Ricordare per dimenticare
Un nuovo studio offre conferme alle teorie per cui per liberarsi di un ricordo è consigliabile riportarlo alla memoria quel tanto che basta per modificarlo
Studiando il funzionamento della nostra memoria, un gruppo di ricercatori negli Stati Uniti ha notato che a volte il modo migliore per dimenticare volontariamente una cosa è ricordarla quel tanto che basta. Secondo il loro studio, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Neuroscience, riportare alla memoria qualcosa che si vuole dimenticare può aiutare a gestire meglio il ricordo, modificarlo e infine rimuoverlo dalla propria mente. I risultati della ricerca s’inseriscono in un filone ormai molto esplorato su come il nostro cervello gestisce i ricordi, e come li riorganizza per mantenere il necessario e liberarsi del superfluo, o di ricordi troppo dolorosi.
Insieme ai suoi colleghi, Tracy Wang dell’Università del Texas ha organizzato un esperimento che ha coinvolto 24 volontari. A ciascuno di loro è stato richiesto di sottoporsi a una risonanza magnetica funzionale (un esame non invasivo che consente di vedere quali aree del cervello si attivano, in base a determinati stimoli) mentre partecipavano a un test della memoria.
Wang e colleghi hanno mostrato a ogni partecipante 200 immagini, una per volta, chiedendo di riconoscere la presenza di un viso di donna o di uomo, oppure una scena all’aperto o al chiuso. Dopo avere mostrato l’immagine per alcuni secondi, i ricercatori la facevano scomparire chiedendo al volontario di turno di ricordarla o di dimenticarla; il processo veniva poi ripetuto con l’immagine successiva. Nel frattempo, la macchina per la risonanza valutava l’attività cerebrale nelle aree del lobo temporale e della corteccia somatosensoriale, che di solito sono le più interessate durante un test sulla memoria visiva.
Al termine della sessione, ogni volontario aveva la possibilità di riposarsi per qualche minuto, prima di iniziare la seconda fase del test. Questa consisteva nell’osservare immagini, alcune già viste nella prima parte dell’esperimento e altre no, e dichiarare quanto fossero sicuri di averle già viste in precedenza o meno. In media, ogni volontario ha riconosciuto tra il 50 e il 60 per cento delle immagini per le quali gli era stato richiesto di serbare un ricordo, mentre ha dimenticato circa il 40 per cento delle immagini per le quali era stato richiesto di non ricordare.
L’analisi dell’attività cerebrale dei volontari ha evidenziato picchi in positivo o in negativo nel caso dei tentativi falliti nel dimenticare un’immagine. I ricercatori si sono accorti che un’eccessiva concentrazione per dimenticare qualcosa non aiuta il processo, così come uno sforzo eccessivo nel pensare ad altro. Nel loro studio, spiegano che i test hanno evidenziato la presenza di una via di mezzo dove un ricordo riaffiora quel tanto che basta per poterlo poi dimenticare. In linea di massima, sembra quindi che il modo migliore sia ricordare quel tanto che basta qualcosa per poi dimenticarlo.
La nuova ricerca conferma studi simili condotti in precedenza sui meccanismi che fanno funzionare la memoria. Da diverso tempo, molti esperti mettono in dubbio che il modo migliore per liberarsi di un ricordo sia non richiamarlo alla memoria, fino a quando diventa qualcosa di lontano e sfumato. Questo sistema funziona per alcuni tipi di ricordi, ma non si rivela sempre efficace per esempio nelle sessioni di terapia con pazienti con ricordi traumatici.
Al metodo classico della “repressione” dei ricordi viene talvolta preferito il sistema della “sostituzione”, che si ricollega in parte ai risultati della nuova ricerca. Consiste nel mettere in relazione un ricordo spiacevole e indesiderato con altri pensieri, che possano aiutare a modificare il ricordo e a renderlo più sopportabile nel caso in cui affiori nuovamente. In molti casi questa tecnica consiste nel dare peso alle parti positive rispetto a quelle negative: nel caso di un evento passato e traumatico, per esempio, ricordare l’aiuto ricevuto dalle persone che si hanno intorno rispetto all’evento in sé può aiutare a modificarne il ricordo, rendendolo più tollerabile.
Lo studio della memoria non è solamente importante come ricerca fine a sé stessa per capire meglio come funziona il nostro cervello, ma può rivelarsi molto utile per psicologi e psichiatri impegnati nell’aiutare i loro pazienti a rimuovere eventi traumatici dai loro pensieri. Ricordi di questo tipo tendono a essere molto persistenti e a rinnovarsi, con conseguenze dirette nella qualità della vita delle persone interessate. I terapeuti di solito lavorano per aiutare i pazienti a esplorare quei ricordi, ma in modo da attenuarne la portata ed evitando di rinforzarli. La nuova ricerca potrebbe offrire nuovi spunti su come perfezionare queste tecniche, aiutando i pazienti a ricordare quel tanto che basta per dimenticare.