Cosa succede ai nordcoreani che disertano
Vengono minacciati, i loro familiari rimasti in Corea del Nord rischiano pesanti ritorsioni, e da un po' di tempo faticano anche a trovare protezione in Corea del Sud
Da qualche giorno giornalisti ed esperti si stanno chiedendo cosa sia successo davvero a Jo Song-gil e alla sua famiglia. Jo, ex ambasciatore “reggente” nordcoreano a Roma, ha disertato lo scorso novembre scappando insieme alla moglie ma senza la figlia 17enne, che sembra essere tornata in Corea del Nord, anche se non si sa ancora con certezza se forzatamente o di sua volontà. La diserzione di Jo, una delle più rilevanti e dannose degli ultimi anni per la Corea del Nord, non è senza precedenti: era già successo che importanti diplomatici e funzionari nordcoreani disertassero e scappassero in un paese disponibile a dare loro protezione, principalmente la Corea del Sud.
Per i cittadini nordcoreani, però, disertare non è affatto semplice: è una scelta che implica rischi enormi per la propria sicurezza e per quella dei familiari rimasti in Corea del Nord, ma non solo. Negli ultimi mesi il governo sudcoreano, prima entusiasta di accogliere i disertori del Nord, è diventato sempre più restio a dare protezione ad importanti funzionari del regime di Pyongyang, per il timore di mandare all’aria il processo di avvicinamento tra le due Coree in corso ormai da oltre un anno.
I cittadini nordcoreani che scappano dal loro paese sono centinaia ogni anno: molti sono semplici civili che cercano migliori condizioni di vita, altri sono funzionari governativi che fuggono per evitare le purghe del regime. Le diserzioni più raccontate sono però quelle dei diplomatici all’estero, per diverse ragioni.
I diplomatici della Corea del Nord non sono semplici diplomatici, come quelli della stragrande maggioranza dei paesi del mondo. A loro, tra le altre cose, il regime di Pyongyang chiede di svolgere attività di spionaggio e acquisto di materiale cosiddetto “dual use” – che può essere cioè impiegato sia in campo civile che in quello militare – da utilizzare nell’ambito dei programmi missilistici e nucleari della Corea del Nord (nel febbraio 2018 venne fuori una storia simile che aveva riguardato l’ambasciata nordcoreana a Berlino). I diplomatici nordcoreani all’estero, quindi, sono frequentemente in possesso di informazioni riservate di grande valore, molto ambite dalle agenzie di intelligence della Corea del Sud e di altri paesi occidentali. È questo il motivo per cui – a meno di eccezioni, come nel caso di Jo Song-gil – i diplomatici nordcoreani sono mandati in missione senza familiari: perché così il regime può esercitare su di loro una specie di “ricatto”, minacciando ritorsioni in caso di diserzione.
Molti di coloro che scappano dalla Corea del Nord, inoltre, non si possono considerare del tutto al sicuro anche nel caso in cui siano stati accolti da un governo amico.
Uno dei casi più famosi è quello di Lee Han-young, nipote di una delle ex mogli di Kim Jong-il, padre di Kim Jong-un. Lee, duro critico del regime di Pyongyang e della dittatura dello zio, scappò in Svizzera nel 1982, prima di stabilirsi in Corea del Sud. Il governo sudcoreano tenne segreto il suo arrivo fino al 1996, quando anche sua madre riuscì a scappare dalla Corea del Nord, ma non fu sufficiente a garantirgli sicurezza: fu ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco fuori dalla sua casa vicino a Seul, nel febbraio 1997. I suoi assassini non furono mai processati: secondo il governo sudcoreano riuscirono a tornare in Corea del Nord prima di essere catturati.
Per molto tempo la Corea del Sud è stato il governo più interessato ad accogliere i disertori nordcoreani: non solo perché potevano avere informazioni da condividere con l’intelligence sudcoreana, ma anche perché erano usati come una specie di “strumento” politico dai governi più conservatori e contrari al riavvicinamento con il Nord.
Le cose però sono cominciate a cambiare con il presidente liberale Moon Jae-in, considerato «l’uomo dietro al riavvicinamento tra Corea del Nord e Stati Uniti», iniziato un anno fa durante le Olimpiadi invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, e in corso ancora oggi. Diversi analisti hanno osservato come il governo di Moon sembri da tempo molto meno accogliente verso i disertori nordcoreani, probabilmente per evitare di provocare la reazione del regime di Pyongyang e rovinare i colloqui di pace in corso. Lo ha detto fra le righe anche Thae Yong-ho, ex vice ambasciatore nordcoreano a Londra che nel 2016 disertò e scappò in Corea del Sud, che durante una conferenza stampa tenuta mercoledì ha invitato il governo sudcoreano a essere più energico nell’assicurare protezione a Jo Song-gil.
In un lungo articolo pubblicato venerdì, la corrispondente di BBC a Seul, Laura Bicker, ha raccontato la reazione che ha avuto il ministero dell’Unificazione sudcoreano quando gli è stato chiesto di rispondere alle accuse relative alla presunta minore disponibilità della Corea del Sud a offrire protezione ai fuggitivi nordcoreani.
Il portavoce del ministro ha usato toni molto prudenti: ha detto che «saranno accettati tutti i disertori nordcoreani che vogliono venire in Corea del Sud di loro spontanea volontà», ma secondo Bicker ha soppesato ogni parola e si è mostrato molto preoccupato per la reazione dal Nord. Bicker ha raccontato inoltre che lo scorso anno, pochi giorni prima dell’incontro tra Moon e Kim, un disertore nordcoreano che ora vive in Corea del Sud fu convinto a non partecipare a un’iniziativa di attivisti – il lancio di palloncini e brochure verso il Nord – che avrebbe potuto far innervosire Kim Jong-un; di recente a un giornalista nordcoreano scappato dal suo paese, Kim Myong Song, è stato negato il permesso di andare a seguire un evento nella zona demilitarizzata per evitare problemi col Nord.
Se la riluttanza del governo sudcoreano a scontrarsi con la Corea del Nord dovesse continuare, la vita per i disertori nordcoreani potrebbe complicarsi e le possibilità di trovare protezione da eventuali ritorsioni potrebbero ridursi sempre di più.