Il Congresso Mondiale delle Famiglie, spiegato bene

Riunisce a Verona il movimento globale antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI e ci saranno tre importanti ministri del governo italiano

di Giulia Siviero

(ANSA)
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A Verona dal 29 al 31 marzo 2019 si tiene il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families, WCF). Il WCF riunisce «il movimento globale» antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI ed è stato classificato come “gruppo d’odio” dal Southem Poverty Law Center, organizzazione americana senza fini di lucro impegnata nella tutela dei diritti delle persone. Alla XIII edizione italiana del Congresso parteciperanno associazioni, capi di stato ed esponenti politici della destra radicale, cristiana e integralista da tutto il mondo ma anche tre ministri del governo italiano (il ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, il ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti). E, sempre dall’Italia, ci saranno Giorgia Meloni, il senatore della Lega Simone Pillon, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia e il sindaco di Verona Federico Sboarina.

Su questa edizione c’è molta attenzione sia in Italia che all’estero, per vari motivi: il primo, molto raccontato dai giornali, ha a che fare con la concessione del patrocinio della “Presidenza del Consiglio dei ministri – ministro per la Famiglia e la Disabilità” e l’altro con la partecipazione, al di là del patrocinio, di un pezzo importante del governo che sembra non essere condivisa, anche se in modo poco efficace, dall’intera maggioranza. L’ultimo, infine: come ci hanno raccontato alcune esperte, sarà la prima volta, da quando il Congresso è nato a metà degli anni Novanta, che è stata organizzata una manifestazione di protesta larga: dal movimento femminista Non Una di Meno e alla quale hanno aderito molte altre associazioni, movimenti nazionali e internazionali e sindacati.

Chi sono
L’idea di un Congresso Mondiale delle Famiglie nacque a metà degli anni Novanta dall’incontro tra l’americano Alan Carlson – storico, ex funzionario dell’amministrazione Reagan e allora presidente del Centro per la Famiglia, la Religione e la Società, gruppo conservatore che si oppone all’aborto, al divorzio e all’omosessualità – e il sociologo e demografo russo Anatoli Antonov. Antonov, nel 1995, invitò Carlson a Mosca e insieme ebbero l’idea di fondare una ONG sull’idea di “famiglia” che entrambi condividevano. Partendo dal timore di un imminente crollo demografico, Carlson e Antonov ne attribuirono la colpa al movimento femminista e alla liberazione sessuale, radicando su questo assunto il ruolo centrale della cosiddetta “famiglia naturale”, quella formata cioè da un uomo e da una donna uniti in matrimonio. Il WCF non nacque, dunque, come progetto politico né come progetto ecclesiastico: le chiese e i partiti entrarono in gioco solo più tardi. E a quel punto nacque la pretesa e la costruzione di un’azione coordinata con le istituzioni politiche contro i presunti nemici di una società «moralmente fondata»: il divorzio, l’omosessualità e soprattutto le donne.

Kristina Stöckl, ricercatrice e docente presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Innsbruck che all’interno di un progetto finanziato dall’European Research Council ha analizzato le reti transnazionali e l’agenda dei soggetti religiosi tradizionalisti, ci ha spiegato che va tenuto presente il contesto storico di quel primo incontro tra accademici: erano gli anni in cui l’ONU aveva organizzato due conferenze sui diritti delle donne (al Cairo nel 1994 e a Pechino nel 1995) che, per i gruppi di destra degli Stati Uniti, rappresentarono un allarme e uno stimolo per organizzarsi oltre confine e internazionalizzarsi. In Russia erano invece gli anni del caos post-sovietico, quelli di un forte calo demografico e quelli di una rinascita del pensiero cristiano-ortodosso e dei cosiddetti valori tradizionali.

