Ci sono nuove prove sui depistaggi nel caso Cucchi
Sono state mostrate ieri durante la testimonianza dell'allora comandante provinciale dei carabinieri di Roma
Mercoledì 27 febbraio c’è stata una nuova e importante udienza del processo bis per la morte di Stefano Cucchi, il ragazzo romano trovato il 22 ottobre del 2009 in una stanza del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era ricoverato da quattro giorni dopo essere stato arrestato. Il processo bis riguarda cinque carabinieri, compresi i tre che arrestarono Cucchi, ma durante le indagini sono stati coinvolti anche diversi altri ufficiali accusati di aver coperto la verità, depistato le indagini e aver fatto sparire ogni riferimento alle reali condizioni di Stefano Cucchi la notte in cui, dopo l’arresto, fu picchiato e poi trasferito dalla caserma di Tor Sapienza.
L’insabbiamento avrebbe coinvolto l’intera catena di comando dell’Arma dei carabinieri di Roma e ieri, in aula, è stato ascoltato come testimone il generale di Corpo d’Armata Vittorio Tomasone, all’epoca comandante provinciale di Roma. Inoltre sono stati depositati nuovi atti che, come ha spiegato il pubblico ministero Giovanni Musarò, sono «di straordinaria importanza». Conterrebbero la dimostrazione che dai carabinieri venne creata una falsa storia in base alla quale l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano (siamo al 3 novembre del 2009) andò a riferire alla Camera dicendo inconsapevolmente il falso, e mostrerebbero che ancora prima della nomina dei periti tecnici vennero predisposti gli argomenti medico-legali per eliminare qualsiasi nesso di causalità tra la morte di Cucchi e un pestaggio.
Repubblica ha spiegato che i nuovi atti chiariscono, in particolare, due aspetti della vicenda: la ricostruzione dell’arresto di Stefano Cucchi e la conseguente morte, e gli esami medico legali, «i cui esiti furono anticipati dall’Arma quando ancora non era stati nominati i periti». Per l’accusa questa è la dimostrazione «che si è giocata una partita truccata sulle spalle di una famiglia mettendo in gioco la credibilità dell’intero sistema».
Il 26 ottobre del 2009, quattro giorni dopo la morte di Cucchi, verso le ore 15 l’agenzia ANSA pubblicò una notizia: il presidente dell’associazione “Antigone” Patrizio Gonnella e quello di “A buon diritto” Luigi Manconi sostenevano che Cucchi stesse bene al momento dell’arresto, mentre il giorno dopo l’udienza di convalida aveva il volto tumefatto. Poco dopo l’uscita di questa notizia sarebbero iniziate le manipolazioni dei verbali, delle annotazioni di servizio e dei registri interni (già confermate da alcuni testimoni e da un imputato durante il processo). Queste false relazioni sarebbero state mandate anche al ministro Alfano, che alla Camera avrebbe dunque presentato una storia non vera: Alfano parlò di un arresto collaborativo e disse che Cucchi non era in buone condizioni fisiche già al momento del fermo.
Nei nuovi atti depositati ci sarebbe anche qualcosa di più: una nota del primo novembre inviata dal comando provinciale a quello generale anticipa i risultati dell’autopsia, indicando, di fatto, i medici come responsabili della morte di Cucchi. Nella nota, spiega sempre Repubblica, si fa riferimento alle cause della morte che «sembrerebbero non attribuibili a traumi, non essendo state rilevate emorragie interne né segni macroscopici di percosse», si parla della frattura di una vertebra e del coccige «che sembrerebbe riferita a un periodo significativamente antecedente all’arresto» e si dice che le tracce di sangue presenti nello stomaco e nella vescica di Cucchi sono «verosimilmente riconducibili secondo specialisti a una patologia epatica o renale di cui il soggetto era già sofferente». Negli atti ufficiali interni erano insomma già scritte le conclusioni degli esami che sarebbero arrivati solo sei mesi dopo. In quel momento, i periti non erano ancora stati nominati.
Tutte queste argomentazioni sono state presentate ieri in aula durante la testimonianza dell’allora comandante provinciale di Roma Vittorio Tomasone, che ha detto di non ricordare molte cose, che ha parlato di un «arresto normale», che ha chiarito di essere venuto a sapere dai giornali che quell’arresto fu eseguito dai carabinieri e che ha precisato di non essersi occupato, nelle varie note, di questioni medico-legali. Il publico ministero Musarò lo ha però accusato di dichiarare il falso, poiché molti dei nuovi documenti messi agli atti (compresa la nota che anticipa i risultati dell’autopsia) furono firmati proprio da lui.
«È una storia che sta in piedi come un sacco vuoto», ha commentato su Repubblica Carlo Bonini, che da tempo sta seguendo il caso. Una storia, prosegue Bonini, «che Musarò incenerisce con la forza dei documenti. Che provano che “l’attivazione di stampa”, fu in realtà la frenesia del Comando generale investito da un coraggioso comunicato di “Antigone” che punta il dito verso l’Arma. Che Tomasone, già l’1 novembre 2009, affrontava e precostituiva le tesi medico legali che dovevano inficiare anche solo l’ipotesi di un pestaggio. Tomasone, soprattutto, non è in grado di spiegare perché un finissimo investigatore del suo spessore, in quella riunione del 30 ottobre nel suo ufficio (a cui erano presenti alcuni ufficiali che avrebbero preso parte all’insabbiamento, ndr), non chieda ai carabinieri che ha riunito la cosa più semplice. La foto segnaletica di Cucchi scattata dopo l’arresto in cui si dimostri che nessuno ha alzato un dito su di lui. Il generale farfuglia. Sostiene che “altro era stato il focus di quella riunione”. Musarò lo incalza: “Può farmi la cortesia di riempire le sue risposte di un qualche senso, visto che fatico a trovarne uno?”. “Non so che altro dirle”, bofonchia lui. Già non sa che dire. Perché quel fotosegnalamento di Cucchi non ci fu mai. E se solo lo avesse chiesto avrebbe magari scoperto nove anni prima che al volto di Cucchi non era stata scattata una foto, ma sferrato un calcio».