I sintomi morbosi che ci circondano
Nel suo nuovo libro lo storico Donald Sassoon sostiene che stiamo assistendo all'agonia del vecchio mondo: ne parliamo mercoledì al Circolo dei lettori di Torino
«Questo libro è una polemica», scrive lo storico britannico Donald Sassoon nelle prime pagine di Sintomi morbosi, il suo nuovo libro pubblicato da Garzanti. E come ogni polemica che si rispetti, è corrosiva e lascia il lettore più irrequieto di come l’ha trovato. «Questo libro non offre alcuna soluzione, ma un po’ di disperazione», scrive Sassoon poco dopo. Nelle successive 250 pagine mantiene la sua promessa.
Sassoon discuterà del suo libro mercoledì 6 marzo alle 21, ospite del Circolo dei lettori di Torino, dove sarà intervistato dal giornalista del Post Davide Maria De Luca nel corso della prima serata del ciclo di incontri “Aspettando il Salone Internazionale del Libro di Torino 2019” (il Salone si svolgerà tra il 9 e il 13 maggio). All’incontro si parlerà della polemica intorno alla quale Sassoon ha costruito il suo libro: una riflessione critica e amara sulla crisi economica, sociale e morale che ha colpito l’Europa occidentale, gli Stati Uniti e buona parte del resto del mondo. Una crisi che si esprime con il ritorno di fenomeni che molti speravano dimenticati: xenofobia, razzismo e nazionalismo; con la crisi e lo smantellamento dei complessi e costosi sistemi di protezione sociale costruiti nel Dopoguerra; con l’aumento delle diseguaglianze tra ricchi e poveri e la perdita di fiducia nei sistemi politici e nella possibilità che le cose possano un giorno cambiare.
Sono questi i “sintomi morbosi” a cui Sassoon si riferisce, utilizzando un termine preso in prestito da una frase dei Quaderni dal carcere, scritti dal leader comunista italiano Antonio Gramsci mentre si trovava nella prigione fascista di Turi, in Puglia, dove sarebbe morto nel 1937:
La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.
È questa la fase storica nella quale ci troviamo, sostiene Sassoon: il vecchio mondo è moribondo e la sua agonia finale è il filo rosso che unisce le molteplici crisi che ci troviamo davanti e che a uno sguardo superficiale potrebbero sembrare solo una serie di sfortunate coincidenze slegate tra di loro.
La scelta di Gramsci, la cui frase compare anche nell’epigrafe del libro, rivela l’orientamento di Sassoon, oggi uno dei più importanti pensatori della moderna sinistra europea. Allievo dello storico marxista Eric J. Hobsbawm, uno dei più famosi e autorevoli del Dopoguerra, Sassoon ha scritto a lungo sulla storia della sinistra, per esempio nel suo monumentale Cento anni di socialismo (Editori Riuniti, 1997), una storia comparata dei partiti socialisti europei e della loro influenza nel corso del Novecento. Oggi è professore di Storia comparata alla Queen Mary University di Londra. Nato al Cairo nel 1946 e vissuto in Francia, Sassoon conosce bene l’Italia, dove trascorse alcuni anni della sua infanzia e dove più di recente ha fatto ricerca e insegnato. Del nostro paese si è occupato nei suoi libri sul leader comunista Palmiro Togliatti e sul dittatore fascista Benito Mussolini, oltre che nei suoi frequenti interventi sulla stampa italiana.
Sintomi morbosi è un libro che presenta una visione di sinistra del mondo, ma questo non significa che Sassoon sia tenero con chi ha idee simili alle sue, anzi. I partiti della sinistra sono tra i suoi principali bersagli e quelli del Regno Unito, il paese dove insegna e vive, ricevono da lui un trattamento particolarmente brusco. Alla storia della sinistra europea a partire dagli anni Ottanta sono dedicati gran parte del terzo e del quarto capitolo: più di cinquanta pagine in cui Sassoon racconta come, di fronte alle mutate condizioni politiche ed economiche mondiali, la sinistra dei paesi sviluppati si spostò verso il centro dello spettro politico, abbandonando i pilastri ideologici da cui si era fatta guidare sin dal Dopoguerra (alta tassazione per i ricchi, forte intervento dello Stato in economia e un welfare accessibile per tutti) in favore di un’apertura alle idee di quello che in seguito sarebbe stato battezzato “neoliberismo” (apertura al commercio internazionale, deregolamentazione e taglio delle tasse).
Se ancora oggi i sostenitori di leader politici come Tony Blair, nel Regno Unito, o Matteo Renzi, in Italia, sostengono che quello spostamento fu giusto e necessario, per Sassoon costituì invece la radice della loro crisi. Invece di lottare contro le diseguaglianze, scrive, i partiti di sinistra di mezzo mondo «hanno optato per ciò che ritenevano fosse una cautela: assecondare la dominante ideologia filomercato. E così hanno perso la partita».
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Ma altrettanto in crisi sono anche i loro rivali di centrodestra, i partiti popolari e tradizionali, che oggi si trovano quasi ovunque insidiati da agguerriti movimenti di estrema destra. Ci sono anche altri “sintomi morbosi” della crisi dell’attuale sistema. Per Sassoon il ritorno della xenofobia e dell’intolleranza è un altro dei “sintomi morbosi” di questa epoca di crisi. Nel primo capitolo del libro, il lettore si trova di fronte a un elenco di leader politici, partiti di estrema destra e dichiarazioni intolleranti, affiancata alla lista dei paesi in cui questo mix ha avuto successo elettorale. Sono pagine fitte di nomi, fatti e dati che vanno dalle statistiche sui crimini di odio contro musulmani e arabi negli Stati Uniti, che hanno raggiunto il picco più alto dal 2001 già prima dell’elezione di Trump, al racconto delle marce dei nazionalisti e dei reduci dei battaglioni delle SS nella Giornata della memoria in Lettonia.
