Lo scontro tra le truppe di Serraj e quelle di Haftar in Libia
È iniziata la controffensiva del governo riconosciuto dalla comunità internazionale: ma le milizie di Haftar possono davvero prendere Tripoli?
Domenica le forze armate del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato dal primo ministro Fayez al Serraj e con sede a Tripoli, hanno annunciato una controffensiva per respingere le forze del maresciallo Khalifa Haftar, a capo dell’altro governo libico, quello della Cirenaica. L’operazione si chiama “Vulcano di rabbia”, e ha come obiettivo quello di riconquistare le zone occupate dalle forze di Haftar nei giorni scorsi, nella loro avanzata verso la capitale Tripoli. Le Nazioni Unite hanno chiesto ai due schieramenti un cessate il fuoco di due ore per permettere agli abitanti di Tripoli e alle persone ferite di lasciare la città e mettersi al sicuro.
Fino a questa mattina gli scontri erano avvenuti principalmente nella zona dell’ex aeroporto internazionale della città, che dal 2014 non è più usato perché molto danneggiato. Oggi i combattimenti si sono spostati verso i quartieri meridionali di Tripoli. La situazione sul campo è ancora confusa, ma l’Esercito di Liberazione della Libia (LNA), le forze di Haftar, hanno detto di aver compiuto un primo bombardamento nella zona meridionale di Tripoli. Anche l’Aviazione Libica, che sostiene il governo di Serraj, ha detto di aver compiuto alcuni attacchi aerei, su un’area circa 50 chilometri a sud di Tripoli. Secondo il ministro della Salute libico, dall’inizio degli scontri sono morte almeno 21 persone.
La comunità internazionale da giorni fa appelli alla pace preoccupata che possa nascerne un conflitto più esteso. Sabato, in un discorso trasmesso in televisione, Serraj aveva accusato Haftar di voler compiere un colpo di stato, annunciando che l’esercito governativo respingerà «con forza e fermezza» l’avanzata delle LNA.
Sabato le LNA avevano detto di aver preso il controllo dell’ex aeroporto, che si trova a sud di Tripoli e che sarebbe stata una conquista più che altro simbolica: ma non è ben chiaro come stiano davvero le cose, visto che un funzionario dell’esercito governativo ha detto ad Al Jazeera che la zona è stata riconquistata.
La Libia oggi è divisa tra la zona controllata dal governo riconosciuto dalla comunità internazionale – quella più popolosa, attorno a Tripoli appunto – e la maggior parte del paese controllata da Haftar. È una conseguenza della deposizione, nel 2011, del dittatore Muammar Gheddafi. Negli ultimi mesi c’erano stati vari tentativi di mediazione tra Serraj e Haftar (un generale inizialmente fedele a Gheddafi, poi da lui esiliato), compresa la conferenza di Palermo organizzata nel novembre 2018 dall’Italia. Si erano poi nuovamente incontrati ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, alla fine di febbraio e in quell’occasione avevano stabilito che fosse necessario organizzare delle elezioni.
Secondo gli esperti, l’avanzata verso Tripoli di questi giorni è un tentativo di Haftar di mettersi in una posizione di forza in vista della conferenza delle Nazioni Unite, prevista nella città di Ghadames la prossima settimana: un funzionario dell’ONU ha detto sabato che per ora l’intenzione è di svolgerla comunque. Non è chiaro se Haftar abbia le risorse militari necessarie per conquistare Tripoli, anche se diversi analisti credono di no: l’impressione è che sovrastimi le sue forze, visto che non è nemmeno a capo di un vero esercito ma più che altro di una coalizione di milizie ribelli.
Per via dell’avanzata dell’LNA, la compagnia petrolifera italiana Eni ha deciso di evacuare il suo personale presente in Libia: a Tripoli, nel giacimento di Wafa in Tripolitania e in quello di El Feel, nel sud del paese, zona controllata da Haftar. Anche altre aziende straniere hanno fatto lo stesso. I cittadini di Tripoli invece avevano cominciato a fare provviste di cibo e carburante secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Agence France-Presse. Domenica anche l’esercito statunitense ha detto di aver temporaneamente fatto evacuare parte delle sue truppe in Libia.