L’Unione Europea ha aggiunto 10 paesi alla sua lista dei paradisi fiscali
In tutto ora sono 15, nonostante l'opposizione dell'Italia che non voleva inserire nella lista gli Emirati Arabi Uniti
L’Unione Europea ha aggiornato la black list dei paradisi fiscali, cioè quegli stati ufficialmente definiti “non cooperativi” che hanno adottato una legislazione grazie alla quale privati e società possono riuscire a nascondere i loro guadagni al fisco europeo. La prima lista era stata compilata nel 2017 e ne facevano parte 17 paesi. Insieme alla black list è stata pubblicata anche una “lista grigia” di 47 paesi sotto osservazione. In seguito alcuni paesi erano stati spostati nella “lista grigia” perché avevano assunti degli impegni con l’Unione Europea per modificare il proprio regime fiscale.
Ora la lista include 15 paesi, 5 dei quali ne facevano già parte dal 2017. L’elenco è stato aggiornato martedì dai ministri delle Finanze degli stati europei che si sono trovati a Bruxelles per l’Ecofin. Samoa americane, Guam, Samoa, Trinidad e Tobago e Isole Vergini degli Stati Uniti sono i 5 stati che facevano parte della lista già nel 2017 e che in questi anni non hanno assunto alcun impegno per riformare i loro regimi fiscali. Altri tre paesi che figuravano nell’elenco del 2017 erano stati spostati nella lista grigia in seguito agli impegni assunti, ma sono stati nuovamente inseriti nella lista nera per non aver dato seguito agli impegni annunciati: Barbados, Emirati Arabi Uniti e Isole Marshall. Altri 7 paesi sono stati spostati oggi dalla lista grigia alla lista nera per lo stesso motivo: Aruba, Belize, Bermuda, Figi, Oman, Vanuatu e Dominica. Altri 34 paesi continueranno a essere monitorati nel 2019 (lista grigia), mentre 25 paesi del censimento iniziale sono stati rimossi.
«L’elenco UE dei paradisi fiscali è un vero successo europeo. Ha contribuito in maniera determinante alla trasparenza e all’equità fiscale su scala mondiale», ha dichiarato Pierre Moscovici, Commissario responsabile per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane. Grazie a questo censimento, secondo Moscovici, «decine di paesi hanno abolito regimi fiscali dannosi e si sono conformati alle norme internazionali in materia di trasparenza ed equità fiscale».
Stando a quanto aveva scritto Reuters, ieri l’Italia e l’Estonia si erano opposte senza successo al reinserimento degli Emirati Arabi Uniti nella black list (facevano parte di quella del 2017, ma erano stati spostati in quella grigia per aver promesso riforme fiscali che non sono ancora state attuate). Secondo l’Italia bisognava aspettare almeno la fine dell’anno per decidere se reinserire o meno gli Emirati Arabi Uniti nella lista, perché il governo di Dubai aveva avuto poco tempo per adeguarsi agli standard europei in maniera fiscale. Tutti gli stati monitorati dalla Commissione avevano avuto un anno di tempo per adeguarsi agli standard europei prima di essere reinseriti nella “black list”. Non è chiaro se l’Italia sia stata spinta a dare parere contrario per altre ragioni.
Di fatto la black list non ha nessun valore coercitivo: semplicemente ora i 15 paesi non potranno ricevere aiuti dall’Unione Europea, a meno che non si tratti di aiuti allo sviluppo. Per il resto imprese e privati potranno continuare ad averci a che fare senza rischiare nessuna sanzione a livello europeo. La Commissione Europea, però, “incoraggia” i singoli stati a mettere in atto sanzioni più stringenti se lo riterranno necessario. In questi casi, uno stato può combattere un paradiso fiscale stabilendo una tassa su tutte le transazioni economiche che partono o arrivano da quello stato, oppure imponendo controlli fiscali ai privati e alle aziende che lo frequentano.