Per quanto streaming c’è posto?
Netflix comanda il mercato, ma deve – e dovrà – difendersi dalla concorrenza di società con cui nessuno vorrebbe competere: Amazon, Apple e Disney
Il 2019 potrebbe essere l’anno in cui le entrate mondiali da abbonamenti a servizi di streaming supereranno quelle dei biglietti venduti nei cinema di tutto il mondo: e anche se non dovesse succedere nel 2019, tutto fa pensare che succederà entro i prossimi due o tre anni al massimo. Lo streaming a pagamento vale già alcune decine di miliardi di dollari ed è in gran crescita: sempre più persone hanno smartphone, tablet e smart tv di qualità sempre maggiore, e le connessioni internet stanno migliorando in tutto il mondo. Ma quanto ancora? Ci aspetta un futuro di abbonamenti a cinque, sette, dieci servizi diversi per ascoltare musica e vedere film e serie tv?
Lo streaming a pagamento (quelli bravi dicono SVOD, “subscription video on demand”) è una torta economicamente sempre più grande e invitante. Da anni la fetta più grande ce l’ha Netflix, che ci ha creduto prima e più di tutti, ma ora altre potenti aziende vogliono prendersi la loro fetta: di recente si è parlato molto di Disney e Apple, che quest’anno lanceranno i loro servizi SVOD, ma non sono le sole. La torta diventerà ancora più grande, insomma, ma chissà come saranno le fette: tutto lascia però pensare che tra il 2020 e il 2021 il settore dello streaming a pagamento cambierà molto.
La maggioranza degli analisti ritiene che nel settore ci sia spazio per al massimo due operatori dominanti; gli altri potrebbero ovviamente sopravvivere, ma sarebbero marginali. Se la previsione fosse vera, vorrebbe dire che qualche grandissima società sta per investire miliardi di dollari in una gara che perderà: che probabilmente almeno una tra Amazon, Disney e Apple sta per investire molto e perdere tanto.
A oggi, la situazione è chiara e semplice: c’è Netflix saldamente in testa e Amazon che rincorre a distanza. Tra le altre concorrenti ci sono state costose campagne acquisti, ma ancora niente di paragonabile: AT&T si è fusa con WarnerMedia, Comcast ha comprato Sky e Disney si è presa quasi tutta la 21st Century Fox.
AT&T, Comcast e Disney sono conglomerati mediatici: grandi gruppi che controllano tante cose ma soprattutto network televisivi e case di produzione cinematografiche. Questi gruppi vogliono entrare nel mondo dello streaming perché si sono accorti che la tv a pagamento funziona sempre meno, soprattutto tra i giovani, e perché le prospettive per i cinema non sono particolarmente confortanti. Inoltre, queste società hanno già i contenuti: Warner, Sky, Fox producono già film e serie tv. Gli manca la tecnologia, la piattaforma.
Le società tecnologiche come Apple o Amazon si sono interessate al settore dello streaming perché vogliono gli alti guadagni – più o meno fissi, mese dopo mese – garantiti dagli abbonamenti, e poi per fidelizzare i propri utenti e offrire loro un ricco “ecosistema” in cui gran parte di quello che fanno è fatto grazie a un servizio o un prodotto di una sola azienda. Queste società hanno la tecnologia, la piattaforma; gli manca – o hanno dovuto creare – il resto.
Le cose che servono sono queste:
- Un catalogo ricco di contenuti, possibilmente molto amato da un buon numero di spettatori: cose grandi e note, come Star Wars e Game of Thrones, ma anche come Friends.
- I grandi classici da soli non bastano. Servono contenuti nuovi e originali che facciano parlare, che diventino rilevanti: Stranger Things, per intenderci.
- Bisogna che questi contenuti siano su una piattaforma veloce, efficace, piacevole da usare, che funzioni sempre (o quasi) e da qualsiasi dispositivo: Netflix ce l’ha, Amazon pure, le altre devono farsela.
- Serve che tanti utenti si iscrivano, ma è necessario anche dare loro qualcosa di nuovo ogni mese, per farli restare. E farlo senza che, alla lunga, dal punto di vista economico le uscite superino le entrate. Sembra facile, ma è un problema pure per Netflix; figuratevi per chi deve inseguirla.
