L’Arabia Saudita ha nominato la prima ambasciatrice donna della sua storia
È la principessa Rima bint Bandar al Saud, nota per difendere i diritti delle donne: sarà l'ambasciatrice saudita negli Stati Uniti
L’Arabia Saudita ha nominato la prima ambasciatrice donna della sua storia: è la principessa Rima bint Bandar al Saud, che sarà il prossimo capo dell’ambasciata saudita a Washington, negli Stati Uniti. La principessa Rima, che ha passato parte della sua infanzia e adolescenza nella capitale americana, sostituirà il principe Khalid bin Salman, che è stato nominato viceministro della Difesa, e diventerà ambasciatrice in un momento molto complicato per le relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti.
I rapporti tra i due paesi, infatti, si sono progressivamente deteriorati dopo l’omicidio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso lo scorso 2 ottobre nel consolato saudita a Istanbul, in Turchia. Khashoggi viveva da tempo negli Stati Uniti e lavorava come opinionista per il Washington Post: secondo diverse indagini e inchieste, l’omicidio di Khashoggi fu ordinato direttamente dal potente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
Rima bint Bandar al Saud, 44 anni, è figlia di Bandar bin Sultan al Saud, che fu ambasciatore saudita a Washington tra il 1983 e il 2005. È per questa ragione che la principessa Rima trascorse parte della sua infanzia e adolescenza negli Stati Uniti, ottenendo anche una laurea in studi artistici alla George Washington University. Tornò a Riyadh, la capitale saudita, nel 2005, e negli anni successivi lavorò sia nel settore pubblico che in quello privato, raggiungendo anche posizioni di comando. Oggi è considerata molto attenta ai diritti delle donne: di recente, per esempio, ha lavorato all’Autorità generale per lo sport dell’Arabia Saudita e si è occupata principalmente della partecipazione delle donne alle attività sportive.
La decisione di nominare Rima bint Bandar al Saud come ambasciatrice saudita a Washington sembra essere in continuità con altre recenti politiche adottate dalla famiglia reale e finalizzate a “ripulire” il volto dell’Arabia Saudita all’estero: tra le altre, la concessione delle prime patenti di guida alle donne, la proiezioni di film nei cinema chiusi da decenni e l’organizzazione di eventi musicali dal vivo prima vietati. Come hanno sottolineato però diversi analisti, e come è emerso chiaramente con l’omicidio Khashoggi, l’Arabia Saudita rimane un paese autoritario, che arresta arbitrariamente i dissidenti e in cui le libertà e i diritti umani sono estremamente limitati.