Le dimissioni di Bouteflika non bastano più
In Algeria i manifestanti hanno cominciato a chiedere qualcosa di più delle sole dimissioni del presidente: vogliono che cambi tutto
Il 29 marzo, per il sesto venerdì consecutivo, in Algeria ci sono state enormi proteste antigovernative a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. I manifestanti, com’era già successo in passato, hanno chiesto le dimissioni del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, al potere da due decenni e in condizioni di salute piuttosto gravi dal 2013, anno in cui rimase parzialmente paralizzato a causa di un ictus. Le proteste non si sono però dirette solo contro Bouteflika, il cui futuro sembra sempre più incerto, ma contro l’intero sistema politico algerino e il circolo ristretto di persone che si ritiene abbia esercitato il potere negli ultimi anni al posto del presidente.
Il cambio di obiettivi dei manifestanti era già stato oggetto di discussioni e dibattiti, ma è diventato evidente con gli sviluppi dell’ultima settimana.
Martedì il capo dell’esercito algerino, Gaid Salah, ha chiesto la destituzione di Bouteflika. Durante un discorso di fronte ad altri militari, Salah ha invocato l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione algerina, quello che prevede che un presidente sia rimosso dal suo incarico in caso di «impedimento fisico all’esercizio delle proprie funzioni». La richiesta di Salah non ha avuto dirette implicazioni legali – non è compito dell’esercito né invocare l’articolo 102 né verificare l’impedimento fisico del presidente – ma è stata descritta come una mossa politicamente rilevante.
Alcuni commentatori hanno definito la mossa di Salah come un colpo di stato contro Bouteflika. Fino a quel momento, infatti, l’esercito era stato dalla parte del presidente, nonostante le proteste, e Salah era considerato come uno dei membri del circolo ristretto di persone che per anni aveva di fatto governato l’Algeria al posto di Bouteflika.
In realtà quello di Salah è stato un tentativo disperato di salvare il regime algerino, sacrificando Bouteflika, che però i manifestanti non hanno accettato. Negli ultimi giorni l’opposizione ha rifiutato di appoggiare l’iniziativa dell’esercito, che avrebbe potuto riportare la situazione alla normalità senza però alcun cambio reale rispetto al passato. Come ha detto a Rai News 24 Francesco Strazzari, docente di Relazioni internazionali alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, le proteste e gli avvenimenti di piazza hanno superato da un pezzo le concessioni che il regime è disposto a fare per fermare le manifestazioni: in altre parole, le dimissioni di Bouteflika non bastano più.
Intanto, ha scritto Reuters, la presidenza di Bouteflika sembra essere arrivata agli sgoccioli. La proposta di Salah è stata appoggiata da diversi ex sostenitori del presidente, tra cui molti membri del Fronte di liberazione nazionale (FLN, il partito di Bouteflika), e dal principale sindacato del paese, l’Union Générale des Travailleurs Algériens (UGTA). Anche uno dei suoi ultimi alleati, l’importante uomo d’affari Ali Haddad, ha scaricato Bouteflika: negli ultimi anni Haddad era stato incaricato dal governo di realizzare grandi lavori pubblici e aveva investito nel settore dei media, oltre ad avere finanziato diverse campagne elettorali del presidente.
Per il momento, comunque, Bouteflika è rimasto al suo posto. Qualsiasi decisione sul suo futuro basata sull’articolo 102 della Costituzione dovrà essere ratificata da una maggioranza di 2/3 in entrambe le camere del Parlamento algerino; solo dopo, e in caso di esito positivo, l’incarico di presidente verrà assunto ad interim dal presidente del Senato, Abdelkader Bensalah, per 45 giorni.