La storia vera raccontata da “Il caso Spotlight”
Stasera su Rai Tre c'è quel film del 2016 sulla vicenda dei giornalisti che scoperchiarono gli scandali sulla pedofilia nell'arcidiocesi di Boston
Il caso Spotlight è un film del 2016 che racconta la storia vera di un’indagine portata avanti da un gruppo di giornalisti del quotidiano Boston Globe nel 2002: riguardava le molestie sessuali compiute dai preti dell’arcidiocesi cattolica di Boston, e i tentativi della stessa arcidiocesi di impedire che giornali o polizia ne venissero a conoscenza. Il film è stato diretto da Tom McCarthy e nel cast ci sono, tra gli altri, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Michael Keaton, Liev Schreiber e Stanley Tucci. Vinse l’Oscar del 2016 per il Miglior Film e la Miglior sceneggiatura originale.
Il film
Il caso Spotlight racconta la storia di Spotlight (“riflettore”, in italiano), un team di giornalismo investigativo interno al Boston Globe, il più longevo che ci sia mai stato negli Stati Uniti. Il film inizia con l’arrivo nella redazione del Boston Globe di Marty Baron, nuovo direttore del giornale (e attuale direttore del Washington Post). Baron vuole rilanciare la squadra di giornalisti d’inchiesta di Spotlight e la prima storia con cui prova a farlo riguarda un sacerdote accusato di abusi su minori. Già negli anni Novanta il Boston Globe si era occupato di alcuni casi simili ma non c’era mai stata una grande e approfondita inchiesta su quanto quei casi fossero tra loro collegati, su quanto in realtà la Chiesa sapesse di quei casi e su come se ne fosse occupata.
L’inchiesta del film si allarga fino a toccare molti altri e sempre più importanti esponenti della Chiesa cattolica di Boston, che vengono accusati di aver coperto quegli abusi, temendone le ripercussioni mediatiche. La storia raccontata dal film è vera: per le loro inchieste su quello che è ora conosciuto come il “Massachusetts Catholic sex abuse scandal” i giornalisti di Spotlight vinsero nel 2003 il premio Pulitzer per il servizio pubblico.
Cos’è il team Spotlight
Il giornalista Timothy Leland ha spiegato che l’idea di creare un gruppo che si occupasse a tempo pieno di giornalismo d’inchiesta gli venne nell’agosto 1970. La propose a Tom Winship, al tempo direttore del Boston Globe, e lui l’approvò. Leland ha scritto: «Winship dette il suo consenso con notevole apprensione – e io accettai il suo sì con altrettanta apprensione. Erano in pochi a credere che l’esperimento Spotlight sarebbe durato più di un anno». Nell’articolo “A distinguished history of digging up the truth“, Scott Allen del Boston Globe ha raccontato cos’era il team Spotlight nei suoi primi anni:
Ancora prima che il Watergate rendesse il giornalismo investigativo una cosa “alla moda”, il team Spotlight – creato sul modello dell’Insight Team del Sunday Times di Londra – raccontò numerosi casi di frodi e abusi: casi di corruzione in città e nello stato, assenteismo dei dipendenti pubblici, un’alta incidenza di casi di leucemia e altre forme di tumore tra i dipendenti del cantiere navale di Portsmouth, in New Hampshire.
Come è iniziata l’inchiesta
Dopo l’uscita del film Martin Baron (Liev Schreiber nel film) raccontò al New Yorker di come nella seconda metà del 2001 era finito a lavorare per il Boston Globe e di come gli era capitato di interessarsi alla questione che riguardava gli abusi su minori da parte di alcuni importanti esponenti della diocesi cattolica di Boston. Baron era arrivato al Globe da un lavoro al Miami Herald e spiegò che quando ancora era a Miami, in Florida, gli capitò di leggere un articolo del Boston Globe che parlava di Father John Geoghan, un prete cattolico accusato di aver abusato di almeno 84 bambini.
