Konrad Lorenz cambiò il modo in cui guardiamo gli animali
Spiegò per la prima volta a chi non ha studiato biologia perché gli animali si comportano in un certo modo, e morì 30 anni fa
Trent’anni fa, il 27 febbraio 1989, morì Konrad Lorenz, lo zoologo austriaco considerato uno dei fondatori dell’etologia, cioè la scienza del comportamento degli animali. Tra le altre cose, Lorenz studiò a lungo e fece entrare nell’immaginario collettivo il fenomeno dell’imprinting filiale: quello per cui molti animali, in particolare gli uccelli che lasciano il nido poco dopo la nascita, imparano a riconoscere un oggetto o un altro animale – idealmente la madre – nel primo periodo di vita, e quindi possono essere indotti a seguire ovunque un essere umano se nascono in un’incubatrice.
Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1973 per le sue scoperte sul funzionamento dei comportamenti sociali, Lorenz è anche una di quelle persone che nel tempo sono state giudicate in modi diversi, a prescindere dal loro contributo alla scienza e alla cultura, per alcune loro scelte. Infatti nel 1938, dopo l’annessione forzata dell’Austria alla Germania, Lorenz si iscrisse al Partito Nazionalsocialista e diventò professore universitario grazie alla sua adesione al nazismo. Inoltre in alcuni scritti sulla domesticazione degli animali del periodo tra il 1938 e il 1942 disse alcune cose che si potrebbero interpretare come tentativi di giustificare con la scienza le idee dei nazisti sull’eugenetica.
Cosa studiò Lorenz
Fin da bambino Lorenz visse a contatto con molti animali diversi, e si appassionò in particolare agli uccelli acquatici dopo aver letto Il viaggio meraviglioso del piccolo Nils Holgersson di Selma Lagerlöf, un romanzo per ragazzi il cui protagonista esplora la Svezia cavalcando un papero che si unisce a uno stormo di oche selvatiche. Le oche e le taccole (una specie di corvidi) furono tra gli animali di cui Lorenz si occupò di più, insieme ai cani, quando poi divenne etologo (anche se all’epoca si sarebbe detto “psicologo animale”).
In particolare Lorenz osservò gli animali per capire quali aspetti del loro comportamento sono innati e quali invece vengono appresi, e come quest’ultimi vengono trasmessi da un animale a un altro. Lorenz capì il fenomeno dell’imprinting e il suo funzionamento “adottando” alcune oche appena nate – e in particolare quella diventata nota ai suoi lettori come «ochetta Martina» – e cercando di fare per loro quello che avrebbe fatto la loro madre madre. Tra le altre cose, di notte teneva Martina sotto una coperta termica vicino a sé, facendo dei versi in risposta a quelli dell’oca circa una volta all’ora.
Lorenz fu uno di quegli scienziati che si fecero conoscere molto anche da chi non si occupa di scienza grazie ai suoi libri divulgativi e in particolare grazie a L’anello di re Salomone, il libro in cui è raccontata la storia dell’oca Martina. Fu pubblicato nel 1949 in Germania, nel 1967 in Italia; il titolo fa riferimento a una leggenda secondo cui il re Salomone, l’antico re ebraico le cui vicende sono narrate nella Bibbia, possedeva un anello che gli permetteva di parlare con gli animali. È un libro pensato per essere letto anche dai ragazzi, quindi spiega i concetti dietro gli studi di Lorenz in modo chiaro e semplice, partendo spesso da aneddoti sui suoi numerosi animali.
Tutta la seconda parte è dedicata ai cani, al loro comportamento e alle differenze tra le razze più simili agli sciacalli, e quindi più affettuose ma meno legate a una singola persona, secondo Lorenz, e quelle più vicine ai lupi, dunque più indipendenti ma anche più legate al proprio padrone. Lorenz cercò anche di ottenere quello che secondo lui era il cane con il carattere ideale facendo accoppiare cani diversi; nel suo libro critica gli allevatori che pur di selezionare alcuni tratti fisici negli animali non si curano della loro salute.
