È cominciata la “March Madness”
Cioè l'imprevedibile, spettacolare e seguitissima fase finale del campionato di basket dei college americani
Questa settimana è cominciata la cosiddetta “March Madness”, cioè la fase finale del campionato di basket dei college americani: un evento seguitissimo negli Stati Uniti, famoso e apprezzato perché puntualmente ricco di sorprese e risultati imprevedibili, da cui il nome “follia di marzo”. Anche se all’estero è una cosa da impallinati, negli Stati Uniti è un appuntamento sportivo atteso come i playoff della NBA, i campionati di basket, e viene visto in televisione da milioni di persone, anche quelle che non hanno niente a che vedere con le università coinvolte.
La March Madness si svolge nell’arco di tre settimane tra marzo e aprile: ci sono inizialmente 68 squadre da tutto il paese, e cinque turni che separano la prima fase dalla finale. È tutto a eliminazione diretta: chi vince passa, chi perde va fuori. Ed è per questo che ogni anno ci sono capovolgimenti emozionanti, finali punto a punto, psicodrammi e storie notevoli: squadre sulla carta deboli che ne eliminano una forte nel primo turno e iniziano così una scalata verso le fasi finali (le cosiddette underdog), e altre che nonostante arrivino da super favorite escono a sorpresa all’inizio del torneo. La March Madness è probabilmente il più grande torneo sportivo di alto livello a eliminazione diretta del mondo.
I giocatori più forti che giocano nel campionato di NCAA, poi, sono quelli che si vedranno in NBA a partire dalla stagione successiva: per questo la March Madness è una competizione molto attesa e seguita sia dai tifosi di NBA che dagli addetti ai lavori. È il momento in cui si vede chi tra i giovani che si sono distinti nel campionato sono forti anche quando le cose si fanno serie, e la pressione è molto più alta. Un’altra cosa strettamente legata alla popolarità della March Madness sono i “bracket”: è una tradizione – paragonabile al fantacalcio in Italia – compilare la griglia con gli scontri diretti tra le 68 squadre facendo le proprie previsioni su chi arriverà in finale. Si fa tra amici o online, scommettendo soldi o gloria, ma è una roba che fa perfino Barack Obama, per capirci. Si stima che quest’anno verranno scommessi in totale 8,5 miliardi di dollari da 47 milioni di americani, un adulto su cinque.
Just in the nick of time: My brackets have never been my one shining moment, but here we go again. You can check out my #MarchMadness picks here: https://t.co/c3bjNrIo4w pic.twitter.com/EcCUdnZjun
— Barack Obama (@BarackObama) March 21, 2019
Il forte legame delle università con il territorio, e il fatto che da studenti ed ex studenti si è molto partecipi e coinvolti nel successo della squadra della propria università, fa poi sì che il tifo sia molto sentito. E negli Stati Uniti, dove capita che squadre professionistiche cambino città da una stagione all’altra, sentire un legame stretto con una squadra non è sempre scontato.
Cos’è la NCAA
Negli Stati Uniti le università e i college – che sono formalmente istituzioni diverse, ma che sostanzialmente sono termini intercambiabili – hanno notoriamente delle squadre sportive, molto seguite tra gli studenti e tra le persone che vivono nella zona, e il cui tifo è in molti casi più attivo e agguerrito di quello per le squadre dei campionati professionistici. Solitamente le università hanno squadre di moltissimi sport, ma le più importanti sono quelle di football e di basket. Le squadre sono solitamente identificate con il nome del luogo dell’università – Arizona, Villanova, Michigan State, Kansas – oppure, tra i tifosi, con la mascotte dell’università, spesso un animale.
Tra i giocatori delle squadre NCAA c’è un po’ di tutto: ci passano quasi tutti i giocatori americani (e anche alcuni degli stranieri) che poi andranno in NBA, compresi i grandi campioni. Ma ci sono anche giocatori che poi faranno carriera in altri sport, e che per doti atletiche straordinarie riescono a competere in più discipline. Queste due categorie sono solitamente quelle che usufruiscono delle borse di studio che le università assegnano ai propri migliori atleti. Ma nelle squadre, non solo in quelle delle categorie più basse, ci sono anche giocatori che non faranno del basket una professione e che invece diventeranno avvocati, medici, ingegneri, eccetera.
