È stato bombardato l’aeroporto di Tripoli
Gli scontri attorno alla capitale libica tra le forze fedeli ai due governi rivali vanno avanti da giorni: finora sono morte più di 40 persone
Lunedì è stato bombardato l’aeroporto Mitiga di Tripoli, l’unico ancora funzionante nella capitale della Libia. Un video pubblicato online mostra un aereo da guerra avvicinarsi all’aeroporto e lanciare i missili contro l’obiettivo: per il momento non si hanno notizie di morti o feriti in quest’ultimo attacco, ma il governo del primo ministro Fayez al Serraj – riconosciuto dall’ONU e appoggiato dall’Italia – ha annunciato la chiusura dell’aeroporto. L’attacco è stato lanciato dalle forze fedeli al maresciallo Khalifa Haftar, principale avversario di Serraj e capo delle Forze armate libiche (LNA), cioè le forze che controllano buona parte della Libia orientale e meridionale e che puntano a conquistare Tripoli.
Gli scontri attorno a Tripoli tra i combattenti fedeli ad Haftar e quelli fedeli a Serraj vanno avanti da qualche giorno: venerdì era iniziata la battaglia per prendere il controllo all’aeroporto internazionale di Tripoli (non quello bombardato oggi), già distrutto nel 2014, due giorni dopo le milizie di Serraj avevano lanciato la controffensiva per fermare l’avanzata delle forze fedeli ad Haftar. Le persone uccise finora sono almeno quaranta, tra cui una ventina di soldati di Haftar.
L’ONU ha provato a chiedere alle due parti di accordarsi su un cessate il fuoco, per permettere ai civili e ai feriti di lasciare la città, senza però ottenere granché.
I giornalisti Chris Stephen e Petter Beaumont hanno scritto sul Guardian che diversi abitanti di Tripoli si stanno preparando per lasciare le proprie case con un breve preavviso. La situazione, comunque, è molto diversa tra la periferia sud e il centro: «La violenza nelle periferie è in contrasto con la calma tesa del centro città, dove le milizie fedeli al governo di Fayez al Serraj controllano le strade e dove i negozi sono rimasti aperti e i residenti seguono le notizie dei combattimenti dalle televisioni nei caffè».
La situazione è diventata molto preoccupante anche per le migliaia di migranti che vivono nei famigerati centri di detenzione di Tripoli. Negli ultimi giorni Al Jazeera è riuscita a parlare con alcuni di loro, contattandoli attraverso cellulari tenuti nascosti e riportando i loro racconti in forma anonima per ragioni di sicurezza. Alcuni dei migranti contattati hanno raccontato di non ricevere da due giorni né acqua né cibo, e di essere rimasti senza corrente elettrica e acqua corrente. Un uomo nel centro di Qasr bin Ghashir, nel sudest di Tripoli, ha raccontato che la battaglia non è lontana e che due soldati hanno promesso di trasferirli al sicuro: molti temono però che i due siano trafficanti e che venderanno i migranti come schiavi. In un altro centro i carcerieri sono scappati abbandonando le persone detenute.
Gli scontri hanno già convinto diverse società internazionali e governi stranieri a ritirare il proprio personale in Libia. Tra gli altri, hanno annunciato l’evacuazione del proprio personale la compagnia petrolifera italiana ENI e l’esercito statunitense. Sulle ultime vicende è intervenuta anche l’Unione Europea: lunedì il ministro degli Esteri britannico, Jeremy Hunt, ha detto che i ministri degli Esteri dei paesi membri si sono accordati per non prevedere soluzioni militari in Libia e per appoggiare il processo di pace iniziato dall’ONU. Negli ultimi mesi la guerra civile in Libia aveva provocato diverse tensioni nell’Unione Europea, in particolare tra Italia e Francia, i cui governi appoggiano rispettivamente Serraj e Haftar.
L’avanzata verso Tripoli è interpretata come un tentativo di Haftar di guadagnare una posizione di forza in vista della conferenza ONU sul futuro della Libia che si terrà il 14 aprile a Ghadames, nel sudovest del paese. Non è chiaro se Haftar riuscirà nel suo intento, anche se al momento sembra improbabile. Gli scontri più violenti a Tripoli sono iniziati dopo mesi di tentate mediazioni tra Serraj e Haftar, che però non avevano portato a nulla di definitivo.