Un gruppo di dissidenti ha rivendicato l’assalto all’ambasciata nordcoreana a Madrid
È il "Cheollima Civil Defence", che vuole rovesciare il regime di Kim Jong-un: dice di essere responsabile dell'attacco del 22 febbraio
Un gruppo misterioso di dissidenti nordcoreani, il “Cheollima Civil Defense”, ha detto in un comunicato diffuso online di essere responsabile dell’operazione in stile militare compiuta lo scorso 22 febbraio all’ambasciata nordcoreana di Madrid, su cui sta indagando la magistratura spagnola. Secondo la ricostruzione della stampa e delle autorità spagnole, l’assalto sarebbe stato compiuto da dieci uomini, che sarebbero entrati nell’edificio dell’ambasciata imbracciando armi finte, legando e picchiando alcune delle persone presenti e portando via dispositivi elettronici e documenti di vario tipo. Nel comunicato, il Cheollima Civil Defense sostiene che l’operazione «non fu un attacco» ma la risposta a «una situazione di emergenza all’interno dell’ambasciata», che «non fu imbavagliato o picchiato nessuno» e che tutti i presenti «furono trattati con dignità».
Inizialmente, aveva raccontato a metà marzo il País, la magistratura spagnola aveva creduto che gli assalitori avessero legami con la CIA, l’agenzia statunitense di intelligence per l’estero. Un’inchiesta del Washington Post aveva legato però l’operazione al Cheollima Civil Defense, gruppo di dissidenti nordcoreani che ha l’obiettivo di rovesciare il regime di Kim Jong-un. Nel suo comunicato di rivendicazione, il Cheollima Civil Defense ha sostenuto di avere agito senza l’aiuto di alcun governo straniero.
La ricostruzione del Cheollima Civil Defense non sembra essere compatibile con quanto emerso finora dalle indagini della magistratura spagnola, che martedì ha diffuso un documento di 14 pagine che fa un punto della situazione. Secondo il giudice José de la Mata dell’Audiencia Nacional, nell’assalto ci fu violenza e intimidazione; fonti del País sostengono inoltre che sarebbe stato emesso un ordine di arresto internazionale contro i 10 assalitori che parteciparono all’azione, accusati tra le altre cose di detenzione illegale di armi e partecipazione a un’organizzazione criminale.
Nel documento del giudice vengono raccontati diversi dettagli sia della preparazione che dell’esecuzione dell’assalto. Il leader del gruppo sarebbe stato un uomo con passaporto messicano residente negli Stati Uniti, Adrian Hong Chang, il quale si sarebbe incaricato tra le altre cose di comprare «materiale tattico e di combattimento» in un negozio di Madrid sei ore prima dell’attacco. Tra il 20 e il 22 febbraio, inoltre, altri quattro membri del gruppo, tra cui un cittadino sudcoreano chiamato Woo Ram Lee e un uomo con passaporto statunitense identificato come Sam Ryu, comprarono altro materiale in una ferramenta, tra cui cesoie, nastro biadesivo e pinze, per una spesa superiore ai 600 euro.
Nella ricostruzione del giudice, il primo a entrare nell’ambasciata sarebbe stato Adrian Hong Chang, che avrebbe chiesto di incontrare un funzionario diplomatico che aveva conosciuto due settimane prima durante un incontro di affari. Il leader del gruppo avrebbe sfruttato l’attesa per far entrare nell’edificio gli altri nove membri del commando armati di machete, coltelli, spranghe di ferro e pistole finte, che avrebbero cominciato a picchiare e interrogare il personale dell’ambasciata. La moglie di un diplomatico sarebbe riuscita a chiudersi in una stanza e a scappare dalla finestra, dando l’allarme. Al suo arrivo, la polizia sarebbe stata accolta proprio da Adrian Hong Chang, che si sarebbe finto un funzionario dell’ambasciata e che avrebbe rassicurato gli agenti che non c’era alcun problema. I membri del commando sarebbero poi scappati a bordo di un’auto con targa diplomatica, portandosi via tra le altre cose due computer, due dischi rigidi e un cellulare. Avrebbero immediatamente lasciato la Spagna e sarebbero andati a Lisbona, prima di dividersi in piccoli gruppi. Il leader del gruppo avrebbe poi preso un aereo diretto a Newark, New Jersey (Stati Uniti), dove sarebbe atterrato il giorno dopo: a quel punto si sarebbe messo in contatto con l’FBI, per raccontare la sua versione della storia.
Secondo Sung-Yoon Lee, esperto di Corea del Nord all’Università di Tufts, in Massachusetts (Stati Uniti), Cheollima Civil Defense è «il primo gruppo conosciuto di resistenza contro la Corea del Nord, cosa che rende le sue attività particolarmente rilevanti». Non si hanno molte informazioni sull’organizzazione, emersa per la prima volta per avere offerto protezione al figlio di Kim Jong-nam, il fratellastro di Kim Jong-un assassinato all’aeroporto di Kuala Lumpur (Malesia) il 13 febbraio 2017. Nello stesso anno Cheollima Civil Defense aveva dichiarato la formazione di un governo in esilio del “Free Joseon”, il nome antico della Corea.