Le due storie di razzismo di cui si parla negli ultimi giorni
Due delle tante degli ultimi mesi: le minacce contro un 21enne africano di Melegnano, e l'“esperimento sociale” in una scuola elementare di Foligno
Negli ultimi giorni i giornali italiani hanno dedicato molto spazio a due storie di razzismo avvenute a Melegnano, in provincia di Milano, e a Foligno, in provincia di Perugia. Sono due storie diverse per contesto, per dimensioni e per gravità, ma in molti le stanno commentando associandole a un clima generale di ostilità verso gli stranieri che si sarebbe creato in Italia da un certo tempo: mesi o anni, a seconda dell’interpretazione che ne viene data. Se la storia di Melegnano è molto chiara e inequivocabile, quella di Foligno non lo è ancora del tutto. Sempre negli ultimi sette giorni, intanto, ci sono state altre due aggressioni contro persone non bianche: una a Napoli, e una a Covelo, in Trentino.
Melegnano
Quella di cui si è parlato di più ha coinvolto Bakary Dandio, 21enne nato in Senegal e adottato da una coppia italiana di Melegnano, poco fuori Milano. Dandio arrivò in Italia nel 2015, attraversando il Mediterraneo su un barcone dopo esser passato per i famigerati centri di detenzione in Libia, dove le persone vengono picchiate e torturate e i diritti umani vengono sistematicamente violati. Dandio è stato poi adottato da Paolo Pozzi e Angela Bedoni, una coppia italiana, che lo conobbero nel centro di accoglienza della città dove lavoravano come volontari. Pozzi e Bedoni hanno un altro figlio, di 27 anni, e avevano anche una figlia: la sera di Natale del 2007 era stata uccisa da un SUV che la investì su un marciapiede mentre era insieme agli amici.
Negli scorsi giorni, in due occasioni diverse, fuori dalla casa della famiglia sono comparse due scritte: la prima diceva “Pagate per questi negri di merda”; la seconda “Ammazza al negar”, accompagnata da una svastica disegnata al contrario. «Quando Bakary ha visto la scritta», ha raccontato Pozzi, «si è spaventato, anche perché questa volta c’è proprio una minaccia, non solo un insulto razzista». Secondo Pozzi l’episodio non ha a che fare con organizzazioni neonaziste, ma più probabilmente con «una persona poco istruita che si è sentita galvanizzata da tutto questo clamore».
Bedoni è stata più precisa, spiegando che fino a poco fa nessuno aveva rivolto insulti razzisti al figlio: «il clima di oggi probabilmente non è il clima di tre anni fa, è un clima diverso, a volte addirittura da caccia allo straniero». Ha anche parlato del “decreto sicurezza” di Matteo Salvini, che scardinando il sistema di accoglienza avrà secondo gli esperti conseguenze negative sull’integrazione. Salvini ha risposto a Bedoni: «Io rispetto il dolore di una mamma, abbraccio suo figlio e condanno ogni forma di razzismo. E la signora rispetti la richiesta di sicurezza e legalità che arriva dagli italiani, che io concretizzo come ministro».
Foligno
Tra giovedì e venerdì, invece, i giornali hanno raccontato una storia molto diversa e più complicata, ma che ha attirato molta attenzione. A Foligno, in provincia di Perugia, un maestro elementare supplente ha organizzato quello che lui ha definito un «esperimento sociale», ma che a molti è sembrato un abuso discriminatorio e un grave episodio di razzismo. Il resoconto di quello che è successo è arrivato inzialmente dai racconti degli altri genitori, che hanno raccolto le testimonianze dei bambini, e poi è stato confermato dal padre e dalla madre dei due bambini di origini africane direttamente coinvolti. Venerdì 9 febbraio l’insegnante, Mauro Bocci, è entrato in una quinta e indicando il bambino ha chiesto agli alunni se non lo trovassero «brutto» in quanto «bambino nero». Poi lo ha costretto a rimanere contro la finestra, guardando un punto disegnato sul vetro.
Secondo Repubblica, un compagno avrebbe detto a quel punto che lo avrebbe fatto anche lui, in solidarietà, e il maestro gli avrebbe detto: «Tu di chi sei figlio? Di un militare? Io fossi tuo padre mi vergognerei». Un’altra bambina avrebbe cercato di rimettere a posto il banco del compagno di origini africane, andando a raccontare tutto a un’altra maestra. Sono molti i genitori i cui figli hanno raccontato l’episodio non appena arrivati a casa; diversi hanno protestato con la preside, e poi hanno contattato un avvocato. I genitori del bambino hanno raccontato che lo stesso maestro aveva fatto una cosa simile nella classe della sorella più piccola, descrivendola a sua volta come «brutta» e concedendole soltanto venti minuti invece di cinquanta per fare un compito. Il maestro ha aggiunto che potevano chiamarla “scimmia”.
Sempre Repubblica racconta che Bocci, convocato dal preside e su consiglio di un avvocato, si è giustificato dicendo che «era solo un esperimento sociale ispirato ad altri visti sui social». Ha anche detto di aver avvertito in anticipo genitori e bambini, ma questa circostanza è stata smentita a Repubblica da un genitore. Bocci è intervenuto per telefono durante una puntata di Porta a Porta, e ha detto che le parole riportate dai giornali non erano esatte (senza specificare cosa avrebbe detto realmente) e spiegando che stava parlando della Shoah e voleva fare l’esperimento per «provocazione» e per suscitare una reazione.
Dopo qualche giorno in cui la situazione è rimasta sotto controllo, la notizia è stata riportata da un giornalista locale, e poi segnalata su Facebook dal deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, folignate. A quel punto, la preside ha confermato dicendo di aver segnalato tutto al direttore dell’Ufficio scolastico regionale: il ministero dell’Istruzione ha detto di aver sospeso Bocci in via preventiva, mentre svolgerà un’indagine sulla vicenda. Repubblica ha anche notato che il 17 febbraio, cioè quando la storia stava cominciando a diventare nota, Bocci ha condiviso sul suo profilo Facebook due post sulla Shoah. Uno era un post di una pagina che lo aveva condiviso il 27 gennaio, il Giorno della memoria. In passato, però, Bocci aveva condiviso post e immagini con toni ostili ai migranti: in un caso, un post di Luigi Di Maio che elogiava il lavoro del pm catanese Carmelo Zuccaro, quello delle inchieste contro le ong che operano nel Mediterraneo.
Napoli e Covelo
Lunedì sera a Napoli, nel Rione Sanità, un 51enne di origini africane residente a Napoli dal 1991 è stato aggredito da una gang di ragazzi, che gli hanno spruzzato dello spray al peperoncino negli occhi e poi lo hanno strattonato e fatto cadere per terra. A Repubblica – che lo identifica come “Jacob”, nonostante il suo nome sia Yacoubou Ibrahim – ha detto che i ragazzini lo prendevano di mira da giorni e che gli avevano rivolto insulti razzisti; in un’intervista a Fanpage, invece, ha detto di non ritenere che sia un problema di razzismo, ma di sicurezza.
Un altro episodio è avvenuto a Covelo, in provincia di Trento. Josephine Tomasi, 54enne di madre congolese e padre trentino, ha avuto una lite con una condomina: è stata rincorsa, spinta e picchiata, e l’altra donna le ha detto: «negra, tornatene nel tuo paese». Tomasi, che è un messo comunale, ha denunciato la donna.