Il primo WCF venne organizzato a Praga nel 1997, poi a Ginevra (1999), a Città del Messico (2004), a Varsavia (2007), ad Amsterdam (2009) e a Madrid (2012). Da lì in poi continuò a crescere, ma la svolta arrivò nel 2012 quando i congressi divennero annuali, quando l’organizzazione diede vita o si alleò con numerose reti locali capaci di avere un’influenza vistosa e diretta sui governi dei vari paesi e quando sotto il suo ombrello si riconobbero ben presto gruppi omofobi e antiabortisti di tutto il mondo, destre cristiane e non, studiosi, leader religiosi e politici che negli anni ne hanno portato avanti in modo concreto il programma politico. L’organizzazione ha sostenuto ad esempio la legge russa contro la propaganda gay del 2013 (poi condannata dal Consiglio d’Europa, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e da diversi gruppi per i diritti umani) e la legge, sempre in Russia, contro le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. Qualche giorno prima dell’approvazione di quest’ultima legge, Brian Brown, l’attuale presidente del World Congress of Familiesne parlò a favore a Mosca di fronte alla Duma.

Intorno al 2012, spiega ancora Stöckl «osserviamo una svolta conservatrice delle destre europee: Strache in Austria e prima di lui Heider, Salvini in Italia, Orban in Ungheria e così via. Cominciarono a insistere sulla difesa di un’Europa cristiana contro l’Islam, sulla salvaguardia della sovranità legislativa nazionale contro i diritti umani universali di non-discriminazione e di protezione delle minoranze, sull’opposizione all’Unione Europea e all’ONU come portatore di diritti umani e, in generale, su una posizione anti-liberal contro le forze e le politiche progressiste nella società. Ecco: il WCF ha permesso alle destre europee di unire e di unirsi intorno a questi obiettivi fornendo tematiche, linguaggi e iconografie ideali». Il Congresso, le reti che ne fanno parte e quelle ancora più ampie di cui il Congresso fa parte – l’International Organization for the Family (IOF), ad esempio – ha cioè un prodotto che le destre populiste europee e Putin in Russia tanto stavano cercando.

I gruppi vicini al WCF sono formati da cattolici (provenienti soprattutto da Polonia, Francia, Spagna, Sudamerica, Africa e Italia (dove il Congresso di Verona sarà ad esempio aperto dal vescovo Giuseppe Zenti), da cristiani ortodossi (provenienti da Russia, Bielorussia, Ucraina, Georgia, Romania, Moldavia), da protestanti, evangelici e mormoni dagli Stati Uniti. «Questa combinazione di fedi è molto interessante. In questo preciso contesto hanno dimostrato di essere molto ecumenici», commenta Stöckl.

I gruppi e gli individui che si identificano con l’agenda ideologica del WCF  (e che sono attivisti, politici, persone d‘affari, funzionari di amministrazioni pubbliche, personalità ecclesiastiche) sono per la “famiglia tradizionale” (cioè patriarcale ed eterosessuale), contro l’aborto e i diritti riproduttivi, contro i matrimoni gay e i diritti LGBTQI, contro il divorzio, gli studi di genere e l’immigrazione.

Il WCF ha anche finanziato una serie di studi (poi screditati) per tentare di dare una base più solida alle proprie posizioni: per correlare le famiglie omogenitoriali a un peggior stato nella crescita dei bambini e delle bambine, per creare un nesso tra il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’aumento della pedofilia, e per diffondere infine, la cosiddetta “teoria del gender” (che nasconde nella realtà un attacco agli studi scientifici femministi su genere e stereotipi) e per associare l’aborto ai problemi di salute e a una maggior incidenza del tumore al seno.

Non è semplice capire quale sia il budget annuale del WCF, diverse inchieste parlano comunque di centinaia di milioni di dollari provenienti soprattutto da Stati Uniti e Russia. Nel 2014, il Southern Poverty Law Center (organizzazione USA senza fini di lucro, impegnata nella tutela dei diritti delle persone) ha incluso il Congresso Mondiale delle Famiglie nella lista dei gruppi d’odio. Il WCF, hanno scritto, «promuove una visione rigida della famiglia, basata esclusivamente sul matrimonio di un uomo eterosessuale con una donna eterosessuale e i loro figli biologici […]. Strettamente connessa a questa ideologia è un’aderenza a rigidi ruoli di genere binari, in cui gli uomini sono i capi della famiglia e le donne le loro aiutanti e le fattrici dei loro figli».

