I piani di May su Brexit sono stati scombussolati da un precedente di 400 anni fa
È quello in base al quale il presidente della Camera ha detto che l'accordo per uscire dall'Unione Europea non potrà essere votato per la terza volta
Lunedì pomeriggio il presidente della Camera dei comuni britannica, l’eccentrico John Bercow, ha invocato un antico precedente per annunciare a sorpresa che il governo di Theresa May non potrà mettere ai voti per una terza volta l’accordo su Brexit raggiunto con l’Unione Europea. Il governo, scrivono i giornali britannici, è rimasto spiazzato dalla decisione, arrivata proprio mentre le trattative per convincere i parlamentari conservatori più radicali a votare l’accordo sembravano a buon punto. Robert Buckland, deputato conservatore e uno dei principali consiglieri legali del governo, ha definito l’attuale situazione una «crisi costituzionale».
Il governo di Theresa May era stato sconfitto duramente nel corso del primo voto sull’accordo avvenuto a gennaio. Aveva poi ottenuto dall’Unione Europea alcune modifiche all’accordo, lo aveva presentato di nuovo al Parlamento ed era stato nuovamente battuto. Nonostante questo, anche a causa del crescente rischio di un secondo referendum o di un’altra soluzione che metta a rischio l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, negli ultimi giorni diversi parlamentari conservatori che si opponevano al suo accordo perché troppo morbido (non una vera Brexit, insomma) sembravano pronti a cambiare idea.
Per giustificare la decisione di impedire un nuovo voto, Bercow ha citato il principale manuale di procedura parlamentare britannico, “Parliamentary Practice”, scritto a metà Ottocento dal funzionario Erskine May e da allora costantemente aggiornato (oggi è alla 24esima edizione e dalla prossima dovrebbe diventare disponibile gratuitamente su internet). È una guida informale all’attività parlamentare, in cui vengono illustrati consuetudini e precedenti. Il precedente evocato da Bercow prevede che nessuna questione possa essere presentata al Parlamento per due volte nel corso della stessa “sessione” (nella procedura parlamentare britannica, le sessioni sono i cinque periodi lunghi un anno nei quali viene divisa la durata di una legislatura). Il precedente è stato stabilito per la prima volta nel 1604 e invocato per l’ultima nel 1912.
Here is the relevant passage from erskine May. Last time the power was used was in 1943. But as one parliamentary source said, “that’s because since the rule was implemented properly, governments and MPs don’t bother to try it, so it’s never usually needed.” pic.twitter.com/DWvnGU0SeM
— Lewis Goodall (@lewis_goodall) March 13, 2019
La decisione di Bercow è stata vista come un intervento quasi provocatorio – per questo secondo alcuni il governo May è stato “trollato”, nel senso che Bercow se ne sarebbe preso gioco – ed è stata accolta con soddisfazione dall’opposizione e dai parlamentari favorevoli a restare nell’Unione Europea. La deputata laburista Angela Eagle, per esempio, ha detto che questa decisione serve a evitare che il governo continui a «bullizzare» il parlamento. L’opposizione spera che la decisione di Brexit permetta al parlamento di “riprendere” il controllo su Brexit, in modo da muovere le trattative verso un nuovo accordo con l’Unione, che preveda un’uscita ancora più morbida di quella prevista dall’accordo di May, o addirittura verso un secondo referendum.
I sostenitori di May e di Brexit hanno invece attaccato duramente il presidente della Camera, accusandolo di utilizzare i suoi poteri in modo partigiano per ostacolare il governo e Brexit. Diversi commentatori hanno notato per esempio che Bercow decide di utilizzare i precedenti o di ignorarli in maniera abbastanza arbitraria. Altri hanno fatto notare che la Camera aveva già votato più di una volta su una serie di mozioni ed emendamenti che riguardavano la possibilità di un secondo referendum e altri tipi di accordo, e che in nessuno di questi casi Bercow aveva formulato obiezioni.
È molto difficile comunque che il governo riesca a modificare l’accordo per poterlo ripresentare, almeno nel breve tempo. L’Unione Europea ha infatti detto più volte che non intende aprire ulteriori negoziati. Il governo ha quindi due possibilità per aggirare la decisione di Bercow e tentare di ottenere un nuovo voto sull’accordo. Può chiedere alla Camera un voto per sospendere la decisione di Bercow, ma non è detto che riesca a ottenere la maggioranza. Oppure potrebbe ricorrere a un altro arcaico meccanismo parlamentare. La prossima “sessione” parlamentare dovrebbe scadere a primavera, ma il governo può consigliare alla regina di anticiparne la fine (che per una bizzarra serie di ragioni si chiama “proroga“).
Interrogato in proposito, Bercow ha spiegato che questa seconda strada sarebbe percorribile, anche se inusuale, mentre fonti del governo hanno fatto sapere che sarebbe probabilmente troppo complicata (tra le altre cose, la “proroga” prevede un discorso della regina di fronte alla Camera dei Lord vestita a festa). La prima ministra Theresa May non ha ancora comunicato cosa intende fare.
Oltre a dover decidere come gestire questa inaspettata crisi, il governo dovrà anche stabilire cosa chiedere all’Unione Europea nel corso del Consiglio dell’Unione che si svolgerà giovedì 21 marzo. May è stata autorizzata dal Parlamento a chiedere una proroga dei termini di Brexit ai capi di stato e di governo degli stati membri dell’Unione. Senza questa proroga, il prossimo 29 marzo il Regno Unito sarà fuori dall’Unione: senza un accordo, a questo punto. Non è chiaro però che tipo di proroga May chiederà: se breve o lunga, e con quali motivazioni.
Il piano originario del governo era presentare per la terza volta l’accordo in Parlamento, ottenere la sua approvazione (che sarebbe stata in ogni caso molto difficile) e quindi chiedere all’Unione Europea una breve proroga tecnica, per consentire l’approvazione della legislazione correlata all’accordo. Dopo la decisione di Bercow è più probabile che May chieda una proroga più lunga, giustificandola con la necessità di organizzare nuove elezioni nel caso in cui non si riuscisse ad approvare il suo accordo.