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Altri “sintomi morbosi” della crisi del vecchio mondo sono rappresentati dal declino dell’egemonia degli Stati Uniti, per i cui leader politici Sassoon ha parole particolarmente dure. Sassoon nota come a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, quasi tutte le imprese militari della più potente nazione del mondo siano state fallimentari: dalla guerra di Corea, che non impedì la divisione in due della penisola, a quella del Vietnam, che non riuscì a impedirne la riunificazione sotto un regime comunista. Dopo 18 anni in Afghanistan i talebani sono più forti che mai, mentre oggi l’Iraq, invaso per impiantarci la democrazia, non ha né pace né democrazia. Il vero impero americano, scrive Sassoon, «è nel campo della cultura popolare (musica, film), nel software (Apple, Microsoft) e nei social media (Facebook, Twitter)». Ma anche questo dominio, che esercita in maniera davvero egemone da quasi 70 anni, sembra oggi minacciato: in Cina, protetti da uno stato autoritario che esercita un controllo capillare sulla società, il più vasto mercato digitale e culturale del mondo è dominato dai giganti autoctoni come JD.com, Alibaba e Baidu.
Anche guardando all’Europa, Sassoon vede poco di cui rallegrarsi. Il continente è nel pieno di una crisi politica che è diventata evidente a partire dal 2008 ma che probabilmente era in corso da molto prima. Il problema, secondo Sassoon, è come questa Europa è stata costruita.
Le persone volevano un’Unione ancora più stretta? Ovviamente no. Volevano un’Europa ancor più orientata verso il mercato? Probabilmente no. Vogliono un’Europa “sociale”? Di sicuro sì. Fatto non sorprendente, giacché nessuno vuole pensioni più basse, una sanità pubblica costosa, una giornata lavorativa lunga e la mancanza di politiche a sostegno delle giovani famiglie.
Ma non è questa l’Europa che è stata costruita nell’ultimo trentennio. Il problema secondo Sassoon è «la preponderanza di un’Europa del “mercato” anziché di un’Europa “sociale”. Il trattato di Lisbona è stato un compromesso che riflette una certa realtà politica, un determinato equilibrio di forze, che rivela com’Europa sociale sia sulla difensiva e quella del mercato sia all’attacco». Nelle sue critiche a quella che sostiene essere un’Europa “delle multinazionali e dei monopoli” (come la definì negli anni Ottanta un futuro presidente della Commissione), Sassoon parla della difficoltà (se non dell’impossibilità) di fare una vera politica di sinistra senza almeno partire dagli stati nazionali. Come molti leader e intellettuali della, per certi versi, nuova “sinistra sovranista”, Sassoon sostiene che «le politiche “sociali” sono legate allo stato-nazione» e quindi «l’Unione Europea non può essere il fondamento dell’Europa sociale».
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Sassoon non è un apocalittico, un catastrofista. Conosce bene la storia e mette subito in chiaro che la situazione di oggi è per certi versi molto migliore di un secolo fa: le condizioni di vita sono migliorate, la speranza di vita si è allungata, ci sono meno guerre e violenza in generale. Quello che è cambiato, sostiene, è spiegato almeno in parte la crisi del vecchio mondo, è che oggi è venuta meno la speranza di un cambiamento in meglio. La crisi è arrivata dopo «decenni di crescita e prosperità» che aveva reso quasi un riflesso condizionato l’idea che ogni generazione sarebbe stata in condizioni migliori della precedente. Quella promessa si è rivelata vuota per milioni di persone e le generazioni venute al mondo negli ultimi 30 anni devono spesso fronteggiare la realtà di un mondo più povero, diseguale, inquinato e precario di quello dei loro genitori. Nel periodo più buio della loro storia, gli anni Trenta delle dittature fasciste, i socialisti mantenevano la loro fede in un futuro di equità e giustizia. Oggi invece la speranza è appannaggio «dei fanatici religiosi».
Le conclusioni del libro sono amare, come Sassoon aveva promesso nelle prime pagine del libro. Per quanto abbia parole positive (o meglio: meno critiche) per quei leader politici di sinistra che hanno provato a invertire la situazione e rimettere al centro del loro agire le preoccupazioni sociali e la lotta alle diseguaglianze, per esempio Jeremy Corbyn nel Regno Unito o i leader della sinistra portoghese, Sassoon non si fa tante illusioni sulla possibilità che questi progetti possano avere un successo duraturo: «In un mondo sempre più integrato nessun singolo agente può cambiare la situazione». Ma, ed è forse una delle poche note di speranza nel libro, Sassoon ricorda che questo mondo in crisi è moribondo e ci sarà spazio in futuro per creare qualcosa di nuovo. Le crisi che elenca per tutto il libro sono i sintomi della sua agonia. Come scrisse Gramsci, i “sintomi morbosi” sono il segnale che appare quando un vecchio mondo muore e quello successivo non è ancora apparso all’orizzonte. «Se le cose sono migliorate nel corso dei secoli precedenti – conclude Sassoon – è precisamente perché non abbiamo perduto la speranza, non ci siamo arresi e continuiamo a combattere, per quanto morbosi siano i tempi».