I legami del WCF in Italia
Lo scorso dicembre, dopo l’annuncio che il Congresso si sarebbe svolto a Verona, Hatewatch (un blog che monitora e racconta le attività della destra radicale americana) ha pubblicato un’inchiesta molto approfondita sui legami tra il WCF, i gruppi anti-LGBTQI con sede negli Stati Uniti, la Fondazione CitizenGo e alcuni influenti movimenti italiani (Generazione Famiglia, Comitato Difendiamo i Nostri Figli e ProVita, promotori tra l’altro della XIII edizione del Congresso) e alcuni partiti politici (la Lega di Matteo Salvini).

Al centro di tutto c’è CitizenGO, una fondazione creata dallo spagnolo Ignacio Arsuaga che ha sede a Madrid e che promuove in 12 lingue e 50 nazioni nel mondo campagne, come dicono loro, «per la promozione della vita, della famiglia e delle libertà fondamentali». Le campagne ruotano attorno allo strumento delle petizioni online e la piattaforma include nel consiglio di amministrazione diversi membri influenti del WCF: Brian Brown, presidente del WCF, Alexey Komov, rappresentante russo del WCF, e Luca Volontè, ex parlamentare dell’UdC vicino a Comunione e Liberazione coinvolto, tra le altre cose, nello “scandalo Azerbaijan” al Consiglio d’Europa e presidente dell’associazione Novae Terrae.

Negli ultimi anni, CitizenGO ha intensificato i propri sforzi per portare in Italia i leader mondiali anti-LGBTQI e contro i diritti delle donne. L’estate scorsa ha ad esempio organizzato un seminario di quattro giorni per formare gli attivisti italiani con i maggiori rappresentanti statunitensi dei movimenti legati alla destra cristiana. Il direttore di CitizenGo Italia è Filippo Savarese e insieme a Jacopo Coghe, presidente del gruppo Generazione Famiglia, ex Manif Pour Tous Italia, ha promosso i viaggi di un autobus arancione contro la cosiddetta “ideologia del gender” che in Italia è stato respinto da varie città, ma che a Verona è stato accolto dal sindaco Sboarina in piazza. Nel marzo 2017, Jacopo Coghe e il capo di CitizenGO, Ignacio Arsuaga, hanno parlato al Parlamento europeo del pericolo delle «leggi sull’indottrinamento sessuale» e della presenza dei gruppi LGBTQI nelle scuole. Coghe e Savarese hanno a loro volta ruoli nel Comitato Difendiamo i Nostri Figli nato nel 2015 e legami con Pro Vita. Insieme hanno organizzato in Italia due edizioni del “Family Day”.

Il presidente di Pro Vita, Toni Brandi, il senatore della Lega, Simone Pillon, il presidente del World Congress of Families (WCF) Brian Brown, Massimo Gandolfini, Portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e Jacopo Coghe, presidente di Generazione Famiglia, al termine dell’incontro con il ministro dell’Interno Matteo Salvini al Viminale, Roma, 4 ottobre 2018 (ANSA)

Tutti questi gruppi, infine, hanno legami con organizzazioni della destra cristiana nel mondo, e con i partiti dell’estrema destra locale: «Queste connessioni»  spiega Hatewatch «danno loro l’accesso ai parlamenti di vari paesi e la capacità di influenzare le legislazioni». Il portavoce di Pro Vita, Alessandro Fiore (che parlerà al WCF), è figlio di Roberto Fiore, leader di FN che ha annunciato la propria presenza al WCF; sempre Hatewatch cita una mail del 2014 in cui Roberto Fiore chiede a Komov di indicargli il nome di alcuni avvocati per poter visitare in Grecia i leader di Alba Dorata che si trovavano in carcere e nella risposta Komov definisce Fiore «il nostro amico filo-russo italiano». E poi c’è il rapporto «particolarmente strategico» con la Lega: Komov, nel 2013, era a Torino ad applaudire l’elezione di Salvini a segretario della Lega e sia nel 2017 che nel 2018 Salvini ha inviato un messaggio al presidente del WCF Brian Brown da leggere ad alta voce durante i congressi di Budapest e Chinisau. Infine ci sono i numerosi legami del WCF e delle associazioni italiane promotrici con Lorenzo Fontana, cattolico di estrema destra, ex vicesindaco di Verona e attuale ministro per la Disabilità e la Famiglia, iscritto tra l’altro al Comitato che pretende di abolire la 194 e che da mesi organizza marce in tutta Italia con Forza Nuova. Infine, c’è Simone Pillon, senatore della Lega e tra gli organizzatori del Family Day, che è uno dei portavoce in Italia delle principali battaglie dell’integralismo cattolico e che è promotore del gruppo parlamentare Vita famiglia e libertà: ne fanno parte più di 100 tra deputati e senatori di centrodestra e un’esponente del Movimento 5 Stelle. Il gruppo sembra essere nato proprio per dare voce istituzionale alle istanze del WCF, così come il disegno di legge presentato da Pillon in materia di diritto di famiglia, separazione e affido condiviso dei e delle minori e che è stato contestato dai movimenti femministi, dai centri antiviolenza e anche dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, che lo scorso 22 ottobre hanno scritto una lettera molto accorata al governo italiano.

