2.500 anni dopo, abbiamo scoperto che Erodoto aveva ragione
È stata trovata un'imbarcazione dell'antico Egitto che aveva descritto approfonditamente, attirando lo scetticismo degli studiosi
La scoperta archeologica di un’imbarcazione nell’area di Thonis-Heracleion, città dell’antico Egitto situata nel Delta del Nilo e oggi sommersa, ha dimostrato, 2.500 anni dopo, che lo storico greco Erodoto aveva ragione. Erodoto, durante i suoi viaggi in Egitto, scrisse infatti dell’esistenza di una particolare nave commerciale chiamata “baris” e la descrisse in modo molto dettagliato. Per secoli gli studiosi avevano messo in dubbio il suo racconto, perché non era mai stata trovata alcuna prova dell’esistenza di tali imbarcazioni con cui confrontare gli scritti. Il nuovo ritrovamento, avvenuto durante le ricerche di Damian Robinson, direttore del Centro di Archeologia Marittima dell’Università di Oxford, ha dimostrato che la descrizione di Erodoto era invece molto precisa e attendibile.
An illustration of the shipwreck that fits the description by Herodotus. The upper half of the model illustrates the wreck as excavated. Below the unexcavated areas are mirrored to produce a complete vessel outline. Photo: Christoph Gerigk/Franck Goddio/Hilti Foundation #Egypt pic.twitter.com/GwqApgOUtz
— Prof Jamie Woodward (@Jamie_Woodward_) March 19, 2019
Nel V secolo a.c. Erodoto visitò l’Egitto e nel secondo libro delle sue Storie dedicò molto spazio alla descrizione dei «battelli egiziani per il trasporto delle merci». Scrisse che erano «costruiti in legno di acacia» e che questo albero veniva tagliato per ricavarne dei «pezzi di legno di circa due braccia» che venivano poi messi «insieme come mattoni. (…) Collegano i pezzi di legno, di due cubiti, con lunghi e frequenti cavicchi; e quando hanno costruito in questo modo vi tendono sopra delle traverse. Nessun uso di tavole laterali. Turano le commessure interne con papiro; e apprestano un solo timone, che passa attraverso la carena. Per l’albero adoperano l’acacia e per le vele il papiro».
Erodoto proseguì poi nella descrizione di come veniva costruito e assemblato quel tipo di imbarcazione, facendo riferimento anche a delle «costole interne» su cui gli studiosi si sono soffermati per anni, mettendo in dubbio l’attendibilità della descrizione. «Nessuno ha mai capito cosa intendesse dire con quelle “costole interne”. Quella struttura non era mai stata vista prima», ha detto Robinson dopo la scoperta archeologica: «Poi abbiamo scoperto la forma di questa particolare barca ed è assolutamente quello che Erodoto ha detto». Finora gli studiosi, cercando di interpretare la descrizione di Erodoto ma non avendo dei riscontri, avevano fatto diversi errori nelle ricostruzioni.
La nave che è stata scoperta, «favolosamente conservata» e chiamata “nave 17”, presenta uno scafo a forma di mezza luna e come nel racconto di Erodoto è assemblata in modo trasversale da costole in acacia che raggiungono i 2 metri. Lungo l’asse centrale, invece, ci sono due fori che servivano per il timone e un gradino per l’albero. Ci sono solo due differenze tra il relitto ritrovato e la descrizione di Erodoto: le dimensioni praticamente doppie e la presenza di travi laterali per rinforzare alcuni punti della chiglia.
Alexander Belov, scrittore che ha da poco pubblicato un libro sulla “baris” di Thonis Heracleion, ha ipotizzato che proprio quella barca potrebbe essere stata costruita nel cantiere navale che Erodoto visitò: ogni dettaglio corrisponde «esattamente alle prove ritrovate».