L’altro vincitore degli Oscar che potete vedere su Netflix
È “Il ciclo del progresso”, che è ambientato in India, parla di mestruazioni e ha vinto il premio per il miglior cortometraggio documentario
Il premio per il miglior cortometraggio documentario agli Oscar 2019 è andato a Il ciclo del progresso, diretto da Rayka Zehtabchi, americana di origini iraniane. È un cortometraggio che parla delle condizioni delle donne in India e, più precisamente, di mestruazioni. Da qualche giorno è disponibile su Netflix, la piattaforma dove è visibile anche un altro film protagonista di questi Oscar, Roma. Il titolo originale di Il ciclo del progresso è Period. End of Sentence (un gioco di parole sul doppio significato inglese di “period“).
Il ciclo del progresso è ambientato in un piccolo villaggio poco distante da New Delhi, dove le donne hanno poca libertà e c’è una cultura molto conservatrice. In particolare, c’è una specie di tabù intorno al ciclo mestruale: gli uomini quasi non sanno cosa sia, e le donne sono restie nel parlarne. Ma i problemi non sono solo culturali, sono anche igienici: le donne in età da ciclo non usano assorbenti, ma pezzi di stoffa, con tutti i problemi di igiene conseguenti. Certe ragazze arrivano a saltare dei giorni di scuola per il ciclo mestruale, su cui nelle società indiane più tradizionali esiste ancora un forte stigma sociale.
Il documentario racconta cosa succede quando nel villaggio viene installata una macchina che produce assorbenti usa e getta, normalmente troppo costosi per le sue abitanti. Le donne del villaggio imparano a usarla, e il documentario mostra come questo processo le aiuti nell’ottenere un po’ più di indipendenza, e come ne migliori la vita quotidiana. Essendo un documentario, è una storia vera: la macchina è stata inventata da Arunachalam Muruganatham, che è noto in India come “uomo assorbente”. È arrivata nel villaggio in cui è ambientato il cortometraggio grazie alla raccolta fondi di un gruppo di studentesse di una scuola superiore californiana, che poi hanno chiesto a Zehtabchi di raccontare la storia in un documentario.