L’altro scandalo della Chiesa
Quello delle religiose abusate dagli ecclesiastici, raccontato in un documentario di cui si sta parlando molto
Su ARTE, una rete televisiva e online disponibile in sei lingue e sostenuta dall’Unione Europea, fino al prossimo 3 maggio sarà possibile vedere un documentario intitolato “Religiose abusate, l’altro scandalo della Chiesa”: «Per decenni, le suore di tutti i continenti sono state abusate sessualmente da preti predatori», si dice nella presentazione. Il documentario, diretto da Marie-Pierre Raimbault ed Eric Quintin, è il risultato di una ricerca durata due anni e condotta in diversi paesi del mondo con la collaborazione della giornalista Elizabeth Drévillon. Oltre alle testimonianze dirette di alcune religiose che hanno subito abusi all’interno dell’istituzione ecclesiastica e di alcune madri superiore, si racconta come ha funzionato l’intero sistema e quali siano le responsabilità del Vaticano nella protezione (decennale) dei preti stupratori.
Quando si parla di abusi sessuali all’interno della Chiesa si pensa immediatamente ai casi di pedofilia, e molto raramente agli stupri di suore e missionarie. La portata dell’abuso di genere non è evidente né considerata: basti pensare al fatto che a capo dell’organo che cura i casi di molestie sessuali all’interno della Santa Sede era stato nominato Hermann Geissler, che si è dimesso qualche settimana fa dopo le accuse di molestie sessuali denunciate da un’ex suora; e basti pensare che papa Francesco ha fatto una timida ammissione sugli abusi di genere solo di recente, poco prima dell’organizzazione in Vaticano di un incontro molto atteso proprio sugli abusi che è stato però deludente e durante il quale le questioni di genere non sono state nemmeno nominate.
Eppure, sono molte e ovunque nel mondo, le religiose ad aver subito stupri e abusi da parte degli ecclesiastici. Alcuni sacerdoti, mostra il documentario, hanno utilizzato i testi dei Vangeli per disporre impunemente dei corpi delle monache, le quali, quando poi restano incinte, o sono escluse dalle loro congregazioni, o vengono costrette ad abortire in segreto – all’interno di una comunità che da sempre condanna e combatte attivamente l’aborto – o sono costrette ad «offrire il loro bambino a Dio», cioè ad abbandonarlo.
Quando questi crimini vengono dimostrati, i preti colpevoli vengono semplicemente trasferiti o giudicati dai tribunali interni. Nel 1990, dopo anni di indagini in ventitré paesi di quattro continenti, due religiose, suor Maura O’Donohue e suor Marie McDonald, trovarono il coraggio di presentare denunce molto precise e prove approfondite su alcune gravi situazioni di abuso di genere in Vaticano. Ma le loro richieste rimasero senza risposta. Nel marzo 2001 il quotidiano statunitense National Catholic Reporter pubblicò per la prima volta queste loro ricerche. Da allora, nonostante nuove denunce e nuove inchieste, sono stati fatti tre papi e nessuno di loro è mai riuscito o ha mai voluto affrontare la questione della violenza sessuale contro le religiose.
Le testimonianze raccolte nel documentario sono molto forti. Due ex componenti di una comunità che si chiama L’Arche, e che si trova in Francia, hanno raccontato per esempio gli abusi subiti per anni da padre Thomas. Le donne, Michèle-France e Doris, hanno detto che esercitava un controllo quasi totale su di loro, che erano molto giovani, e che utilizzava la propria autorità per fare ciò che voleva. Le violenze contro Michèle-France iniziarono a pochi mesi dai voti, quando aveva 26 anni: «Mi hanno detto di spogliarmi e poi hanno fatto la stessa cosa (…) Padre Thomas ha praticato quello che oggi so essere un cunnilingus. A quel tempo io stavo praticando delle fellatio a un altro padre, Marie-Dominique, e ho fatto lo stesso a padre Thomas … avrei potuto rifiutarmi in termini assoluti, ma ero come l’uccellino ipnotizzato dalla vipera». Doris, invece, aveva 22 anni quando si fece suora. Lavorava a Roma, vicino al Vaticano, con un prete della sua comunità che diventò poi il suo aggressore per anni: «Entrò nella mia stanza e chiuse la porta dietro di lui. Ci sedemmo sul divano, lui avvicinò la mano e aprì il bottone del mio vestito. A quel tempo, non avevo ancora la parola stupro nella mia testa». Doris denunciò i fatti alla sua superiora. Il suo stupratore confessò, ma non cambiò nulla: «Anche oggi, è in una casa piena di giovani sorelle mentre tutti sanno cosa ha fatto». Doris nel frattempo ha lasciato la vita religiosa.
Il documentario spiega molto bene la condizione delle religiose abusate, che spesso per molto tempo non si sono nemmeno rese conto di essere delle vittime. I predatori, si spiega, non attaccano in genere le donne mature e ben ferme nelle loro scelte di vita, ma le giovani donne mentre stanno per fare la loro scelta, o hanno appena preso i voti, mentre hanno dei dubbi, sono fragili e si confidano con i loro padri spirituali. Se il padre spirituale è uno stupratore, molto spesso l’abuso inizia durante le confessioni: “Hai pensieri impuri?”, “Ti stai masturbando?”, “Sei attratta da un’altra suora?” E nell’isolamento del confessionale, alcuni di questi preti si masturbano.
Il regista e la regista del documentario hanno spiegato che ciò che li ha motivati «è che non c’era alcun interesse alle inchieste degli anni Novanta e che non era stata data alcuna risposta (…) Il Vaticano si è accontentato di rispondere alle denunce suggerendo che il problema venisse affrontato internamente e con discrezione». «Quando denunci un prete», racconta Cecilia, una religiosa intervistata nel documentario, «anche la Chiesa viene denunciata». Ma si è ben lontane dall’ottenere un risultato. Padre Thomas, per esempio, venne sanzionato dal Vaticano all’inizio degli anni Cinquanta: da allora gli fu proibito di insegnare, di esercitare e di fare da padre spirituale. La mancanza di controlli interni lo ha però lasciato però libero di continuare ad agire come ha sempre agito. C’è una «fraternità» all’interno del clero che facilita l’impunità, ha spiegato Jean de la Selle, ex responsabile della comunità in cui si trovava padre Thomas. Un’impunità rafforzata dal tacito principio per cui «una colpa confessata equivale a una colpa perdonata».
Il documentario rivolge infine un’accusa particolarmente dura contro il Vaticano. Attribuisce al pontificato di Giovanni Paolo II la colpa di aver favorito la cultura dell’impunità attraverso una pratica sistematica di minimizzazione delle denunce. Per molto tempo, si dice ancora, il Vaticano ha riconosciuto solamente pochi atti isolati e solo in alcuni paesi, in particolare nell’Africa occidentale. Ma il fenomeno non riguarda solamente alcuni paesi africani e non si tratta di atti isolati. «La Santa Sede non è in grado di fare un mea culpa» hanno denunciato i registi del documentario: «Possiamo almeno aspettarci che finalmente agisca per impedirli».
(Il documentario è per ora disponibile in tedesco, polacco e francese)