«Uno dei più gravi disastri ambientali ad aver colpito l’emisfero meridionale»
È stato il ciclone Idai, secondo l'ONU: ci sono probabilmente più di mille morti, e intere città allagate e isolate dalla terraferma
Il ciclone tropicale Idai, che ha colpito la scorsa settimane le coste del Mozambico e che ha provocato morti e devastazioni anche in Zimbabwe e in Malawi, potrebbe essere «uno dei più gravi disastri ambientali ad aver colpito l’emisfero meridionale», ha detto un funzionario delle Nazioni Unite. I morti accertati sono finora 200 in Mozambico, 98 in Zimbabwe e 56 in Malawi: ma il bilancio è destinato a salire molto, come ha detto il presidente del Mozambico Filipe Nyusi, secondo il quale tutte le indicazioni sono che i morti siano oltre 1.000.
Idai è un ciclone tropicale, cioè un uragano che si è sviluppato nell’emisfero meridionale (e che ruota nel senso opposto, rispetto a quelli dell’emisfero settentrionale). I cicloni in Mozambico sono un fenomeno piuttosto raro, e difficilmente raggiungono questa intensità: i venti dei pochi cicloni superano i 200 chilometri orari un paio di volte ogni dieci anni, mentre quelli di Idai hanno raggiunto i 315 chilometri orari nel momento di massima velocità. È un’intensità paragonabile a quella dell’uragano Irma, che colpì la Florida nel 2017, uno dei più violenti degli ultimi vent’anni: ma a differenza di Irma, quando giovedì scorso Idai ha colpito le coste del Mozambico erano passate meno di 24 ore dal momento della sua massima intensità.
Si stima che oltre 2,6 milioni di persone siano state interessate da Idai. La città portuale di Beira, in Mozambico, in cui vivono circa 500mila persone, è stata quasi completamente isolata dalla terraferma: «un’isola nell’oceano», come l’hanno descritta i soccorritori. Secondo la Croce Rossa, il 90 per cento della città è ora distrutto, e le testimonianze parlano di moltissimi corpi che galleggiano per le strade allagate, e di persone decapitate dalle lamiere volanti sollevate dai venti del ciclone. Case, campi e linee elettriche sono interamente sommerse, e molti ponti e strade sono inutilizzabili. Chi ha sorvolato le città colpite parla di persone sui tetti di case circondate da chilometri d’acqua; Ian Scher, dell’organizzazione Rescue South Africa, ha raccontato ad AFP che «certe volte possiamo solo salvarne due su cinque; a volte lanciamo il cibo e andiamo ad aiutare chi è in maggiore pericolo. Salviamo chi possiamo, e gli altri muoiono».
I soccorsi sono complicati dalle piogge, oltre che dall’isolamento delle zone colpite. La Croce Rossa era riuscita prima che il ciclone colpisse la terraferma a portare a Beira un camion pieno di pastiglie di cloro per disinfettare l’acqua, e teli e strumenti per costruire tende e rifugi. Altri rifornimenti stanno arrivando dall’isola di Réunion via barca, mentre il World Food Programme sta lanciando provviste con gli aerei. Nelle condizioni attuali, i soccorritori sono preoccupati che possano scoppiare epidemie di colera o tifo. Si teme anche che alcune vecchie dighe nell’area intorno a Beira possano non reggere al fortissimo afflusso d’acqua.
Beira è una città particolarmente predisposta ai danni di un ciclone, per via della sua posizione poco protetta e sul livello del mare, che si stima si sia alzato di quattro metri rispetto al solito. Quello della settimana scorsa era stato il secondo impatto con la terraferma della tempesta, che aveva già raggiunto una prima volta le coste del Mozambico nei giorni precedenti, con un’intensità molto più ridotta.