La migliore prima ministra che Israele non ha mai avuto
Storia di Tzipi Livni, delle sue idee di sinistra quando tutta la politica israeliana andava a destra, e di un ritiro che era nell'aria da un po'
di Elena Zacchetti
L’1 gennaio 2019 la carriera politica di Tzipi Livni – «uno dei migliori primi ministri che Israele non ha mai avuto» – è finita di fronte a qualche decina di persone e alle telecamere di diversi canali televisivi, in maniera inaspettata e umiliante. Livni stava partecipando a un incontro di Unione Sionista, la forza politica israeliana di centrosinistra di cui faceva parte dal 2015 e con cui avrebbe dovuto candidarsi alle prossime elezioni, che si terranno il 9 aprile. Era seduta a fianco di un podio occupato da Avi Gabbay, leader del Partito Laburista e suo principale alleato in Unione Sionista, che si stava avvicinando alla chiusura del suo discorso. Le ultime frasi di Gabbay sono state:
«Credo ancora nelle partnership. Credo ancora nelle connessioni. Credo ancora nell’unirsi e nell’impegnarsi al cambiamento. Ma le connessioni di successo richiedono amicizia, il rispetto degli accordi e la lealtà al cammino che si ha di fronte. Sfortunatamente, non è quello che è successo in questa partnership. Ed è per questo che mi schiero di nuovo con la gente. Tzipi, ti auguro buona fortuna alle prossime elezioni, al di là del partito a cui ti unirai»
Gabbay aveva appena scaricato pubblicamente Livni, tra lo stupore dei presenti e senza dirle niente prima dell’incontro: una «umiliazione crudele, senza precedenti nella politica contemporanea», secondo il quotidiano liberale Haaretz, durante la quale Livni era rimasta immobile con lo sguardo fermo in un punto lontano dal podio. I due avevano avuto diversi disaccordi nelle settimane precedenti, soprattutto sulla gestione della leadership e delle alleanze future da costruire in vista delle elezioni di aprile. Quel giorno, con il discorso di Gabbay, era finito l’esperimento di Unione Sionista, la prima forza di opposizione in Israele, ed era iniziato il definitivo declino di Livni, che a metà febbraio avrebbe poi annunciato il suo ritiro dalla vita politica israeliana.
Tzipi Livni, 60 anni, originaria di Tel Aviv, è stata una delle figure politiche più importanti e note in Israele degli ultimi 20 anni, anche se non è mai riuscita a diventare prima ministra. La sua storia è estremamente interessante per almeno due ragioni: perché Livni ha rappresentato fino all’ultimo quella minoranza di israeliani che ancora crede che l’unico modo per avere uno stato democratico ed ebraico sia di favorire la creazione di uno stato palestinese (la cosiddetta “soluzione dei due stati”, data per morta ormai da molto tempo); e perché il suo declino racconta bene i profondi cambiamenti che si sono verificati nella politica israeliana negli ultimi anni, tra cui la crescita del nazionalismo e la progressiva scomparsa di una sinistra rilevante.
Livni è figlia di uno dei fondatori del Likud, partito nazionalista di centrodestra oggi guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu. Iniziò la sua carriera nel partito del padre, ma molto presto cominciò a spostarsi su posizioni più di sinistra. Divenne una convinta sostenitrice della “soluzione dei due stati” e del dialogo per trovare una via d’uscita al conflitto con i palestinesi, e nel 2005, insieme ad Ariel Sharon, si unì a Kadima, partito centrista che governò per diversi anni prima dell’inizio dell’era politica di Netanyahu.
I suoi primi dieci anni di carriera furono pieni di successi e notorietà internazionale. Livni fu ministro degli Esteri e capo negoziatore sotto il governo del primo ministro Ehud Olmert, dal 2006 al 2009, e strinse relazioni molto strette con i negoziatori palestinesi e con la segretaria di Stato americana Condoleezza Rice.
Nonostante l’offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza nel 2008 e nel 2009, nella quale furono uccise centinaia di civili, continuò a rimanere molto rispettata a livello internazionale. Nel 2009 Olmert fu costretto a dimettersi a causa di uno scandalo di corruzione: Livni, che avrebbe potuto diventare primo ministro, convocò elezioni anticipate, che cambiarono definitivamente le sorti della sua carriera politica. Kadima fu il primo partito per voti ottenuti, ma come succede spesso nella politica israeliana fu costretto a cercare alleati per formare un governo. Non ci riuscì. La maggioranza fu trovata dal Likud di Netanyahu, che iniziò il suo secondo mandato da primo ministro e che da allora non ha più lasciato il potere.
