La storia della statua di Indro Montanelli imbrattata a Milano
Il movimento femminista Non Una Di Meno l'ha cosparsa di vernice lavabile per ricordare quando, durante l'invasione italiana dell'Etiopia, «comprò» una ragazzina eritrea di 12 anni
L’8 marzo a Milano, durante la manifestazione per la Giornata internazionale della donna, alcune attiviste del movimento femminista Non Una Di Meno hanno imbrattato con vernice rosa lavabile la statua del giornalista Indro Montanelli che si trova vicino all’ingresso dei giardini pubblici a lui intitolati, lungo Corso Venezia. Il movimento ha spiegato di aver voluto attirare l’attenzione verso una storia di cui si parla ciclicamente in riferimento a Montanelli, considerato da molti una delle firme storicamente più autorevoli del giornalismo italiano: di quando, soldato in Etiopia negli anni Trenta, comprò ed ebbe relazioni sessuali con una ragazzina eritrea di 12 anni.
L’imbrattamento ha provocato un’accesa polemica tra chi sostiene che il comportamento di Montanelli vada in qualche modo contestualizzato con le abitudini dei soldati italiani nelle colonie nei primi decenni del Novecento, e chi invece ritiene che proprio la giustificazione di quei comportamenti sia una forma di rimozione verso i crimini commessi dagli italiani nelle colonie africane. In molti, poi, ricordano che Montanelli raccontò quell’esperienza ancora in tempi recenti, quando le sensibilità erano ormai ampiamente cambiate, senza fare una vera autocritica e senza scusarsi pubblicamente.
Nel suo comunicato, Non Una Di Meno ha spiegato il gesto in questo modo:
È una doverosa azione di riscatto. Queste le parole di Indro Montanelli a proposito della sua esperienza coloniale: “Aveva dodici anni… a dodici anni quelle lì [le africane] erano già donne. L’avevo comprata dal padre a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire. Era un animaletto docile, io gli misi su un tucul (semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia) con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi assieme alle mogli degli altri ascari…arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita” (intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982). Sono questi gli uomini che dovremmo ammirare?.
La citazione di Montanelli si riferisce a una delle occasioni in cui il giornalista raccontò della ragazzina eritrea di 12 anni che «comprò» durante l’invasione italiana dell’Etiopia, quando faceva parte dell’esercito come sottotenente al comando di un battaglione di ascari, cioè militari eritrei. Montanelli raccontò per la prima volta dei suoi rapporti con la ragazzina, di cui non si conosce l’identità, nel 1972, durante il programma televisivo di Gianni Bisiach L’ora della verità. All’epoca dei fatti, a metà degli anni Trenta, Montanelli aveva 26-27 anni.
Bisiach: «Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo, indigena molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d’allora»
Montanelli: «Sì, pare che avessi scelto bene»
Bisiach: «Era molto invidiato per questo»
Montanelli: «Era una bellissima ragazza bilena [i bilen sono un gruppo etnico eritreo, ndr] di 12 anni, scusatemi, ma in Africa è un’altra cosa. Così, l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre. Mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari».
Tra i colonialisti italiani in Africa orientale e in Libia erano piuttosto diffuse le relazioni sessuali e di convivenza temporanee con donne africane, che venivano chiamate «madame», almeno fino a quando con l’emanazione delle leggi razziali fasciste nel 1938 il cosiddetto madamato non fu vietato per evitare le relazioni miste. Per quanto riguarda i rapporti sessuali con minorenni, già dal 1930 la legge italiana considerava stupro quelli con i minori di 14 anni.
Durante la puntata di L’ora della verità del 1972 Montanelli ricevette alcune domande critiche incalzanti dalla giornalista femminista Elvira Banotti (eritrea per parte di madre):
Banotti: «Ha appena detto tranquillamente di aver avuto una sposa, diciamo, di 12 anni, e a 25 anni non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni dicendo “Ma in Africa queste cose si fanno”. Io vorrei chieder a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»
Montanelli: «No signora, guardi, sulla violenza… nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni»
Banotti: «Questo lo dice lei»
Montanelli: «Allora era l’uso»
Banotti: «Sul piano di consapevolezza dell’uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è un rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa riterrebbe di violentare una bambina, vero?»
Montanelli: «Sì, in Europa sì, ma…»
Banotti: «Appunto, quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico? O psicologico anche?»
Montanelli: «No guardi, lì si sposano a 12 anni, non è questione…»
Banotti: «Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa. Il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni, senza assolutamente, glielo garantisco, tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori. (…) La storia è piena di queste situazioni».
#Montanelli mi piace ricordarlo così, quando si vantò in tv della bambina comprata e venne impeccabilmente asfaltato da Elvira Banotti. pic.twitter.com/by4H9EFYOK
— Adil (@unoscribacchino) March 9, 2019
Negli anni Montanelli tornò a parlare più volte della ragazzina eritrea, ad esempio nell’intervista con Enzo Biagi del 1982 citata da Non Una Di Meno, cambiando versione sulla sua età (da 12 a 14 anni) e sul suo nome. Lo fece per l’ultima volta in La stanza di Montanelli, la sua rubrica sul Corriere della Sera, il 12 febbraio 2000: in molti hanno sottolineato come quella sua risposta a una lettrice non contenesse nessuna autocritica né apparenti pentimenti.
Montanelli era di idee conservatrici, «di destra» come diceva lui stesso, ma per via delle critiche a Silvio Berlusconi negli ultimi anni della sua vita – morì nel 2001 – è stato lodato anche dagli ambienti progressisti, e viene citato molto di frequente come esempio e “maestro” dalle successive generazioni di giornalisti. La sua statua a Milano è già stata ripulita.