10 miniserie che vale la pena recuperare
Sono le serie tv con meno di 10 episodi e di una sola stagione: quelle che potete vedere in un weekend, insomma
Nel sempre più affollato mondo della serialità televisiva (e ormai nemmeno più televisiva), esiste da diversi anni una interessante nicchia: quella delle miniserie. Si tratta di serie che hanno due caratteristiche: durano pochi episodi, diciamo mai più di dieci, e hanno una sola stagione. Sono, in altre parole, l’anello mancante tra film e serie tv. Abbiamo scelto alcune tra le migliori e più interessanti miniserie, che quindi hanno il vantaggio di poter essere viste in poco tempo, confortati dal fatto che, almeno per ora, non ci sono seconde stagioni in arrivo. Proprio per questo abbiamo anche deciso di non includere serie antologiche o miniserie a cui sono poi state aggiunte seconde stagioni: quindi niente Big Little Lies o True Detective, per intenderci.
The Night Of
Uscì nel 2016, è composta da otto episodi e ha per protagonisti Riz Ahmed e John Turturro. Ahmed interpreta un ragazzo di origini pakistane che incontra una ragazza, va a casa sua, ci fa sesso; ma la mattina dopo si sveglia e vede che è stata assassinata. Diversi indizi sembrano indicare che lui sian il colpevole, ma lui sembra non ricordare niente. La serie racconta l’indagine e tutto quel che succede. Il primo episodio gioca molto bene con la tensione, i successivi esplorano invece piuttosto a fondo la psicologia dei personaggi. La fotografia è sempre ottima, da film.
La miniserie è basata sulla prima stagione della serie britannica Criminal Justice, del 2008. Il primo a pensare di trarne una serie americana fu James Gandolfini, che però morì poco dopo. L’idea fu quindi ripresa e la serie trasformata in miniserie. Per il ruolo dell’avvocato che sarebbe dovuto essere di Gandolfini si pensò a Robert De Niro, ma lui era impegnato su un altro set e allora si scelse Turturro.
Roots
È una miniserie degli anni Settanta, composta da otto episodi e basata su un romanzo di Alex Haley. In Italia è nota come Radici e la prima rete a trasmetterla fu Rai 2. Radici ha più di quarant’anni e un po’ li dimostra, perché nel frattempo la serialità televisiva è radicalmente cambiata. Resta però un notevole pezzo di storia della televisione, oltre che un pezzettino di storia americana. La miniserie racconta la storia di diverse generazioni di una famiglia africana che dal Gambia finisce in America: i fatti raccontati, in parte basati su ricostruzioni fatte da Haley, si svolgono tra il 1750 e il 1870.
Se avete mai sentito parlare di Kunta Kinte, arriva da qui. Negli Stati Uniti la miniserie andò in onda su ABC, che scelse di mandare in onda gli episodi uno dopo l’altro, dal 23 al 30 gennaio, e non uno a settimana. Fu una scelta di successo, perché Roots arrivò a un’audience di circa il 50 per cento. Ma si seppe poi che i capi di ABC avevano scelto quella modalità perché temevano che la serie sarebbe stata un flop e volevano «togliersela di torno» il prima possibile. Tra gli attori di Roots c’è anche O. J. Simpson.
Bodyguard
È del 2018, è prodotta da BBC e i suoi 6 episodi si possono vedere su Netflix. Il protagonista è Richard Madden, uno che sta provando a fare cose diverse per non farsi descrivere solo come quello che è stato Robb Stark in Game of Thrones. Madden interpreta David Budd, un ex soldato che finisce a fare la guardia del corpo a Julia Montague, ministra britannica dell’Interno che, in un periodo di attentati, cerca di far passare una legge che le permetta di avere maggiore controllo sulla popolazione e (si dice) voglia fare le scarpe al Primo ministro. I primi minuti, ambientati su un treno, sono stati riempiti di elogi, perché c’è tantissima tensione e ci si affeziona subito al protagonista. In genere è stata però descritta come una serie che parte meglio di come finisce.
Per la sua interpretazione in Bodyguard Madden ha vinto un Golden Globe e qualche mese fa qualcuno parlò di lui come possibile nuovo James Bond: senza dubbio un ruolo che farebbe quasi dimenticare che è stato anche Robb Stark. Intanto, sebbene Bodyguard abbia un chiaro finale e fosse stata concepita per durare una sola stagione, si sta pensando a una seconda. Ma, per il momento, possiamo considerarla una miniserie.
Sharp Objects
È una miniserie di 8 episodi del 2018, prodotta da HBO e trasmessa in Italia da Sky Atlantic. È ispirata all’omonimo romanzo di Gillian Flynn, autrice tra le altre cose di Gone Girl, è diretta da Jean-Marc Vallée, regista di Big Little Lies, e la protagonista è Amy Adams. Racconta la storia di una giornalista che da tempo soffre di una malattia mentale a cui viene assegnata una storia piuttosto torbida avvenuta nella sua città natale, dove non torna da diversi anni. Al contrario di Bodyguard, inizia lenta e ci vuole non poca pazienza per mettere insieme pezzi di informazione. Ci sono anche alcune scelte di regia e racconto che possono risultare fastidiose per chi è abituato a guardare cose più convenzionali. In più, c’è un finale che vi lascerà con diverse domande.
In Sharp Objects la musica ha un ruolo molto importante, a partire dalla canzone che accompagna i titoli di testa: è sempre “Dance and Angela”, contenuta nel film del 1951 Un posto al sole. Solo che in ogni episodio c’è una diversa versione della canzone.
