La storia dei “truffati dalle banche”, dall’inizio
Cosa ha deciso il governo sui rimborsi e perché in realtà non stiamo parlando di "truffati dalle banche" (o almeno: non solo)
Nel corso di un’insolita riunione avvenuta ieri a Roma, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha chiesto ai rappresentanti di 17 associazioni di “risparmiatori” – cioè persone che hanno dei soldi in banca e li investono – di votare sulla sua proposta di rimborso destinata alle persone coinvolte nei crack bancari degli ultimi anni. Il tema era in discussione da mesi, un periodo nel quale Tria ha dovuto subire attacchi da parte dei suoi stessi alleati e accuse di voler ostacolare l’approvazione dei rimborsi. Alla fine però, quando il ministro ha messo la sua proposta sul tavolo, 15 associazioni hanno votato a favore del piano. Le due che non lo hanno fatto, hanno spiegato dicendo che la proposta gli piace, almeno nelle intenzioni, ma che prima di approvarla vorrebbero vederne il testo. Intervistato da Repubblica, Tria oggi minimizza gli attacchi subiti nelle scorse settimane e definisce l’accordo «molto vantaggioso e positivo».
La sua proposta dovrebbe essere approvata nei prossimi giorni, forse settimane, tramite un decreto legge: quello che i giornali hanno già battezzato “decreto truffati dalle banche”. È un nome fuorviante, però, poiché a essere rimborsati non saranno soltanto coloro che sono stati “truffati” secondo la sentenza di un giudice o una decisione di un’altra autorità, ma quasi tutti coloro che hanno comprato obbligazioni e azioni delle banche entrate in crisi. Per finanziare l’operazione la legge di bilancio aveva già stanziato 1,5 miliardi di euro alla fine dello scorso anno.
Come ha notato il giornalista di Radio 24 Simone Spetia, a essere coinvolte saranno categorie di persone molto diverse le une dalle altre: chi è stato realmente truffato, persone incaute che non hanno letto bene le informazioni a loro disposizione, persone che hanno fatto consapevolmente investimenti rischiosi sperando di guadagnarci e infine imprenditori che hanno acquistato azioni delle banche per ricevere in cambio dei prestiti (che, in molti casi, non avrebbero altrimenti avuto sufficienti garanzie per ottenere). Una definizione più corretta, quindi, è “risparmiatori e investitori coinvolti nei crack bancari”.
In base al piano Tria, saranno coinvolti risparmiatori e investitori privati o piccoli imprenditori delle quattro banche popolari, tra cui Banca Etruria, “risolte” (come si dice in gergo) nel 2015, e quelli delle due banche venete, su cui il governo è intervenuto nel 2017, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Il meccanismo previsto per il rimborso è stato già soprannominato a “due binari”, il primo dei quali dovrebbe riguardare da solo circa il 90 per cento degli investitori e risparmiatori coinvolti. A poterlo utilizzare saranno tutti coloro con un reddito ISEE fino a 35 mila euro annui oppure con un patrimonio mobiliare inferiore ai 100 mila euro.
Chi soddisferà queste caratteristiche riceverà automaticamente un rimborso pari al 30 per cento del valore delle azioni perdute e pari al 95 per cento dei suoi investimenti in obbligazioni. Il restante dieci per cento sarà sottoposto a una procedura di arbitrato durante la quale una commissione di 9 esperti stabilirà se il loro caso costituisce effettivamente una truffa.
Sembra che questo “doppio binario”, che stabilisce risarcimenti automatici in base a un criterio sociale ma prevede anche procedure di arbitrato, sia stato necessario per evitare sanzioni da parte della Commissione Europea. Sono infatti le leggi europee, votate anche dall’Italia, a stabilire che in caso di istituti bancari in dissesto proprietari e investitori della banca debbano “contribuire” al salvataggio (si tratta del famoso “bail in”). Per questa ragione quando arriva l’intervento statale, tramite garanzie o prestiti di emergenza, gli azionisti (che sono i proprietari della banca) vengono azzerati e la stessa sorte di solito tocca agli obbligazionisti junior, coloro che hanno prestato soldi alla banca in una modalità particolarmente rischiosa ma in genere più remunerativa.
È in base a questo principio che gli azionisti (cioè i proprietari) e gli investitori (cioè gli obbligazionisti) hanno perso il denaro che ora il governo gli vuole in parte restituire. Nelle scorse settimane la Commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager ha raggiunto proprio su questo punto un accordo con il ministro Tria che dovrebbe evitare sanzioni per una norma che, di fatto, aggira le disposizioni previste dal “bail in”. «È una grande apertura da parte della Commissione europea», ha commentato il sottosegretario all’Economia della Lega Massimo Bitonci.
Gran parte dei problemi del “bail in” derivano dall’applicazione di questo sistema a un panorama bancario particolare, come quello italiano. Nel nostro paese, infatti, a entrare in crisi sono state soprattutto banche popolari piccole e medie, molto legate al loro territorio. Il loro fallimento ha colpito in maniera sproporzionata e concentrata aree territoriali di estensione ridotta che di colpo hanno visto sparire centinaia di milioni di euro di risparmi e investimenti, a volte miliardi.
Tutte quelle coinvolte, inoltre, erano banche popolari, un tipo di banca che ha migliaia di azionisti (è il cosiddetto “azionariato diffuso”). Possedere azioni di questi istituti è considerato da molti una forma di risparmio, più che un rischioso investimento. Le procedure del “bail in”, quindi, hanno coinvolto un numero di persone molto più elevato di quanto molti immaginavano; i risparmiatori colpiti, concentrati in ristrette aree geografiche, si sono subito dimostrati molto abili a riunirsi in gruppi e a fare pressione sui vari governi che si sono succeduti in questi anni. Diverse salvaguardie erano state approvate negli ultimi anni, ma le procedure di rimborso non sono sempre andate avanti in maniera rapida, alimentando l’insoddisfazione dei risparmiatori che le forze della nuova maggioranza parlamentare hanno spesso cavalcato.
Quando il decreto sarà presentato, rimarranno comunque due cose da chiarire: quando inizieranno le procedure di rimborso (una delle ipotesi è che vengano rimandate al 2020) e se le risorse destinate all’operazione saranno aumentate rispetto agli 1,5 miliardi di euro stanziati dalla legge di bilancio.