Shell vuole diventare il più grande produttore di energia elettrica
Per diversificare la produzione e non rimanere ancorata ai combustibili fossili, ma non ha ancora cominciato a investire davvero
La società petrolifera Royal Dutch Shell ha annunciato questa settimana che entro i prossimi 15 anni intende diventare il più grande produttore di energia elettrica mondiale: una mossa, ha scritto l’agenzia Bloomberg, «che mostra come la società consideri il cambiamento climatico un pericolo maggiore per i suoi affari della storica debolezza del business dell’elettricità».
Shell, com’è comunemente chiamata, è una delle più grandi aziende petrolifere del mondo. Con quasi 400 miliardi di dollari di fatturato annuale è, secondo la classifica Fortune 500, la quinta società più grande al mondo e la numero uno in Europa. Fondata nel 1890, oggi la società ha sede nei Paesi Bassi e nel Regno Unito.
L’annuncio è stato fatto dalla società nel corso della CERAweek, una conferenza annuale sull’energia che si tiene a Houston, in Texas. Maarten Wetselaar, amministratore del gruppo, ha detto al Financial Times che il suo obiettivo è fornire servizi elettrici (quindi portare la corrente ai clienti e fornire strumentazioni come batterie casalinghe) per un volume di affari almeno pari a quello delle operazioni con carburanti fossili.
Trasformarsi nel primo produttore di energia elettrica mondiale, ha spiegato Wetselaar, sarà una conseguenza necessaria della trasformazione del business della società: se la società raggiungerà entro il 2035 i suoi obiettivi di riduzione dei gas serra «la quantità di energia, energia pulita, che a quel punto venderemo… ci renderà di gran lunga i più grandi produttori di energia elettrica del mondo».
Questo ovviamente sarà possibile soltanto se la società riuscirà a mantenere intatto il suo fatturato in questo difficile periodo di transizione, cioè se riuscirà a mantenere l’attuale volume di affari pur impegnandosi in attività, come la produzione di energia elettrica, tradizionalmente molto meno redditizie. Il punto chiave sarà preservare la redditività dell’azienda, con un ritorno di capitale tra l’8 e il 12 per cento. Questa redditività al momento è assicurata dalla vendita di petrolio e suoi derivati, mentre il futuro è ancora molto incerto.
Shell e le altre società potrebbero sperimentare una trasformazione più semplice del loro business se saranno confermate le stime secondo cui la quota di energia elettrica sul totale dell’energia utilizzata nel mondo passerà dal 20 al 50 per cento del totale, un passaggio che per verificarsi avrà bisogno di un incremento molto rilevante nel numero di automobili elettriche e quindi aprirà nuove possibilità per il business dell’energia elettrica, potenzialmente riducendo i margini di guadagno per l’estrazione e la vendita di petrolio.
Di certo c’è che nell’immediato le società petrolifere non intendono privilegiare le fonti rinnovabili e la produzione elettrica a scapito del petrolio. L’Economist ha scritto poche settimane fa che nonostante le promesse di cambiamento, quasi tutte le principali società petrolifere prevedono un aumento dei consumi e delle vendite di petrolio da qui al 2025.
Le compagnie petrolifere come Shell rischiano però di non avere molta scelta in futuro. Come ha notato Bloomberg, azionisti e investitori stanno facendo pressioni sulle grandi società affinché diversifichino il loro business rispetto alla produzione di energia da fonti fossili, in vista degli interventi regolatori sempre più pesanti che ci si aspetta colpiranno i grandi produttori di inquinamento. Qualcosa del genere sta già avvenendo. Ad esempio, il fondo sovrano della Norvegia, uno dei più grandi al mondo, ha ricevuto ordine dal governo di disinvestire quasi 40 miliardi di dollari dalle società petrolifere ed energetiche.
Come Shell, tutte le grandi società petrolifere stanno cercando di entrare nel business delle fonti rinnovabili. BP per esempio ha acquistato la più grande catena di distributori di energia elettrica per autovetture del Regno Unito. Total ha comprato l’azienda produttrice di energia franco-belga Direct Energie, mentre Shell ha comprato la britannica First Utility.
Per quanto le società petrolifere siano molto attente a pubblicizzare questi investimenti, la quantità di capitali che impiegano in energie rinnovabili è ancora ridotta rispetto al volume totale dei loro affari e rispetto agli investimenti in combustibili fossili. Secondo uno studio pubblicato alla fine dell’anno scorso, nel 2018 le società petrolifere hanno spesso poco più dell’1 per cento del loro fatturato complessivo in energie rinnovabili, batterie e produzione di elettricità. «Questa percentuale impallidisce a confronto dell’ammontare che le grandi società petrolifere investono nei combustibili fossili e nell’attività di lobbying per bloccare le iniziative sul cambiamento climatico e i regolamenti che potrebbero danneggiarle», ha detto a Reuters Jeanne Martin, del gruppo ambientalista Share Action, commentando lo studio.
Da questo punto di vista Shell non fa eccezione. Wetselaar ha spiegato al Financial Times che Shell pianifica di investire a partire dal 2020 uno o due miliardi di dollari l’anno in nuove tecnologie energetiche (compresa, ma non soltanto, la produzione di elettricità). Si tratta di circa un quattrocentesimo del suo fatturato e un venticinquesimo dei 25 miliardi di dollari che la società spende ogni anno in investimenti. Wetselaar spiega questa sperequazione dicendo che per quanto riguarda l’elettricità la società è ancora in una fase in cui «sta cercando di provare un’ipotesi», ma assicura che dopo alcuni anni di messa a punto e sperimentazione «l’investimento sarà aumentato».