Verona, la conferenza stampa, e il linguaggio
«Il congresso si è sempre svolto perché c’era qualcuno disposto ad ospitarlo», dice Stöckl: «Io e altri studiosi immaginavamo che il prossimo luogo sarebbero state l’Italia e Verona». Verona, che storicamente è stata il crocevia dell’estremismo della destra italiana in tutte le sue forme – fu una delle capitali della Repubblica di Salò, fu la sede del comando generale della Gestapo, dagli anni Settanta divenne un centro fondamentale per le diverse organizzazioni eversive neofasciste – ha rinvigorito la propria cultura nera nell’ultimo decennio con la complicità degli integralisti cattolici e dei gruppi neofascisti collegati all’amministrazione locale, al governo e alle destre sovraniste d’Europa e non solo.

Nel 1995 Verona fu la prima e unica città in Italia ad approvare una mozione contro le persone gay, lesbiche e trans non recependo le regolamentazioni europee varate nel 1994. E lo scorso ottobre, sempre a Verona, è stata approvata dal Consiglio Comunale la mozione 434 (dopo una visita del presidente del WCF Brown in città) che dichiara “Verona città a favore della vita” e impegna il sindaco e la giunta a finanziare con soldi pubblici associazioni legate ai movimenti antiabortisti.

L’amministrazione locale è co-organizzatrice del WCF e come tale ha concesso la Gran Guardia, uno dei più prestigiosi edifici della città dove nel 2018 si era già svolto il primo convegno nazionale di ProVita, a titolo gratuito. Importanti ministri dell’attuale governo saranno presenti come relatori al congresso: ci saranno Matteo Salvini,m ministro dell’Interno, il ministro per la Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti e Simone Pillon. E ci saranno esponenti politici di governi dove l’omosessualità è reato o viene perseguita, dove l’aborto è illegale o dove vengono sistematicamente presentati progetti di legge per renderlo tale, come in Polonia. Il tutto patrocinato dalla regione Veneto e, fino a qualche ora fa, dalla “Presidenza del consiglio dei ministri – ministero per la Famiglia e le Disabilità”. Per diversi giorni, i giornali nazionali si sono occupati della questione del patrocinio: nelle ultime ore il presidente Conte ha preso posizione dicendo di aver chiesto a Fontana di togliere il riferimento alla Presidenza del consiglio e di lasciare solo quello del ministero per la Famiglia e la Disabilità. Conte ha però precisato che il suo governo «si propone di tutelare con la massima attenzione ed energia la famiglia fondata sul matrimonio» e gli organizzatori del WCF hanno risposto che «il loghetto» poco li intriga dato che è la sostanza che conta. E il presidente del Consiglio ha di fatto riconosciuto la loro posizione.

Venerdì 15 marzo nella Sala Arazzi del comune di Verona si è svolta la conferenza stampa di presentazione del WCF. Erano presenti il sindaco di Verona, Federico Sboarina, Toni Brandi, presidente di ProVita, Jacopo Coghe, vicepresidente del XIII Congresso, Alberto Zelger, consigliere comunale di Verona promotore della mozione contro la 194, Elena Donazzan, assessora all’Istruzione e al Lavoro della Regione Veneto, Massimo Gandolfini, presidente del Family Day e Filippo Savarese, direttore delle campagne di CitizenGo Italia.