Band of Brothers
Uscì nel 2010, prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks e trasmessa da HBO. È miniserie per un pelo: perché dura 10 episodi e perché nel 2010 uscì The Pacific, sempre prodotta da Spielberg e Hanks e sempre di guerra. Ma Band of Brothers è da tutti considerata una miniserie autonoma, e molti la considerano tra l’altro una delle migliori di sempre. È tratta dal libro del 1992 Banda di fratelli, scritto dallo stesso autore del libro da cui Spielberg partì per realizzare Salvate il soldato Ryan. Band of Brothers è ambientata durante la Seconda guerra mondiale: parte dall’addestramento del reggimento di fanteria paracadutista e prosegue con l’arrivo dei soldati sul fronte europeo.
Il titolo di libro e serie è tratto da un passaggio dell’Enrico V di William Shakespeare:
Questa storia ogni brav’uomo racconterà al figlio,
E il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai,
Da quest’oggi, fino alla fine del mondo,
Senza che noi in esso non saremo menzionati;
Noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli
Godless
È una miniserie western del 2017, prodotta e distribuita da Netflix, e ideata da Steven Soderbergh e Scott Frank, lo sceneggiatore di Logan – The Wolverine. È composta da sette episodi, è ambientata nella seconda metà dell’Ottocento e parla di un cattivissimo fuorilegge che cerca l’ex membro della sua banda, che ora ha cambiato vita e sta in un villaggio abitato quasi solo da donne. Ci sono Jeff Daniels, Michelle Dockery, Sam Waterston, Jack O’Connell e diversi altri attori molto bravi, di cui forse non sapete il nome ma di cui probabilmente avete già visto la faccia.
Godless fu una delle serie (in generale, non solo miniserie) più apprezzate dell’anno in cui uscì. Qualcuno fece però notare che i titoli di testa sembravano copiare un po’ lo stile di Westworld, uscita un anno prima.
L’altra Grace
Una miniserie di produzione canadese, che uscì nel 2017, è fatta da sei episodi e si può vedere su Netflix. È tratta da un romanzo di Margaret Atwood (come The Handmaid’s Tale) ed è ispirata a una storia vera accaduta in Canada a metà Ottocento: parla dell’omicidio di un uomo benestante e della sua governante e amante, per cui furono condannati uno stalliere e una cameriera. La regista è Mary Harron e la protagonista è interpretata da Sarah Gadon. L’altra Grace è in genere ritenuta un’ottima miniserie, che quando uscì passò però un po’ in sordina, forse perché offuscata dalla ben più grande attenzione per The Handmaid’s Tale, tratta da un libro più famoso.
Atwood scrisse il libro da cui è tratta la serie dopo aver verificato che sulla storia vera giravano molte inesattezze e raccontò di essersi appassionata alla storia dopo aver notato che nei casi di crimini violenti commessi da una donna e da un uomo le opinioni delle persone sono generalmente molto divise e polarizzate sulle responsabilità della donna: c’è chi la vede come l’istigatrice dell’uomo e chi invece come un’altra delle sue vittime.
Patrick Melrose
È una miniserie britannica (nel Regno Unito sono particolarmente bravi con serie di questo tipo) tratta dal ciclo di romanzi di Edward St. Aubyn. È uscita nel 2018, è composta da cinque episodi e si può vedere su Sky Atlantic. Il protagonista, Patrick Melrose, è interpretato da Benedict Cumberbatch. Senza entrare troppo nei dettagli, la serie parla di una ricca e problematica famiglia inglese degli anni Ottanta.
I genitori del protagonista sono interpretati da Hugo Weaving e Jennifer Jason-Leigh, che hanno solo 16 e 14 anni in più rispetto a Benedict Cumberbatch. Tra l’altro, Cumberbatch nel 2014 partecipò a un AMA (Ask Me Anything) su Reddit e quando gli chiesero quale personaggio letterario gli sarebbe piaciuto interpretare rispose proprio “Patrick Melrose”.
Show me a Hero
È una miniserie in sei puntate del 2015, ed è un po’ passata in sordina e subito dopo finita nel dimenticatoio. Ma ha comunque i suoi estimatori. È stata creata da David Simon, noto e celebrato per The Wire, ed è basata sulla vera storia di Nicholas Wasicsko, un sindaco che negli anni Ottanta dovette gestire la costruzione di alcune case popolari nella città di Yonkers, vicino a New York. Il protagonista della serie è Oscar Isaac, che ci recitò prima del suo importante ruolo in Star Wars: Il Risveglio della Forza.
In questo caso, il titolo arriva da un famoso verso di F. Scott Fitzgerald: «Show me a hero and I will write you a tragedy»; “mostrami un eroe e ti scriverò una tragedia”
Angels in America
Altra serie che, soprattutto in Italia, non ha lasciato un grande segno. Ma è strano, perché in America se la ricordano in molti, perché la produsse HBO e perché ci recitarono, tra gli altri, Al Pacino e Meryl Streep. Parla, in modo molto originale, della condizione dei gay negli Stati Uniti di fine anni Ottanta, quando si iniziò a parlare di AIDS. Dura sei episodi ed è tratta da un’opera teatrale.
Tutti gli episodi di Angels in America furono diretti da Mike Nichols, il regista di grandi film come Chi ha paura di Virginia Woolf?, Comma 22 e Il laureato. Poco prima di morire, nel 2014, disse però che considerava Angels in America la sua opera meglio riuscita e più importante.