A Berlino c’è un’iniziativa per espropriare gli appartamenti delle grandi società immobiliari
Non andrà da nessuna parte, ma ha grande sostegno: perché gli affitti alti continuano ad essere un problema
Il mese prossimo inizierà a Berlino, in Germania, la raccolta firme per un referendum che chiede di espropriare e “socializzare” circa 200 mila alloggi di proprietà di grandi aziende del settore immobiliare. L’iniziativa è stata promossa da alcune associazioni ed è sostenuta, secondo un sondaggio fatto lo scorso gennaio sul quotidiano Tagesspiegel, dal 55 per cento dei berlinesi stanchi dell’alto prezzo degli affitti in città e dei recenti rincari. Nessuno pensa davvero che si arriverà all’esproprio di proprietà private – sarebbe un disastro, per la Germania – ma l’iniziativa e il suo vasto sostegno hanno fatto riparlare del grosso problema degli affitti a Berlino.
Uno dei portavoce della campagna per il referendum, Michael Prütz, agente assicurativo, ha detto che gli affittuari di Berlino sono «sotto attacco da parte di società immobiliari avide, che cercano il massimo profitto con il minimo sforzo». Prütz ha accusato, in particolare, la Deutsche Wohnen SE, una delle più importanti società del paese tra quelle che comprano case per affittarle, che a Berlino è passata dall’avere 25 mila appartamenti nel 2007 ad averne, attualmente, 110 mila: è la più grande proprietaria privata della città, e per questo è diventata per molti il simbolo di quello che non va nel mercato delle case.
Il referendum chiede di espropriare le case di proprietà delle società di investimento private con almeno 3 mila appartamenti e se venisse approvato farebbe diventare di proprietà pubblica 200 mila appartamenti, la maggior parte dei quali appartengono alla Deutsche Wohnen SE. Il referendum si basa sugli articoli 14 e 15 della costituzione tedesca (che si chiama Legge fondamentale, Grundgesetz, scritta nel 1949), che contemplano l’espropriazione di beni «per il bene della collettività», prevedendo un indennizzo per chi subisce l’esproprio. Gli articoli, fino ad ora mai applicati, «dimostrano come l’idea di un’economia di mercato non fosse così radicata quando la Repubblica del dopoguerra fu fondata», ha spiegato lo studioso Rainer Hank. Per ottenere il referendum, comunque non vincolante, il 7 per cento dei cittadini di Berlino (circa 174 mila persone) dovrebbero richiederlo entro quattro mesi dall’inizio della raccolta firme.
La Deutsche Wohnen SE, tramite un suo dirigente, ha fatto sapere che l’iniziativa è talmente radicale che risulterebbe di fatto inapplicabile. E, ha aggiunto, «bisogna comprendere ciò che questo significherebbe per la Germania e per l’Europa. Stiamo essenzialmente dicendo addio all’economia di mercato per sostituirla con un sistema diverso, sia esso socialismo o comunismo». Come ha spiegato al Financial Times il capo di una società di gestione di immobili, l’iniziativa rappresenta un segnale per il gruppo degli investitori: «Tutti sanno che un passo del genere brucerebbe completamente la reputazione della Germania come ambiente stabile per le aziende».
La campagna “Espropriare DW & Co” non avrebbe comunque mai ottenuto così tanto supporto pubblico a Berlino se l’iniziativa non partisse da un problema reale e condiviso, e cioè il mercato degli affitti in città. I canoni mensili per gli appartamenti sono aumentati del 12 per cento solo nel 2017 raggiungendo il massimo storico di 10,15 euro al metro quadrato e sono raddoppiati negli ultimi dieci anni. I prezzi delle proprietà sono a loro volta aumentati del 20,5 per cento, sempre nello stesso anno, a causa della crescita demografica, della bassa disoccupazione e del forte interesse da parte degli investitori esteri. E la Deutsche Wohnen SE è diventata il simbolo di tutto questo: «È la società più odiata di Berlino», ha detto Rouzbeh Taheri, uno dei leader della campagna referendaria.
A livello politico, la campagna per gli espropri ha comunque trovato il sostegno della Die Linke, partito di sinistra radicale, e di alcuni membri dei Verdi. Una componente dell’assemblea regionale di Berlino, Katrin Schmidberger, ha ad esempio definito la campagna una forma di «legittima difesa personale» per le persone alla mercé della «speculazione e del dislocamento»: «La pace sociale è in pericolo e questo è allarmante per tutti noi». Il sindaco socialdemocratico di Berlino, Michael Müller, è stato invece più cauto. Ha riconosciuto l’errore di aver lasciato crescere troppo le società private nel mercato immobiliare e si è dichiarato favorevole, in generale, a riacquistare parte delle proprietà di Deutsche Wohnen SE. Ma l’espropriazione, ha aggiunto, «non è la mia strada e non è il mio modo di fare politica». Secondo il sindaco, i risarcimenti per l’esproprio arriverebbero a una cifra che va da 28 a 36 milioni di euro: «Non avrebbe più senso spendere quei soldi per riparare le scuole e per tutte le altre importanti priorità che Berlino ha? Spenderemmo tutti quei soldi e non costruiremmo un singolo nuovo appartamento».