Elena Donazzan è arrivata dopo gli altri, e quando è entrata è stata accolta a braccia aperte da Toni Brandi che rivolgendosi ai giornalisti presenti in sala ha detto: «Guardate le donne… eccole le donne. Noi siamo a favore di tutte le donne». Seduti al tavolo, uno dopo l’altro gli organizzatori hanno parlato delle «fake news che si sono diffuse nelle ultime settimane sull’evento» e facendo continui e insistenti riferimenti alla Costituzione: «Mi dispiace per chi tenta di trasformare questo nostro incontro (…) in un incontro “contro” quando si tratta di un incontro “per” i genitori e i loro figli», ha detto Toni Brandi. «Si parlerà di diritti, salute e dignità di tutte le donne, che lavorino o che abbiano deciso di essere madri, e dei diritti e della salute dei bambini». «Senza la famiglia, la società intera viene a perdere le sue fondamenta, per questo è necessario incentivarla sia dal punto di vista culturale e educativo, sia attraverso aiuti economici e agevolazioni fiscali. A due mesi dalle elezioni europee, questo messaggio è per tutti i candidati che scenderanno in campo. Vigileremo sui contenuti delle loro campagne elettorali e non transigeremo sui valori che porteranno avanti», ha aggiunto Coghe. «Questo Congresso vuole riconoscere nella famiglia l’unico vero antidoto alla società liquida contemporanea», ha invece sottolineato Alberto Zelger. «Vogliamo che questo Congresso mostri la bellezza e la naturalità della famiglia. L’unione feconda tra uomo e donna resta il nucleo fondante di ogni società umana, per questo vogliamo che la famiglia venga aiutata e difesa sia in termini culturali sia in termini economici», ha poi concluso Massimo Gandolfini.

Tutto il racconto è stato posto in termini molto positivi e questo fa parte, come dicono molte e molti esperti, di come si è modificata la strategia comunicativa di questi gruppi anti-scelta nel corso degli anni: non viene utilizzato un linguaggio ideologico, ma molto edulcorato, patinato, quasi pubblicitario, legato sempre all’amore e alla bellezza e utilizzando temi e slogan di chi lavora a favore dei diritti umani e dei movimenti femministi. Durante la conferenza stampa ne è stato dato un ottimo esempio.

Claudia Torrisi, giornalista freelance che collabora con Valigia Blu e VICE Italia, tra gli altri, ha fatto di recente un intervento a Bologna sulla questione della comunicazione. Citando alcuni studi americani ha spiegato che «È ormai raro trovare nella narrazione di questi gruppi e nelle loro immagini la classica immagine del feto». La retorica, il lessico e le campagne del WCF e di chi ne fa parte «si rifanno piuttosto a quelle dei gruppi che lavorano a favore dei diritti umani e ai movimenti femministi per dare validità, però, a discorsi che sono invece razzisti o sessisti. Parlano di protezione della famiglia, ad esempio, per accogliere poi molte posizioni che di protezione della famiglia hanno ben poco; di diritto alla vita e sostegno della maternità, espressioni che vengono ripetute in continuazione richiamando la dichiarazione universale dei diritti umani, ma applicando l’universalità della vita fin dal concepimento e usando questo concetto con chiare finalità antiabortiste. Parlando, infine, di opposizione alla violenza di genere. E su questo ci sono diversi esempi. CitizenGo, in occasione dell’8 marzo quando è stato organizzato uno sciopero globale delle donne, ha diffuso un manifesto in cui la foto di un feto era accompagnata dalla frase: “Dalla parte di tutte le donne. Non una di meno” con riferimento al nome del movimento femminista che in Italia aveva organizzato lo sciopero. Prima ancora, nel 2017 era arrivato in varie città d’Italia il bus arancione contro la fantomatica ideologia del gender pubblicizzato con la frase “Basta violenza di genere”. E quando ci sono stati i 40 anni della 194 sempre CitizenGo ha affisso dei manifesti con scritto: “Aborto. Prima causa di femminicidio al mondo».

