Il mercato delle prigioni private negli Stati Uniti
Il modello delle aziende che gestiscono o possiedono carceri esiste da trent'anni ed è in continua espansione, anche oggi
L’intransigenza dell’amministrazione di Donald Trump sui migranti irregolari e l’antica politica statunitense delle incarcerazioni di massa sono un’occasione economicamente molto vantaggiosa per le aziende che gestiscono o possiedono carceri private negli Stati Uniti. Il Wall Street Journal, partendo dalle difficoltà e dal sovraffollamento delle strutture di detenzione federali – e dunque gestite dal governo – ha raccontato come negli ultimi tempi sia cresciuto un modello, nato trent’anni fa, basato sempre di più sull’appalto delle carceri a operatori e investitori privati e specializzati.
L’inizio della privatizzazione
La fortuna delle imprese private nelle prigioni degli Stati Uniti iniziò negli anni Ottanta quando, nel contesto della cosiddetta “guerra alla droga”, l’allora presidente Ronald Reagan firmò l’Anti-Drug Abuse Act instaurando pene molto severe per crimini non violenti ma legati alla droga, e causando un aumento improvviso della popolazione carceraria degli Stati Uniti (in particolare di quella di origine afro-americana). La tendenza subì un’ulteriore accelerazione negli anni Novanta, quando sotto la presidenza democratica di Bill Clinton venne firmato il Violent Crime Control and Law Enforcement Act, che interveniva in modo nuovamente restrittivo su reati non violenti e detenzioni legate alla droga.
Da lì in poi il fenomeno dell’incarcerazione di massa raggiunse dimensioni tali che se nel 1980 le persone detenute erano circa 660 mila, oggi sono più due milioni (nel 2013 un quarto della popolazione carceraria mondiale era negli Stati Uniti). Le persone detenute sono in gran parte afroamericane: ci sono città dove un adulto nero su due è o è stato in carcere. Le risposte al problema del sovraffollamento causato dalle politiche attuate e del conseguente aumento dei costi di gestione portarono da subito a far crescere la privatizzazione carceraria, sia nella gestione di strutture prima amministrate dagli stati, sia nella costruzione e nella gestione di nuove strutture, sia nella fornitura di servizi all’interno delle prigioni, per esempio quelli medico-sanitari. La prima azienda a ottenere un contratto per la gestione di un carcere fu la CoreCivic, nel 1983. L’anno dopo toccò a GEO Group, una società della Florida, che oggi lavora anche nel Regno Unito, in Australia e in Sudafrica.
CoreCivic e Geo Group
CoreCivic, ex Corrections Corporation of America (CCA), e Geo Group sono le due principali società che oggi controllano il mercato delle carceri private. Entrambe sono quotate in borsa e sono affiancate da altri circa 3 mila operatori privati più piccoli: non si occupano solo della gestione diretta delle prigioni ma anche dei fornitori, delle imprese in cui i detenuti lavorano, gestiscono programmi di riabilitazione, di monitoraggio elettronico e sono proprietarie di edifici in cui hanno sede degli uffici governativi.
A differenza della maggior parte delle altre imprese, il cui andamento è strettamente legato alla crescita economica del paese, spiega il Wall Street Journal, i gruppi carcerari del settore privato possono guadagnare anche durante un rallentamento economico. Ma dipendono, molto più che altri settori, dai cambiamenti legislativi o esecutivi. Nel 2016, per esempio, la viceprocuratrice generale dell’amministrazione Obama, Sally Yates, presentò un memorandum al Dipartimento di Giustizia in cui chiedeva ai funzionari responsabili di non rinnovare i contratti con i gestori delle carceri private, proprio per cercare di limitare questo modello (che, come vedremo, pone molti problemi). I prezzi delle azioni delle compagnie carcerarie private crollarono di oltre il 35 per cento.
Poi è arrivato Trump, che già in campagna elettorale aveva parlato del malfunzionamento del sistema carcerario del paese e dei meriti del settore privato. Subito dopo le elezioni presidenziali il nuovo ministro della Giustizia, Jeff Sessions, aveva annullato le linee guida del suo predecessore sulla riduzione del modello privato. Negli ultimi due anni CoreCivic e Geo Group – che per le elezioni del 2016 hanno speso più di 5 milioni di dollari in attività di lobbying e finanziamento delle campagne elettorali – hanno firmato nuovi contratti di appalto con il governo e hanno chiuso il 2017 con un fatturato complessivo da 4 miliardi di dollari. Il giorno dopo la vittoria di Trump le azioni della CoreCivic sono aumentate di valore del 43 per cento; quelle di GEO Group del 21 per cento.
