Dovremmo trovare un altro nome al “revenge porn”
Non è un'espressione chiarissima, ma anche "pornovendetta" – proposto da alcuni giornali e dall'Accademia della Crusca – non migliora la situazione
Negli ultimi giorni, grazie a un emendamento approvato alla Camera il 2 aprile, molti italiani hanno sentito per la prima volta l’espressione inglese “revenge porn”. Il concetto che descrive – le immagini di nudità o atti sessuali diffuse senza il consenso della persona che ritraggono – era già noto da tempo grazie ad alcuni fatti di cronaca, come la vicenda di Tiziana Cantone; nei paesi anglosassoni se ne parla da anni e ci sono leggi in merito. Ora che anche in Italia diffondere immagini del genere potrebbe diventare reato (manca ancora il voto del Senato) nelle redazioni dei giornali e sui social network si è discusso sull’opportunità o meno di tradurre “revenge porn” in italiano e, se sì, come. C’è già un po’ di confusione.
Il 4 aprile Incipit, un gruppo di studiosi dell’Accademia della Crusca che si occupa dei neologismi e delle parole in lingue straniere usate dai giornali, ha consigliato ai giornalisti e a chi commenta le notizie su internet di non usare il termine “revenge porn” in quanto «forestierismo opaco». In effetti non è un’espressione chiara per chi non conosce molto bene l’inglese e proprio per questo, ha spiegato sul suo blog la linguista Licia Corbolante, che si occupa abitualmente di spiegare le differenze tra italiano e inglese, rischia anche di fraintendere la gravità dell’atto di cui si parla. Il neologismo proposto da Incipit per sostituire “revenge porn”, cioè “pornovendetta”, comparso su alcuni giornali almeno dal 2013, è però una traduzione scorretta: letteralmente “revenge porn” significa “pornografia vendicativa”. Lo ha spiegato la stessa Corbolante:
Chi ha affermato che la locuzione inglese revenge porn significa letteralmente vendetta pornografica dovrebbe ripassare la grammatica: in inglese la testa (il determinato) di un nome composto è la parola che sta più a destra, cioè porn.
Un’interpretazione letterale della locuzione revenge porn esclude quindi che sia un tipo di vendetta e rivela invece che si tratta di un particolare tipo di materiale pornografico [divulgato] con intento vendicativo (“per vendetta”).
In questo senso anche una frase come “il revenge porn è la pratica di diffondere immagini e video privati senza il consenso della persona interessata”, che anche il Post ha usato, è imprecisa: il “revenge porn” sono le immagini, più che la diffusione delle immagini. Il disegno di legge votato alla Camera non contiene né “revenge porn” e né “pornovendetta” – parla, correttamente, di «diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti» – ma le esigenze di spazio sui giornali e di immediatezza nel parlato rendono inevitabile che si usi un’espressione più sintetica. La stessa polizia ha diffuso una pubblicità in cui si usa l’espressione “revenge porn”, peraltro sbagliando la traduzione a sua volta: «Il revenge porn è una vendetta».
Tornando alla questione della corretta traduzione di “revenge porn”, si può anche pensare che una traduzione letterale non sia la scelta giusta, dato che l’espressione in inglese ha assunto un significato più ampio. Secondo la definizione del sito degli Oxford Dictionaries: «Immagini o video di nudo o sessualmente esplicite diffuse su internet senza il consenso della persona che ritraggono, di solito a opera di un ex partner, per causare disagio o imbarazzo». Proprio per via del fine per cui immagini di questo genere vengono diffuse, un’espressione alternativa a “revenge porn” che è stata proposta – lo ha fatto il peraltro blogger del Post e conduttore radiofonico Matteo Bordone – è “diffamazione pornografica”: non è una traduzione ma è un’espressione più corretta lessicalmente, chiara e facile da usare. D’altra parte smettere di usare “vendetta” e i suoi derivati per parlare di questo argomento eviterebbe anche di creare un fraintendimento sull’origine dei fenomeni di revenge porn: l’uso del termine “vendetta” sembra indicare una colpa di chi ne è vittima, colpa che sarebbe all’origine, per l’appunto, della vendetta.
La frase del Post citata prima, usando “diffamazione pornografica”, sarebbe più chiara e corretta: «La diffamazione pornografica è la pratica di diffondere immagini e video privati senza il consenso della persona interessata».
Corbolante ha pensato ad altre traduzioni corrette:
Alternative che si sarebbero potute considerare se non se ne fossero già affermate altre sono i calchi pornografia/porno vendichevole, porno vendicativo e porno per vendetta che però, come in inglese, non tengono conto che la vendetta non è una caratteristica distintiva. Di minore impatto ma che cercano di avvicinarsi al contenuto della nuova norma sono invece porno ostile, porno doloso oppure porno illecito.
C’è poi chi, come l’attivista femminista Giulia Blasi, pensa che usare la parola “pornografia” e i suoi derivati in questo contesto sia sbagliato perché – a differenza della vera e propria pornografia – le immagini di revenge porn non sono realizzate per un pubblico vasto con il consenso di tutte le persone coinvolte. Finora il Post ha sempre parlato del “revenge porn” chiamandolo così, almeno nei titoli e poi per non ripetere ogni volta cosa significhi, perché un corrispettivo italiano sintetico non era diffuso.