L’Italia sta facendo un passo verso la Cina
Un passo importante: cosa si sa del "memorandum" che sta complicando i rapporti del governo italiano con gli Stati Uniti
Da giorni sulla stampa italiana si parla della prossima firma di un memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla “Belt and Road Initiative” (BRI), imponente e ambizioso progetto lanciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping e spesso chiamato un po’ impropriamente “Nuova via della seta”. La notizia, data mercoledì dal Financial Times e poi ripresa da molte testate nazionali, è in realtà una notizia solo per metà: addetti ai lavori e giornalisti esperti di cose asiatiche parlavano da mesi di un particolare interessamento della Cina nell’Italia, di una possibile intesa tra i due paesi e delle tensioni che tutto questo processo aveva provocato all’interno del governo Lega-M5S.
La firma del memorandum d’intesa, che dovrebbe avvenire durante la visita in Italia del presidente Xi fissata per il 21, 22 e 23 marzo, è comunque una notizia estremamente importante, sia per la portata del progetto cinese sia per questioni più legate alla politica estera italiana e al suo rapporto con gli Stati Uniti.
La “Belt and Road Initiative” è un programma molto discusso con cui la Cina sta investendo enormi capitali per costruire infrastrutture in decine di paesi, specialmente in Africa. Come ha scritto sul Foglio la giornalista Giulia Pompili, però, la BRI non è solo questo: «È un nuovo ordine mondiale con “caratteristiche cinesi”, un progetto strategico che guarda ai prossimi cinquant’anni e non ai prossimi cinque, capace di mettere in sicurezza gli interessi cinesi in ogni angolo del globo e contrastare l’egemonia dell’altra potenza: quella americana». Finora il progetto ha trovato interlocutori interessati in diversi paesi europei – Polonia, Ungheria, Portogallo e Grecia – ma un eventuale coinvolgimento dell’Italia sarebbe per la Cina un notevole salto di qualità: quello italiano sarebbe infatti il primo governo del G7 a firmare il memorandum sulla BRI.
Sulla possibile firma del memorandum d’intesa ci sono almeno due cose importanti da dire. La prima riguarda il processo con cui il governo italiano è arrivato a parlare apertamente del memorandum; la seconda l’importanza in sé del memorandum, il suo significato politico.
Secondo una dettagliata ricostruzione di Pompili pubblicata sul Foglio il 7 marzo, il personaggio al centro di questa storia è Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo economico con deleghe al commercio estero. Prima di ottenere l’incarico di governo, Geraci si era già distinto per il suo profondo interesse per la Cina: dopo essere stato ingegnere elettronico, si era reinventato esperto di finanza, aveva imparato il cinese e si era inserito nel mondo della comunità di italiani in Cina, ottenendo anche incarichi accademici in diverse università cinesi. Era poi riuscito ad avvicinarsi a Matteo Salvini e allo stesso tempo aveva iniziato a scrivere sul blog di Beppe Grillo. Quella di Geraci per la Cina era una specie di ossessione, ha scritto Pompili in diversi passaggi del suo articolo: ossessione che è continuata fino a oggi e che ha trovato la sua massima espressione nell’annuncio della firma del memorandum d’intesa.
L’annuncio dell’intesa era stato fatto dal ministero dello Sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio (M5S) alla fine di un viaggio di Geraci in Cina, l’8 settembre scorso. Euractiv, sito che si occupa di cose europee, ha scritto che l’annuncio aveva preso alla sprovvista il ministero degli Esteri italiano, che doveva guidare i negoziati e che però era stato messo da parte. Euractiv ha specificato di avere avuto l’informazione da una fonte rimasta anonima.
La seconda considerazione da fare è che molti osservatori sostengono che il memorandum in sé non introdurrà enormi vincoli all’Italia nei suoi rapporti con la Cina.
Euractiv, che ha letto il testo dell’intesa, ha scritto che il memorandum stabilisce più che altro un quadro generale all’interno del quale si decideranno accordi di cooperazione e commerciali specifici, come quello che riguarda gli investimenti di società cinesi nel porto di Trieste. Pompili ha scritto sul Foglio che diverse sue fonti le hanno confermato che il documento sarebbe una specie di «scatola vuota», niente di particolarmente vincolante. Avrebbe però un grande significato politico: sarebbe una importante vittoria politica e diplomatica per la Cina, un colpo per gli Stati Uniti e la prova della predisposizione di questo governo italiano (o almeno di una sua parte) di allontanarsi dalle alleanze che hanno segnato finora la politica estera dell’Italia.