Il ddl Pillon è ancora lì
Il M5S lo aveva definito «archiviato», promettendo una «riscrittura» del contestato disegno di legge su separazioni, divorzi e affido dei minori, che ieri però è arrivato in commissione Giustizia
Martedì 9 aprile in commissione Giustizia del Senato la maggioranza parlamentare ha deciso il passaggio del contestato disegno di legge 735 (il cosiddetto “ddl Pillon”, dal nome del senatore leghista che l’ha proposto) dalla sede redigente alla sede referente. Nonostante questo passaggio e nonostante qualche giorno fa Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del M5S, avesse detto che il ddl era stato «archiviato», ha dunque avuto inizio l’iter che porterà al voto del Parlamento il testo di riforma delle norme in materia di affido e separazione. Il Movimento 5 Stelle quindi non ne ha chiesto il ritiro, ma ha solo annunciato che arriverà un nuovo testo condiviso con la Lega.
Lo scorso agosto il ddl era stato assegnato alla commissione Giustizia del Senato in sede redigente: significa che la commissione avrebbe potuto discutere, emendare e poi votare la legge articolo per articolo, e che l’assemblea avrebbe potuto solamente esprimersi sul provvedimento nel suo complesso con un voto finale. Lo scorso ottobre la commissione aveva quindi iniziato le audizioni a cui avevano partecipato centri antiviolenza, associazioni, legali, psicologi, esperti di diritto. Terminata quella fase è iniziata ieri la discussione: un quinto della commissione ha chiesto però che si tornasse a lavorare in sede referente, cioè col metodo più tradizionale che prevede che il grosso del lavoro venga poi svolto dall’aula.
Il vicepresidente della commissione Giustizia, Mattia Crucioli del Movimento 5 Stelle, ha detto che «il Pillon non sarà il testo base» e «verrà dato mandato per una riscrittura e per un testo unificato». Nonostante questi annunci, il movimento femminista Non una di meno, la rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re e molte altre associazioni stanno continuando a protestare, affermando che la maggioranza stia cercando di guadagnare tempo e che anche i disegni di legge collegati al Pillon presentino criticità.
L’atto numero 45 associato al ddl 735 sostituisce per esempio l’abitualità del comportamento violento con la sistematicità affinché il reato sia punibile. Cancella così quello che secondo gli esperti è il tratto distintivo della violenza domestica, che si compone di un’alternanza tra abusi e momenti di pentimento e di serenità apparente. Come ha spiegato Teresa Manente, avvocata di Differenza Donna che fa parte della rete D.i.Re e che da anni si occupa dell’ufficio delle avvocate penaliste all’interno dei centri antiviolenza, «la giurisprudenza ha stabilito che i periodi di normalità non escludono l’abitualità della violenza perché sono fatti apposta per tenere sottomessa la donna nel maltrattamento all’interno del rapporto (…) Per questo togliere l’abitualità e sostituirla con la sistematicità, significa negare il fenomeno della violenza domestica e molti uomini violenti sarebbero assolti».
Da tempo i movimenti femministi chiedono il ritiro di quel ddl e degli altri collegati, non ritenendoli migliorabili o emendabili. Il ddl era stato criticato anche dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, che lo scorso 22 ottobre avevano scritto una lettera preoccupata al governo italiano. Nella lettera dell’ONU si dice che le modifiche introdotte dal ddl porteranno a «una grave regressione che alimenterebbe la disuguaglianza di genere» e che non tutelano le donne e i bambini che subiscono violenza in famiglia. Le critiche dell’ONU riprendono quelle già avanzate in Italia da vari fronti, che sono tutti compatti e concordi nel dire che cosa nel ddl non funziona: ostacola il divorzio rendendolo molto complicato e oneroso, non tutela l’interesse del minore soprattutto quando entra in gioco il discusso concetto di alienazione parentale, persegue una bigenitorialità coatta, introduce l’obbligatorietà del ricorso a un mediatore privato a pagamento nelle separazioni con figli minori, comprese quelle legate a violenza e abusi.