Quando cominciò a cambiare tutto, 75 anni fa a Salerno
Che cosa fu la "svolta" decisa da Togliatti nel 1944, che determinò cosa sarebbe diventata l'Italia dalla fine della guerra
Il 30 e il 31 marzo 1944, 75 anni fa, con la guerra in corso e l’Italia del centro-nord occupata dai nazisti (c’era appena stata la strage delle Fosse Ardeatine), si riunì a Salerno il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano, che era nato nel 1921 da una celebre scissione del Partito Socialista, era stato soppresso dal fascismo e stava uscendo da un lungo periodo di clandestinità dopo la caduta del regime fascista e l’armistizio del 1943. Le decisioni che il partito prese in quei giorni di accantonare l’opposizione alla monarchia e costituire un fronte unitario antifascista con altre forze politiche, per scelta del suo segretario Palmiro Togliatti, sono state chiamate “la svolta di Salerno” per la loro importanza nella sua successiva storia e nella storia d’Italia. Il PCI scelse così di partecipare al secondo governo provvisorio presieduto dal Maresciallo Pietro Badoglio, dando priorità alla sconfitta del fascismo e alla fine della Guerra Mondiale rispetto all’affermazione dell’identità storica e ideologica del partito. Palmiro Togliatti era rientrato in Italia qualche giorno prima dopo dieci anni trascorsi in Unione Sovietica.
Cosa stava succedendo
Il Maresciallo Pietro Badoglio – figura controversa cui sono attribuite grandi responsabilità nella disfatta di Caporetto nella Prima guerra mondiale – era capo di Stato maggiore dell’Esercito quando Benito Mussolini scelse di affiancare la Germania nella Seconda guerra mondiale. Si dimise dopo le prime sconfitte in battaglia riportate dall’Italia. Fu avvicinato da alcuni esponenti dell’antifascismo e gli venne affidato dal 25 luglio 1943 il governo provvisorio dell’Italia per gestire l’armistizio tra il Regno d’Italia e gli Alleati, dopo la caduta del regime fascista e l’arresto di Mussolini.
Quello di Badoglio era un governo militare, che si proponeva un ritorno alla situazione pre-fascista. Considerava prioritario lasciare intatte le strutture conservatrici in campo economico e sociale, impedendo così che la caduta del fascismo mettesse in discussione l’ordinamento monarchico; eventualità che era considerata politicamente e socialmente radicale, e avversata, in campo internazionale, da autorevoli leader dei paesi Alleati.
I partiti antifascisti (Partito Comunista, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e Partito d’Azione, Democrazia Cristiana, Democrazia del Lavoro e Partito Liberale) erano stati estranei al colpo di Stato che aveva fatto arrestare Mussolini ed erano propensi alla costituzione di un governo di unità nazionale; e quindi si trovavano in opposizione al governo Badoglio. Il quale nel frattempo aveva portato avanti trattative segrete con gli Alleati, che chiedevano la resa incondizionata dell’Italia e nel frattempo la stavano bombardando. L’armistizio venne firmato a Cassibile e reso pubblico l’8 settembre 1943.
Dopo l’8 settembre, l’Italia era divisa in due, con le regioni del Nord occupate dalle truppe tedesche, mentre il Re, con lo stesso Badoglio, si era spostato da Roma a Brindisi. I partiti antifascisti avevano costituito il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per organizzare la lotta di liberazione e reagire alla disgregazione dello Stato e all’incapacità dimostrata dalla monarchia e dal suo governo di difendere la sovranità del territorio nazionale e la vita stessa della popolazione.
Il partito comunista, quello socialista e quello d’azione ritenevano ineludibile il superamento della monarchia. Le posizioni democratiche e liberali, dentro il CLN, erano, invece, nel segno di un rinvio della questione monarchica; ciò che ritenevano prioritario era la costituzione di un governo di esponenti non legati al fascismo, con l’abdicazione del Re; il quale non mostrava, dal canto suo, né l’intenzione di abdicare, né quella di favorire la formazione di un governo politico.
Essendo Roma occupata dagli Alleati, a partire dall’11 febbraio 1944 il governo Badoglio si era trasferito a Salerno.
Alla fine di marzo del 1944 Togliatti ritenne prioritario fare appello all’unità di tutte le forze antifasciste per formare un governo politico a beneficio del Paese, liberare il paese sia dai seguaci di Mussolini che dai nazisti e rinviare dopo la fine della guerra la questione istituzionale (monarchia o repubblica?), evitando che le forze antifasciste si consumassero per effetto di lotte interne. Togliatti riuscì a sbloccare la situazione, ottenendo il consenso anche dei partiti più radicali, come quello socialista e quello d’azione.
Le implicazioni della “svolta”
La “svolta” di Salerno fu costituita dai seguenti principi:
- l’unità del fronte delle forze democratiche e liberali antifasciste;
- l’impegno a convocare, subito dopo la fine della guerra, un’assemblea nazionale costituente, eletta a suffragio universale diretto e segreto;
- la creazione di un governo transitorio, la cui forza e la cui autorevolezza derivassero dall’adesione dei grandi partiti di massa;
- la priorità alla lotta per la liberazione dell’Italia dal regime nazifascista, verso la costruzione di un governo democratico, come auspicato peraltro anche a livello internazionale dai diversi governi degli altri Paesi.
La nuova linea politica dettata da Togliatti, che sospendeva la questione dell’opposizione alla monarchia e dava priorità alla collaborazione con le forze antifasciste, disorientò molti esponenti del suo partito e fu accolta con scetticismo dagli altri due partiti di sinistra del CLN, il Psiup di Nenni e di Basso e il Partito d’azione di La Malfa e Valiani; nelle posizioni dei due partiti si auspicava una rivoluzione sociale e una rottura radicale col passato che portasse a una nuova Italia democratica, fondata su una pregiudiziale repubblicana.
Gli storici si sono interrogati per stabilire se la decisione assunta da Togliatti fosse stata presa in autonomia dalla volontà dell’Unione Sovietica o piuttosto concertata con Stalin e con gli esponenti del PCUS. Ricerche storiche condotte negli anni Duemila in archivi sovietici hanno mostrato come il leader sovietico Stalin e Togliatti avessero concordato sull’importanza per entrambi i paesi di consolidare un fronte unitario contro i tedeschi. Per il mantenimento di buoni rapporti con gli Alleati, la decisione, tuttavia, avrebbe dovuto apparire come assunta in sede nazionale indipendentemente dall’atteggiamento dell’URSS che, nel caso specifico, si sarebbe mostrata non ostile.
Il governo militare Badoglio restò in carica fino al 17 aprile 1944; cinque giorni prima, come preteso dal progetto di Togliatti, il Re nominò come suo luogotenente il figlio Umberto (a favore del quale abdicò poi nel 1946, alla vigilia del referendum monarchia/repubblica). Dal successivo 22 aprile si insediò il secondo governo Badoglio, politico e di unità nazionale; gli esponenti erano sia militari sia esponenti dei partiti antifascisti e Togliatti fu il vicepresidente del Consiglio. A giugno del 1944 il governo, con la liberazione di Roma da parte degli Alleati, si sciolse e fu seguito dal governo Bonomi, che restò presidente del Consiglio fino a guerra conclusa, nel 1945. Da lì si avviò la fase dell’Assemblea Costituente, con la creazione della Repubblica per referendum e le successive prime libere elezioni.