da combinazioni ed eventi casuali nell’organismo di Kelly, che si sarebbero potuti verificare anche sulla Terra.
Dopo il suo rientro nel 2016, Scott Kelly raccontò di avere avuto diverse difficoltà prima che il suo organismo si abituasse nuovamente a vivere senza fluttuare. Non riusciva a stare correttamente in piedi, aveva dolori articolari, una sensibilità della pelle più alta, al punto da percepire e provare fastidio al contatto con i vestiti. Spiegò di percepire l’ambiente terrestre un po’ più “ostile” rispetto a come lo ricordava. Altri astronauti hanno provato e descritto sensazioni simili, anche per periodi di permanenza più brevi sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Capire come reagisce il nostro organismo dopo molto tempo nello Spazio sarà essenziale per pianificare missioni ancora più ambiziose delle attuali, che prevedono per esempio periodi prolungati di permanenza in orbita intorno alla Luna e, in un giorno ancora imprecisato, l’arrivo dei primi esseri umani su Marte. In questi termini, lo studio pubblicato su Science offre qualche prospettiva, ma nulla di risolutivo per quanto riguarda le radiazioni più intense cui saranno esposti gli astronauti a maggiore distanza dalla Terra. Sulla ISS, infatti, l’influsso del campo magnetico terrestre è ancora presente e questo fa da schermo a buona parte delle radiazioni. Oltre quel grande magnete che è il nostro pianeta, tanto per cambiare, le cose si fanno più complicate.