Oltre a una comunicazione positiva, i gruppi antiabortisti e omofobi utilizzano una comunicazione molto patinata: il video di presentazione del WCF mostra bambini e famiglie come eroi ed eroine, è presente l’immaginario dei film Disney e tutto questo per apparire come «apolitici e apartitici. «In questi giorni» spiega Torrisi «in Spagna sta circolando un autobus color lilla di un’organizzazione a cui fa capo CitizenGo che è un ottimo esempio di comunicazione aggressiva, ma positiva e pop allo stesso tempo: c’è Hitler truccato con l’hasthag #stopfeminazis. La campagna è partita per chiedere l’abrogazione di una serie di leggi sulla violenza domestica perché sarebbero discriminatorie nei confronti degli uomini».

La strategia comunicativa di questi gruppi è dunque quella di un doppio rovesciamento: usano le parole dei diritti umani chiarendo però il significato che quei termini hanno per loro. E questo per contaminare (o, nei fatti, rettificare) il vocabolario che i loro avversari hanno costruito, lasciandoli senza parole. Gruppi che dissimulano i loro veri obiettivi, che costruiscono false teorie e che attaccano i diritti esistenti, si presentano come organizzazioni perseguitate, discriminate e contro le quali vengono diffuse delle fake news. Perseguitati, innanzitutto, dalle femministe e dalle élite: «Ora, se si va a vedere solo l’elenco degli speakers del WCF si scoprirà che c’è mezzo governo, governanti e ministri di altri paesi e nobiltà varia», conclude Torrisi.

Stöckl spiega anche come a seconda del paese in cui si muovono, questi gruppi hanno una certa capacità di adattamento del linguaggio e delle priorità: sull’elemento anti-islam, ad esempio, insistono molto in Europa, ma non in Russia visto che non è così presente nell’agenda politica e nel dibattito locale: «Il linguaggio e le priorità politiche dipendono dai paesi, dalla specificità del luogo che determina di volta in volta il miglior prodotto che possono offrire».

Resistenza
In Italia e a Verona sarà la prima volta che il WCF verrà contrastato. Non Una di Meno, rete femminista estesa su tutto il territorio, ha convocato infatti un corteo e tre giorni di mobilitazioni per parlare di diritti delle donne e delle persone LGBTQI. La tre giorni, chiamata “Verona Città Transfemminista” sarà contestuale a quella del WCF.

Nel documento politico scritto per l’occasione, Non Una di Meno fa un passaggio interessante rispetto alle critiche che circolano sul WCF sui giornali e sui social. Il movimento femminista non parla di “ritorno al medioevo”, ma di ondata reazionaria e di esplicito antifemminismo: «Attaccano le donne per ridurle a funzioni riproduttive e domestiche e per condannarle a un “destino biologico”, attaccano le persone migranti per farne forza lavoro da sfruttare e attaccano le soggettività LGBTQI+, per patologizzarle e marginalizzarle. Ma la loro non è che una scomposta difesa di fronte alla potente sollevazione globale delle donne che sta facendo saltare un ordine basato su coercizioni, sfruttamento e gerarchie».

Alla tre giorni e al corteo di Non Una di Meno hanno aderito anche molti movimenti nazionali e internazionali, sono state lanciate petizioni e diverse campagne di comunicazione per raccontare chi sono e che cosa pensano le persone che interverranno al WCF. Hanno preso parola alcune associazioni di donne cattoliche e il Forum delle Associazioni Familiari che raccoglie 582 associazioni e le sigle più importanti del mondo cattolico e nelle ultime ore è intervenuto anche il Vaticano: «Siamo d’accordo sulla sostanza, c’è qualche differenza sulle modalità», ha detto il cardinale Pietro Parolin che è anche segretario di Stato. Lo scorso anno, Parolin, era comunque intervenuto alla XII edizione del Congresso in Moldavia.

Infine c’è stata la presa di posizione di parte dell’università di Verona con un appello firmato da 500 accademici: «Siamo ricercatrici, ricercatori e docenti dell’Università di Verona. Siamo persone diverse per età, genere, origine, convinzioni politiche e fede religiosa» che hanno preso posizione contro le «opinioni e convinzioni etiche e religiose» che prevedono la «patologizzazione dell’omosessualità» e il fatto di considerare l’aborto come «causa del declino demografico». Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti ha comunque confermato la propria presenza. Il Movimento 5 Stelle, tramite Luigi Di Maio, ha detto invece che «a Verona non ci andrà mai nessuno del M5S, nessun ministro, perché la considerazione della donna da Medioevo non ci rappresenta».