Secondo una ricerca pubblicata nell’aprile del 2018 dall’associazione no profit Urban Justice Center, più della metà degli 80 miliardi di dollari spesi dal governo statunitense ogni anno per il sistema carcerario è utilizzata per pagare le società private. Secondo un altro studio, dal 1999 al 2015 il numero delle persone detenute nelle carceri private degli Stati Uniti è passato da circa 69 mila a più di 126 mila.
Quando lo scorso dicembre, tra le altre cose, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha firmato il First Step Act, un’attesa riforma del sistema carcerario per ridurre l’uso di pene detentive per reati non violenti, CoreCivic e GEO Group lo hanno sostenuto per ridurre la recidiva e hanno nel frattempo cercato di diversificare le loro attività, investendo centinaia di milioni di dollari per costruire una rete di centri di riabilitazione e aiutare le persone ad acquisire competenze per il “rientro in società”.
Il mercato della detenzione dei migranti
Nell’anno fiscale 2018 che si è concluso lo scorso 30 settembre, nei centri di detenzione dell’ICE (lo United States Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione) sono state registrate 396.448 persone, con un aumento del 22,5 per cento rispetto all’anno precedente. Tra ottobre e gennaio le persone intercettate lungo il confine sud-occidentale sono salite a 201.497, in aumento di un terzo rispetto allo stesso periodo dell’anno procedente.
Questi numeri, associati alle politiche di Trump, si traducono in nuove occasioni d’affari per i gestori di carceri del settore privato e per società come CoreCivic e Geo Group, che negli ultimi due anni hanno firmato nuovi contratti di appalto proprio con l’ICE. A settembre GEO Group ha completato una struttura da 1.000 posti letto a Montgomery, in Texas, che secondo le stime della stessa Geo genererà 44 milioni di dollari l’anno. Ha poi ottenuto il rinnovo di un contratto per un centro di detenzione a Big Springs, sempre in Texas, dove in dieci anni la Geo prevede di incassare 664 milioni di dollari. ICE fornisce a GEO Group un quinto delle proprio entrate, dice il Wall Street Journal. Anche CoreCivic, lo scorso anno, ha firmato nuovi contratti con agenzie governative per nuove strutture in Mississippi e Arizona. E attualmente sta espandendo anche un centro di detenzione in California. Il giro di affari con l’ICE rappresenta un quarto delle entrate di CoreCivic.
Gli ultimi dati disponibili sulla distribuzione delle persone migranti detenute tra strutture private e pubbliche sono del novembre 2017. E la percentuale dei migranti in custodia presso strutture private è pari al 72 per cento.
Ma nella gestione dei migranti e dei richiedenti asilo sono coinvolte anche molte altre società private. Lo U.S. Customs and Border Protection, la maggiore agenzia di forze dell’ordine che si occupa della sicurezza delle frontiere e che dipende dal Dipartimento della sicurezza interna statunitense, opera direttamente sui confini, ma ha accordi con diversi appaltatori per svolgere altri compiti come il trasporto e la sorveglianza delle persone in custodia o il controllo del traffico aereo.
I problemi
Per contenere i costi, nelle cosiddette “prigioni a scopo di lucro” la tendenza è tagliare i costi piuttosto che investire sulla qualità dei servizi. Questo risulta grave soprattutto quando si tratta di servizi che hanno a che fare con la salute dei detenuti. Diversi articoli e indagini giornalistiche hanno descritto, nel tempo, l’assunzione di personale non qualificato nelle prigioni private, il cibo scadente, i programmi di riabilitazione praticamente inesistenti, il trattamento dei detenuti a volte brutale.
Ci sono state diverse inchieste anche sulle imprese legate alle società di gestione privata delle carceri che si avvalgono del lavoro dei detenuti a basso costo: «Non devono preoccuparsi degli scioperi o di pagare i sussidi di disoccupazione, dei periodi di vacanza o degli straordinari. Tutti i loro lavoratori sono a tempo pieno, non arrivano mai in ritardo e non sono assenti a causa di problemi familiari; inoltre, se non gradiscono lo stipendio di 25 centesimi l’ora e si rifiutano di lavorare, vengono rinchiusi nelle celle di isolamento». In un editoriale del 2017, il New York Times aveva paragonato il mercato delle prigioni a un parassita che si nutre dell’incarcerazione di massa.