Gli atleti che giocano nelle categorie più prestigiose della NCAA, che sia nel football, nel basket, nell’hockey o nel baseball, hanno poco tempo per studiare e in molti casi non si laureano o ottengono lauree poco utili sul mercato del lavoro: per quelli che diventano poi atleti professionisti non è un grave problema, per gli altri lo è di più.
Come si arriva alla March Madness
Le squadre universitarie più forti partecipano alla Division I della NCAA, la categoria più prestigiosa, formata da centinaia di squadre organizzate in 32 conference regionali. Durante la prima parte della stagione le varie squadre giocano tra loro per determinare una classifica. La prima classificata di ogni conference accede direttamente alla March Madness. Ma le squadre che partecipano alla fase finale sono in tutto 68: le altre 36 sono scelte da un comitato speciale, composto da dieci rappresentanti delle università, tra tutte le squadre che non si sono qualificate. I criteri con cui vengono scelte sono molti, complicati e annualmente oggetto di acceso dibattito, ma in teoria dovrebbero essere selezionate quelle più meritevoli.
E cosa succede durante
Di tutto, come abbiamo già detto. Le squadre sono inizialmente divise in quattro regioni (South, West, East e Midwest) e accoppiate in modo da fare giocare contro la più forte con la più scarsa (sulla base del ranking), la seconda con la penultima, e così via. Nella seconda settimana ci sono le semifinali e le finali regionali, e nella terza ci sono il sabato le Final Four, cioè le semifinali, e il lunedì la finale. Tutte le partite si svolgono in campi neutrali: quelli delle semifinali e delle finali però sono già decisi, quindi può capitare che una squadra arrivi a giocare in casa. La finale di quest’anno sarà a Minneapolis, in Minnesota, città la cui università ha già superato il primo turno.
Cosa tenere d’occhio quest’anno
La cosa di cui si è parlato di più durante questa stagione di NBA si chiama Zion Williamson, 18enne ala dell’università di Duke, una delle squadre storicamente più forti del campionato. Williamson è alto 2,01 metri, e secondo molti esperti sarà la prima scelta assoluta al prossimo draft, cioè l’evento con cui ogni anno le squadre NBA scelgono i giocatori dal college o dall’estero. Ha una fisicità straordinaria e di quelle che si vedono raramente: è massiccio ed esplosivo, ma è comunque molto agile. In campo è stato dominante, e le sue schiacciate sono già diventate famose: Kevin Durant, uno dei più forti giocatori di basket al mondo, lo ha descritto come «un atleta come ne nasce uno in una generazione». Ogni anno ci sono giocatori molto discussi e “spinti” dai media: ma molto raramente ce n’è uno così straordinariamente forte come Williamson.
Duke era prima della sua conference, e giocherà venerdì il primo turno contro Columbia, molto più debole sulla carta.
Le teste di serie nelle altre tre regioni sono North Carolina per il Midwest, Virginia per il Sud e Gonzaga per l’Ovest. Duke è data nettamente per favorita, mentre queste tre sono più o meno appaiate, con North Carolina un po’ più sfavorita. Michigan State, Kentucky, Tennessee, Michigan e Texas Tech sono le altre squadre di cui si parla con più insistenza come di possibili finaliste. L’anno scorso aveva vinto Villanova, che però non è tra le favorite di quest’anno.
Tra gli altri giocatori da tenere d’occhio, gli esperti ne segnalano un altro di Duke, RJ Barrett, guardia canadese che si è distinto come grande realizzatore, anche se ancora con qualche difficoltà nel tiro da tre punti. Un altro è Ja Morant, anche lui guardia ma che gioca a Murray State, con una fisicità esplosiva e un ottimo tiro da fuori. È stato il miglior giocatore di questa stagione di NCAA dopo Williamson, e sarà probabilmente scelto nelle primissime posizioni al draft. Jarrett Culver, guardia di Texas Tech, Cam Reddish, ala di Duke, e Rui Hachimura, ala di origini beninesi e giapponesi che gioca a Gonzaga, sono gli altri giocatori di cui si parla meglio.
Secondo Obama, comunque, la finale sarà Duke contro Tennessee, e vincerà Duke.
Se volete seguirla
Quest’anno non sarà più visibile in tv su Sky, ma si può vedere in streaming: su ESPN potete comprare un pass mensile per 11,99 euro, con sette giorni di prova gratuita.