Vediamo ora come stanno le principali società in gara per la grande torta dello streaming, provando a capire su cosa sono forti e su cosa no.
Netflix
Nacque offrendo DVD a noleggio ma già nel 2007 capì che il cavallo vincente sarebbe stato un altro e iniziò a offrire contenuti in streaming. Dal 2016 si può davvero definire una società globale: è presente in 190 paesi e ha 139 milioni di abbonati. La maggior parte degli utenti di Netflix arriva da paesi diversi dagli Stati Uniti e meno del 10 per cento dei nuovi abbonati dell’ultimo anno era di madrelingua inglese. Quest’anno ci si aspetta che investa 15 miliardi di dollari in produzione di contenuti propri e in acquisizione di licenze di contenuti di altri.
Netflix ha una posizione dominante acquisita negli anni e una piattaforma che piace e funziona, con un algoritmo che chissà quanti dati avrà raccolto ed elaborato in tutto questo tempo. Con l’ingresso nel settore di altre società, Netflix potrebbe dover togliere dal suo catalogo i contenuti che acquisisce in licenza da quelle società (per esempio ogni film Marvel, che è della Disney), ma negli anni Netflix ha mostrato di sapersi creare in casa serie e film di successo, e quindi potrebbe anche fare a meno degli altri. Netflix non avrebbe i film Marvel, ma allo stesso tempo Disney+ (la piattaforma di streaming di Disney) non avrebbe Stranger Things, La casa di carta, Orange Is the New Black, eccetera eccetera.
Il vero problema per Netflix potrebbe essere economico. È una società più piccola delle altre con cui dovrebbe competere (tant’è che in passato si parlò della possibilità che Amazon, Disney o Apple la comprassero) e per crescere sempre e così tanto deve investire soldi che non ha, e che quindi chiede in prestito: si stima che abbia almeno 10 miliardi di dollari di debiti. Il gioco funziona finché gli utenti crescono. Se dovessero smettere di crescere Netflix dovrebbe smettere di investire, sperando però che gli utenti rimangano.
Amazon
Il suo servizio – Amazon Prime Video – potrebbe avere circa 100 milioni di abbonati, ma sono abbonati particolari, perché sono innanzitutto abbonati al servizio di spedizioni prioritarie Amazon Prime (che comprende al suo interno anche Amazon Prime Video). Non necessariamente tutti gli abbonati ad Amazon Prime usano anche Amazon Prime Video; alcuni forse nemmeno sanno di poter usufruire di questo servizio.
Amazon ha dalla sua una grande capillarità in tutto il mondo – è relativamente facile trasformare un utente Amazon in un iscritto ad Amazon Prime Video – e una grandissima possibilità di spesa. È una società molto più grande di Netflix; grande e potente più o meno quanto Disney; con più esperienza di Apple nei servizi di streaming a pagamento.
Per avere un’idea sulle intenzioni di Amazon basta ricordarsi che tra il 2020 e il 2021 lancerà una grande serie sul Signore degli Anelli, che sarà probabilmente la più costosa mai realizzata e che punta a essere la nuova Game of Thrones. Per ora si stima che Amazon stia spendendo in contenuti circa cinque miliardi di dollari all’anno.
Disney
La sua piattaforma di streaming si chiamerà Disney+ e arriverà anche questa entro il 2019. Per capire cosa potrebbe potenzialmente esserci in Disney+ basta guardare tutti i film, i personaggi, le storie e le saghe di cui Disney controlla i diritti. Non c’è una società con una proprietà intellettuale di storie di successo anche solo vagamente paragonabile a quella di Disney.
Ma c’è un problema: al momento questa proprietà intellettuale frutta a Disney molti soldi, perché Disney concede certi suoi contenuti in licenza a società come Netflix. Se Disney dovesse mettere certi contenuti in esclusiva su Disney+, dovrebbe rinunciare ai soldi che oggi guadagna concedendoli a Netflix, e sperare di riottenerli attraverso il proprio servizio: ma sapete cosa si dice di chi lascia la via vecchia per la nuova. Disney potrebbe scegliere di lasciare i diritti a Netflix e, allo stesso tempo, mettere quei contenuti su Disney+: ma in quel caso Disney+ perderebbe attrattiva e Netflix pagherebbe meno soldi per quei contenuti, sapendo che non sono più un’esclusiva. Insomma, le potenzialità ci sono, ma concretizzarle è complicato. Dall’altra parte, è anche vero che mentre Netflix deve faticare per tirare fuori dal cappello qualcosa come Stranger Things, a Disney basta schioccare le dita per fare una nuova “serie tv ambientata nel mondo di Star Wars“. Bùm.
