La testimonianza del carabiniere che vide il pestaggio di Stefano Cucchi

Francesco Tedesco ha parlato per la prima volta di quanto accadde la notte del 15 ottobre 2009, e dei successivi tentativi di depistaggio

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

È iniziata oggi davanti alla prima Corte d’assise di Roma la testimonianza di Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, che ha confermato davanti ai giudici quanto aveva detto nell’estate del 2018, ammettendo di aver assistito al pestaggio di Cucchi e accusando Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, due carabinieri a processo con lui con l’accusa di omicidio preterintenzionale, di esserne i responsabili.

Tedesco ha raccontato che il pestaggio avvenne la notte del 15 ottobre 2009, dopo che Cucchi era stato fermato dai carabinieri e portato nella caserma Appia di Roma. Lì, dice Tedesco, Cucchi si sarebbe rifiutato di farsi prendere le impronte digitali, un fatto che avrebbe suscitato un “battibecco” con Di Bernardo e D’Alessandro. Di Bernardo allora avrebbe colpito Cucchi con uno schiaffo violento al volto, mentre D’Alessandro gli avrebbe dato un calcio con la punta del piede “all’altezza dell’ano”.

«Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete», sarebbe stata la reazione di Tedesco al pestaggio da parte dei suoi due colleghi, ma Di Bernardo avrebbe continuato a picchiare Cucchi, facendogli sbattere la testa a terra con violenza. Mentre Cucchi era a terra, poi, D’Alessandro gli avrebbe dato un altro calcio in faccia. A quel punto, racconta Tedesco, lui avrebbe fermato i suoi colleghi e avrebbe aiutato Cucchi a rialzarsi. Gli chiese come stesse, e lui rispose: «Sono un pugile, sto bene». Tedesco dice che successivamente redasse due annotazioni sull’aggressione di Cucchi, e di averle inserite nei registri della caserma. Giorni dopo, però, scoprì che dalle sue annotazioni erano state cancellate due righe con la penna.

Tedesco ha anche accusato Roberto Mandolini, all’epoca comandante della caserma Appia e indagato per calunnia, di aver coperto il pestaggio di Cucchi. Mandolini fece trovare un verbale già pronto da firmare ma Cucchi si rifiutò di firmarlo, mentre Tedesco si sentì obbligato a firmarlo per paura di ritorsioni. «Dire che ebbi paura è poco: ero letteralmente terrorizzato», ha detto Tedesco. «Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato». Mandolini lo avrebbe anche obbligato a dire di fronte al pm che Cucchi stava bene la notte del 15 ottobre, intimandogli di «seguire la linea dell’Arma» per continuare a fare il carabiniere. Riguardo all’essere rimasto in silenzio per tutti questi anni, Tedesco ha detto di aver deciso di parlare solo dopo aver letto il capo di imputazione del processo Cucchi-bis: «Ho letto che il pestaggio e la caduta avevano determinato la morte di Cucchi, ho riflettuto e non sono riuscito più a tenere dentro questo peso».

Nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi sono indagati cinque carabinieri, tra cui Tedesco, D’Alessandro e Di Bernardo, accusati di aver coperto la verità, depistato le indagini e aver fatto sparire ogni riferimento alle reali condizioni di Stefano Cucchi la notte in cui, dopo l’arresto, fu picchiato nella caserma Appia e poi trasferito nella caserma di Tor Sapienza. Durante le indagini sono stati coinvolti anche diversi altri ufficiali. L’insabbiamento delle prove sulla morte di Cucchi avrebbe coinvolto, secondo l’accusa, l’intera catena di comando dell’Arma dei carabinieri di Roma. Il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Giovanni Nistri ha detto in una lettera a Ilaria Cucchi che l’Arma dei carabinieri potrebbe costituirsi parte civile nel processo.