Perché l’assassino di Stefano Leo era libero nonostante fosse stato condannato

Secondo il presidente della Corte d'Appello di Torino c'è stato un ritardo nell'applicazione della sentenza, causato dalla mancanza di personale

(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

Edoardo Barelli, il presidente della Corte d’Appello di Torino, ha spiegato in una conferenza stampa il motivo per cui Said Mechaquat, che ha confessato di aver ucciso Stefano Leo lo scorso 23 febbraio a Torino, quel giorno fosse libero nonostante il 18 aprile 2018 fosse stato condannato a 18 mesi in via definitiva per maltrattamenti nei confronti della moglie. La conferenza stampa è arrivata dopo che per tutta la giornata i giornali italiani avevano parlato della questione. Barelli ha detto le notizie sulla questione erano state «molto inesatte», aggiungendo che i magistrati non hanno commesso errori: «Come sapete la Corte d’Appello è in grave ritardo e lo abbiamo già detto più volte, ma in questo caso la Corte di primo grado ha emesso un’ordinanza di inammissibilità il 18 aprile 2018 nei tempi previsti».


Dopo la sentenza di primo grado del 2016, era stato proposto un appello, ma il 18 aprile 2018 la Corte aveva emesso un’ordinanza di inammissibilità. La sentenza è diventata irrevocabile l’8 maggio del 2018, e il 9 maggio la Cancelleria avrebbe dovuto trasmettere l’atto all’ufficio esecuzioni della Procura. A causa di un arretrato di circa mille fascicoli e della carenza di personale, i cancellieri avevano ricevuto l’ordine di dare priorità alle sentenze con condanne superiori ai tre anni.

Barelli ha detto che la Corte avvierà un’indagine interna per appurare le colpe, ma ha specificato che se anche la sentenza fosse stata trasmessa il 9 maggio, non si avrebbe avuto la sicurezza che il 23 febbraio Mechaquat sarebbe stato in carcere: «Anche in sede esecutiva ogni sei mesi ci sono 45 giorni di beneficio, e se anche un imputato entra in carcere può avere misure alternative».