Come spiega il sito Redef, per Disney sarà comunque un grosso salto: ora è una società B2B (business-to-business), perché vende i suoi contenuti ai cinema, alle tv; diventerebbe una società B2C (business-to-consumer), perché tratterebbe direttamente con i suoi clienti, senza intermediari. Sarebbe «una radicale ristrutturazione dell’azienda, di come è organizzata, di chi assume, di come investe e di come prende le sue decisioni». Disney comunque già controlla parte di Hulu, la seconda più grande piattaforma di streaming negli Stati Uniti: potrebbe imparare qualcosa da lì.
Apple
Nel mondo ci sono circa 1,4 miliardi di dispositivi Apple, che non è male come base di partenza per offrire un servizio di streaming. Si dice poi che Apple abbia già investito più di due miliardi di dollari nel suo futuro servizio, che si chiamerà Apple TV+, arriverà entro il 2019 e sarà disponibile in più di 100 paesi. Per ora non è chiaro quali “vecchi” contenuti ci saranno in Apple TV+, ma si sa che ci saranno contenuti originali di pezzi molto grossi come Steven Spielberg e Oprah Winfrey.
AT&T
Non esiste il concetto di “AT&T and chill“, e AT&T è un nome che magari a tanti non dice granché. Ma WarnerMedia ha i diritti di personaggi come Batman e Wonder Woman e soprattutto possiede HBO, il network televisivo a cui si riconosce di produrre i prodotti di migliore qualità e di maggiore successo. HBO ha i diritti per Game of Thrones e tutte le serie possibilmente pensabili in quel mondo, tra le altre cose. Non ci sono informazioni chiare su come e dove AT&T vorrà muoversi, ma se dovesse farlo sarà da tenere in considerazione.
Comcast
Oltre a Sky, la società controlla NBCUniversal, una delle più grandi case cinematografiche al mondo. Un po’ come per AT&T, non è ben chiaro cosa farà dal punto di vista dello streaming, ma potrebbe provare qualcosa.
Quindi
Nel breve periodo – parliamo di 12-18 mesi – è davvero difficile immaginarsi che Netflix perda la posizione di dominio che sta occupando. Nel medio-lungo periodo, invece, potrebbe succedere di tutto. Come spiega l’Hollywood Reporter, non è nemmeno detto che una società riesca a imporsi ovunque, e in giro per il mondo continua comunque a esserci spazio per servizi piccoli e nazionali in grado di coesistere con grandi società come Amazon, Disney, Apple o Netflix.
Una possibilità, nel medio-lungo periodo, è che qualcuno riesca a superare Netflix. Un’altra, come hanno di recente spiegato l’Economist e il Wall Street Journal, è che qualche altra società riesca a cambiare il mercato, prima ancora di superare Netflix. Alcune società potrebbero puntare a diventare aggregatori di canali o servizi di streaming: è la direzione che potrebbero prendere Amazon ed Apple. Altre società – e qui entrano in gioco Comcast e AT&T – potrebbero puntare sia sull’offerta di contenuti che sull’offerta di connessione a internet o telefonica (nel piccolo, il caso di TIMVision in Italia), e mettere la propria piattaforma di streaming all’interno di un più ampio pacchetto di offerte. Secondo l’Economist è questa la strada più interessante perché «la forma di questi pacchetti, e il nome di chi li venderà, dipenderà da chi avrà vinto le battaglie per lo streaming».
In ogni caso si tratta comunque di investire oggi per avere, forse, dei guadagni tra diversi anni e in un settore importante ma limitato: come sintetizza l’Economist, «non ci sono così tanti abbonamenti mensili da 10 dollari che la gente è disposta a sottoscrivere». Un pezzo grosso di Hollywood ha invece detto all’Economist, senza però dire il suo nome, che arriverà anche un giorno in cui il mercato dello streaming smetterà di crescere e che quel giorno sarà quello del «più grande post-sbronza della storia di Hollywood».