Lo strano omicidio di un boss della mafia americana
Frank Cali, capo del clan dei Gambino, è stato ucciso con sei colpi di pistola davanti a casa sua da un ragazzo di 24 anni, che sembra non avere niente a che fare con la mafia
Francesco Paolo Augusto Cali, più conosciuto come Frank Cali, era il capo del clan mafioso statunitense dei Gambino. Viveva in un ricco quartiere di Staten Island, a New York, con grandi ville con giardino e piscina, campi da golf, strade tranquille e molte telecamere di sicurezza. Mercoledì 13 marzo qualcuno ha urtato la sua auto, parcheggiata davanti alla casa di mattoni rossi dove viveva con la sua famiglia. L’uomo che aveva tamponato l’auto di Cali ha suonato il campanello, i due hanno parlato qualche minuto e poi Cali, 53 anni, capo di quella che fino agli anni Novanta era considerata la più potente organizzazione mafiosa degli Stati Uniti, è stato ucciso con 6 colpi di pistola all’addome, sparati a bruciapelo.
I primi sospetti della polizia e dei giornali sono andati nella direzione di un regolamento di conti o di una lotta per il controllo del clan mafioso dei Gambino, nonostante omicidi del genere siano diventati ormai rarissimi. L’ultimo capo dei Gambino a essere ucciso in un modo del genere era stato Paul Castellano, che aveva guidato l’organizzazione nei primi anni Ottanta e fu ucciso davanti a un locale di New York nel 1985: tre uomini lo avvicinarono sul marciapiede, tirarono fuori dei mitragliatori dai loro cappotti e spararono decine di colpi prima di scappare su un’auto scura. Le cose, però, da allora sono cambiate moltissimo. Nel corso degli anni Novanta, la mafia americana e la famiglia Gambino hanno perso moltissima forza e influenza, e il ricorso alla violenza e le lotte interne sono quasi scomparse. L’omicidio di Cali, inoltre, è stato strano anche per i codici della mafia stessa: un capo clan non si uccide vicino a casa sua e alla sua famiglia, e di solito ci si affida a una squadra ben organizzata, non a una sola persona.
Frank Cali non era un boss potente come Castellano, né era appariscente come John Gotti (che aveva preso il posto di Castellano dopo la sua morte); non era conosciuto come una persona violenta o immischiato in dispute personali. Era arrivato a guidare il clan dopo una rapida carriera nell’organizzazione tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila – complici i molti arresti di altri capi e la sua attenzione ad evitare rischi e trappole della polizia – ed era noto per il modo discreto con cui gestiva gli affari. Evitava sempre di parlare al telefono con i suoi sottoposti, preferiva incontri di persona, non conduceva una vita appariscente ed era considerato “un fantasma”, ha scritto il New York Times.
La polizia ha potuto ricostruire come sia andato l’omicidio di Cali grazie alle molte telecamere di sorveglianza del quartiere dove viveva. Sabato mattina il 24enne Anthony Comello è stato arrestato a Brick, in New Jersey, nella casa dove viveva con i suoi genitori. Le sue impronte digitali sono state trovate sulla targa dell’auto tamponata mercoledì e il suo volto è stato ripreso con molta chiarezza dalla telecamera del citofono della casa di Cali, che Comello aveva suonato dopo il piccolo incidente in strada.
Prima che gli fosse assegnato un avvocato, Comello ha parlato lungamente con gli investigatori, raccontando cose strane e a volte sconnesse: abbastanza per far cadere quasi completamente l’ipotesi che l’omicidio di Cali avesse avuto qualcosa a che fare con la mafia. Comello non ha legami con la mafia e il New York Times ha scritto che tra le altre cose ha raccontato di aver ucciso Cali perché in quel momento era sotto l’effetto di marijuana, e temeva che Cali stesso lo volesse uccidere. Al momento la polizia non ha stabilito un movente per l’omicidio e sta investigando diverse possibilità. Una di queste è che Comello avesse avuto una relazione con una parente di Cali e che Cali gli avesse imposto di rinunciarci. Al momento però non c’è molto di concreto e non è nemmeno chiaro se l’incidente davanti a casa di Cali sia stato solo un pretesto per attirarlo fuori o meno.
A rendere le cose più strane e complicate c’è il fatto che lunedì – quando è stato portato per la prima volta davanti a un giudice – Comello ha mostrato ai giornalisti in aula una serie di scritte scarabocchiate sulle sue mani, con riferimenti al presidente statunitense Donald Trump e a una popolare e strampalata teoria del complotto. Tra le scritte che Comello ha mostrato c’era per esempio “MAGA”, il famoso slogan della campagna elettorale di Trump, un acronimo che sta per “Make America Great Again”, e una grossa “Q” disegnata al centro della mano: probabilmente un riferimento alla teoria del complotto QAnon. È una cosa strana e intricata, e ovviamente infondata, ma tra le altre cose la teoria prevede che Trump stia cercando di salvare il mondo da una potente organizzazione di pedofili, di cui fanno parte politici e attori di Hollywood.
Lunedì Comello – che i suoi vicini di casa hanno descritto come un tipo tranquillo, che non dava nell’occhio – ha accettato l’estradizione a Staten Island, nello stato di New York, dove dovrebbe essere trasferito nei prossimi 10 giorni e dove dovrebbe poi essere formalmente accusato di omicidio. Durante l’udienza è sembrato tranquillo e sorridente: al momento è comunque tenuto sotto protezione dalla polizia, per il timore che anche in carcere possa essere oggetto di vendette da parte di qualche associato della famiglia Gambino.