Baron spiegò al New Yorker che lo aveva colpito soprattutto il fatto che quella notizia si trovasse nelle pagine locali del quotidiano, e che era quindi considerata poco importante. Baron ha anche raccontato di aver letto un articolo del Boston Globe, sempre su quel tema, che la giornalista Eileen McNamara aveva deciso di concludere scrivendo: «La verità potrebbe non venire mai fuori, perché i documenti sono sigillati». In quegli anni Geoghan e altri preti erano stati processati, ritenuti colpevoli e condannati. Si pensava però fossero casi isolati e non tutti i documenti relativi furono resi pubblici. Il modo in cui il film ricostruisce il caso – come i preti venivano trasferiti da una parrocchia all’altra, come i giornalisti ricostruirono tutto a partire da documenti pubblici e colloqui con le vittime – è affidabile e realistico.
Baron ha raccontato che il suo primo incontro con il team Spotlight fu molto simile a quello che si vede nel film e che chiese a McNamana (Maureen Keiller, nel film) più informazioni sul suo articolo. Baron spiega di aver capito da quel momento che c’erano elementi per un’inchiesta, ma notò alcune resistenze dovute a quanto sarebbe stata difficile e al fatto che si sarebbe dovuti andare contro la Chiesa cattolica di Boston, scrivendo per un giornale in cui più della metà dei lettori si diceva cattolica. Baron decise di approfondire la questione riguardante Geoghan e gli altri preti, per capire se la Chiesa aveva scoperto qualcosa prima dei tribunali e, se sì, perché non aveva fatto nulla.
Come è andata avanti
Sul sito del Boston Globe c’è un’intera sezione dedicata all’inchiesta del team Spotlight e, tra le tante cose, c’è una timeline con gli articoli principali che dal gennaio 2002 al gennaio 2003 hanno fatto nascere e crescere “il caso Spotlight” sulla Chiesa cattolica di Boston. L’allora capo del team Spotlight – Walter “Robby” Robinson, nel film è Michael Keaton – ha spiegato che il film si conclude “alla fine dell’inizio”, cioè quando il giornale pubblicò il suo primo importante articolo sulla vicenda. Dopo quell’articolo molte persone si misero in contatto con il Boston Globe e raccontarono di essere state vittime di casi di pedofilia o di avere informazioni sui preti accusati: «Da quando quel primo articolo fu pubblicato nel gennaio 2002 il team Spotlight e altri giornalisti del Boston Globe scrissero più di 600 articoli che raccontavano storie di preti, vittime, di altri membri del clero e del modo in cui la Chiesa cattolica si stava occupando dello scandalo».
Le inchieste del team Spotlight portarono tra le altre cose alle dimissioni di Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston dal 1984. Law si dimise – dopo molte pressioni – perché accusato di non aver denunciato pubblicamente i casi di pedofilia raccontati dal Boston Globe. Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams, nel film) ha detto che la storia del film si conclude nel momento giusto, altrimenti «avrebbe dovuto raccontare le dimissioni di Law e la quasi bancarotta dell’arcidiocesi di Boston». Michael Rezedes (Mark Ruffalo, nel film) ha detto, sempre parlando del momento in cui finisce Il caso Spotlight: «A quel punto la diga era esplosa. C’erano tutte queste vittime che pensavano di essere sole e soffrivano in silenzio. All’improvviso si sono rese conto di non essere sole. All’improvviso molte di loro volevano parlarne».
Dal momento in cui finisce il film a oggi ci sono stati soprattutto tribunali, denunce e sentenze. Dal luglio 2003 l’arcivescovo di Boston è lo statunitense Sean O’Malley, che si era già occupato di casi di pedofilia in altre diocesi. Nel settembre 2003 l’arcidiocesi di Boston pagò circa 85 milioni di dollari come risarcimento nei confronti di molte delle vittime di abusi e nell’agosto 2011 ha pubblicato una lista con i nomi di 159 preti accusati di pedofilia. Dopo l’uscita del film BBC scrisse che il lavoro del team Spotlight fece partire «un effetto domino globale che ha portato a successive inchieste» in altre parti del mondo.