Dopo i primi dieci anni di grandi ambizioni e successi, la carriera di Livni cominciò a rallentare senza riuscire più a raggiungere i livelli precedenti.
Per un po’ le cose non andarono così male. Dopo un temporaneo ritiro dall’attività politica, nel 2013 Livni fondò un nuovo partito, Hatnuah, che ottenne sei seggi in Parlamento, un risultato comunque buono. Livni divenne anche ministra della Giustizia del governo Netanyahu, incarico che ricoprì tra il 2013 e il 2014. Alle elezioni del 2015, Hatnuah formò la lista elettorale Unione Sionista, liberale e di centrosinistra, con il Partito Laburista allora guidato da Isaac Herzog, ottenendo 24 seggi.
L’elettorato israeliano, però, aveva già iniziato a voltare le spalle a Livni, ad Hatnuah e in generale alle forze politiche che avevano fatto della “soluzione dei due stati” e del dialogo con i palestinesi il centro del loro programma: ovvero temi legati tradizionalmente alle forze di centrosinistra.
La politica israeliana stava cambiando più rapidamente di quanto Livni si fosse preparata ad affrontare. Con il governo di Netanyahu, la Palestina era diventata sempre più marginale nel dibattito pubblico israeliano, e la nuova linea di divisione tra destra e sinistra si era spostata sul tema della democrazia: si parlava sempre di più della difesa dello stato di diritto e dell’approvazione di leggi razziste alla Knesset, e sempre meno di come risolvere il conflitto israelo-palestinese. Netanyahu, inoltre, aveva spostato il suo governo su posizioni sempre più aggressive e nazionaliste, attraendo alleati e avversari verso il campo politico della destra e del centrodestra. Di fronte a questi cambiamenti, la sinistra – non solo quella di Livni – non era riuscita a trovare una soluzione per riprendere l’iniziativa, per riportare al centro del dibattito i suoi temi e per scalfire l’apparente onnipotenza politica di Netanyahu.
L’umiliazione subita a opera di Gabbay l’1 gennaio scorso è stato l’episodio più eclatante di una carriera già in declino. È difficile sintetizzare in poche parole cosa sia stata Livni nella politica israeliana degli ultimi 20 anni. Haaretz l’ha definita una «criptonite politica»: unica in Israele ad avere guidato due volte il partito con più seggi alla Knesset senza riuscire a formare una coalizione di governo; nella breve storia di Kadima, unico leader a essere stato scaricato dai suoi iscritti; e lo scorso gennaio, il primo ad essere “licenziato” in maniera pubblica, umiliante e inaspettata dal suo alleato di lista.
Dopo essere stata scaricata da Gabbay, Livni non è più riuscita a trovare un partner politico con cui allearsi, anche a causa della reputazione che si è costruita nel corso della sua carriera. Livni, infatti, è sempre stata considerata un partner politico complicato: «fredda, non “amicona”, non necessariamente gentile». L’unico con cui negli anni ha costruito un rapporto più personale è stato Herzog, «ma Herzog sarebbe andato d’accordo anche con Dracula», ha scritto il giornalista israeliano Yossi Verter. Nonostante i tentativi di recuperare uno spazio nella politica israeliana, Livni è stata costretta sempre più all’irrilevanza, così come il resto della sinistra israeliana. A metà febbraio, a corto di alternative, ha annunciato il suo ritiro definitivo dalla vita politica di Israele e ha detto che il suo partito, Hatnuah, non siederà nella Knesset nella prossima legislatura.
Livni ha sostenuto di recente che la parola “pace” sia diventata una specie di volgarità da dire in Israele. Nella conferenza stampa in cui ha annunciato l’abbandono della vita politica, ha detto: «Lascio la politica, ma non permetterò alla speranza della pace di lasciare Israele. Vivo internamente un conflitto per continuare a combattere, ma non abbiamo abbastanza potere politico per realizzare da soli le cose come le vorremmo».