L’anello di re Salomone è pieno di considerazioni personali ed è stato criticato da alcuni studiosi degli animali secondo cui con le sue analogie Lorenz antropomorfizzava gli animali, cioè proiettava i comportamenti umani su di loro. Un’accusa da cui Lorenz si difende nello stesso libro, in cui se la prende invece con i tradizionali pregiudizi sugli animali, come quelli sulla furbizia delle volpi e sulla sporcizia dei maiali:
Io non voglio «umanizzare» gli animali: occorre soltanto tener presente che il cosiddetto «troppo umano» è quasi sempre un «pre-umano», qualcosa quindi che è comune a noi e agli animali superiori. Credetemi, io non proietto per nulla qualità umane sugli animali, anzi, faccio proprio il contrario, mostrando quanto sia ancora forte e profonda l’eredità animale nell’uomo.
Lorenz e il nazismo
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale Lorenz parlò raramente del suo legame con il nazismo, ma lo fece nel 1973, quando vinse il premio Nobel per la medicina insieme ai biologi ed etologi Nikolaas Tinbergen e Karl von Frisch. Quando fu annunciata l’assegnazione del premio, il famoso “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal scrisse a Lorenz una lettera per chiedergli di non accettarlo visto che in passato aveva «sostenuto le tesi di una spietata dittatura». Lorenz non rifiutò il premio, ma nella nota autobiografica fatta per l’occasione scrisse:
Feci una cosa molto sconsiderata quando i tedeschi invasero l’Austria: scrissi un articolo sui rischi della domesticazione e, per farmi capire, usai la peggior terminologia nazista. Non voglio sminuire questa azione, anche perché all’epoca credevo sinceramente che qualcosa di buono sarebbe uscito dal nuovo governo. L’ottuso regime di orientamento cattolico che c’era in Austria prima dei nazisti aveva indotto uomini migliori e più intelligenti di me a gioire di questa ingenua speranza. Quasi per tutti i miei amici e i miei insegnanti fu così, e anche per mio padre che era un uomo generoso e umano. Nessuno di noi immaginava che la parola «selezione», quando veniva usata dai nuovi capi, significasse omicidio. Rimpiango le cose che scrissi, non tanto per l’innegabile discredito che gettano su di me, ma per l’effetto di ostacolare il riconoscimento dei pericoli della domesticazione.
Quale fosse la reale portata delle cose che Lorenz scrisse nell’articolo a cui faceva riferimento, lo ha spiegato bene il ricercatore dell’Università di Trento Carlo Brentari in un articolo del 2005. In breve, Lorenz approfittò in modo un po’ opportunistico dell’interesse che esisteva nella Germania nazista per la biologia e la teoria evoluzionistica per portare avanti i propri studi e ottenere incarichi universitari: in Austria fino a quel momento l’evoluzionismo era invece molto osteggiato. Tuttavia non si limitò a questo. In alcune cose che scrisse in quegli anni Lorenz sembrò suggerire una sorta di controllo delle nascite sugli esseri umani, analogo a quello che si fa sugli animali domestici. Non fa mai riferimento a “razze” e non parla mai delle persone di origine ebraica, ma sembra convinto che la vita moderna abbia diminuito la moralità delle persone, e che le persone stesse si possano distinguere in base alle proprie caratteristiche morali.
Nonostante le critiche di Wiesenthal e altri, durante la sua vita Lorenz non ebbe grossi problemi di reputazione dovuti al suo rapporto con il nazismo anche perché negli ultimi anni era diventato uno dei più importanti portavoce dell’ambientalismo in Austria. Sosteneva i Verdi, che nel 1978 ottennero con un referendum che l’unica centrale nucleare costruita nel paese, peraltro a una trentina di chilometri da Altenberg, non entrasse in funzione, e nel 1984 guidò un movimento per impedire la costruzione di una centrale termoelettrica che avrebbe distrutto una foresta. Qualche anno fa però si è tornati a parlare del passato nazista di Lorenz: nel 2015, durante una revisione dei metodi di assegnazione dei propri titoli onorari, l’Università di Salisburgo ha revocato il dottorato honoris causa che gli aveva dato nel 1983.