Le trattative su Brexit si stanno muovendo?
L'impressione è di no, nonostante i toni cordiali dell'incontro di ieri tra May e Juncker e i soli 37 giorni che ci separano dal 29 marzo
Un nuovo incontro tra la prima ministra britannica Theresa May e il presidente della commissione europea Jean-Claude Junker per verificare la possibilità di riaprire le trattative sull’accordo su Brexit si è concluso con toni positivi e cordiali, che però non sono bastati a rassicurare gli scettici sulle reali possibilità che il Regno Unito e l’Unione Europea si mettano d’accordo prima del 29 marzo, il giorno in cui Brexit avrà effettivamente luogo.
In un comunicato congiunto diffuso mercoledì sera, May e Juncker hanno parlato di «trattative costruttive», invitando le rispettive parti a «esplorare le varie opzioni con spirito positivo». Ma secondo il Guardian, i funzionari europei che stanno seguendo le trattative sono piuttosto disillusi da una situazione simile a quella del “giorno della marmotta” del film Ricomincio da capo: cioè che si ripete uguale ogni giorno.
Qual è il problema, il solito
Concretamente, May è andata a Bruxelles per chiedere alle autorità europee di rinegoziare alcune parti dell’accordo che aveva raggiunto nei mesi scorsi: accordo bocciato da parte del Partito Conservatore e dal Partito Democratico Unionista nordirlandese, cioè la maggioranza parlamentare di May. Per evitare un’uscita dall’Unione senza accordo, un’eventualità sempre più concreta che quasi tutti vogliono evitare, May sta disperatamente cercando di ottenere alcune concessioni e garanzie da Bruxelles, per convincere i pezzi di maggioranza che ha perso nelle scorse settimane ad approvare una nuova versione dell’accordo alla Camera dei Comuni.
As @Theresa_May arrives in Brussels with 37 days till Brexit, we’re here to welcome her with this giant billboard in the Place de Brouckère in the city centre. What do you call a Prime Minister whose only policy is something she thinks is *against* the national interest? pic.twitter.com/QFTHK68Ils
— Led By Donkeys (@ByDonkeys) February 20, 2019
Mercoledì, mentre May era a Bruxelles, nel centro della città è stato allestito un cartellone per trollarla: riportava una sua vecchia frase di quando faceva campagna per il “Remain”, e diceva che la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea era nell’interesse nazionale del paese.
Il vero nodo della questione è il cosiddetto “backstop”, cioè quel sistema che in caso di accordo entrerà automaticamente in vigore dopo il 31 dicembre 2020 se non sarà trovata una soluzione per il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. L’ala più radicale dei conservatori teme che il backstop, per come è stato negoziato, possa tenere “intrappolato” il Regno Unito nell’unione doganale europea all’infinito, compromettendo l’attuazione di Brexit. Ma l’Unione Europea nelle scorse settimane ha ribadito in tutti i modi che non intende rinegoziare il backstop.
Quali sono le soluzioni, poche
Non è ancora chiaro cosa speri davvero di ottenere May: probabilmente punta a una soluzione di compromesso, che però non è detto basti agli “hard brexiteers”. La parte dell’accordo su Brexit che l’Unione Europea non ritiene negoziabile è il cosiddetto “Withdrawal Agreement”, che è legalmente vincolante e che contiene materialmente il backstop. Ma Juncker è stato possibilista sull’eventualità di cambiare alcune parti della “Dichiarazione Politica”, un documento di 585 pagine che accompagna l’accordo e che contiene spiegazioni e dichiarazioni di intenti sulle modalità con cui sarà attuata Brexit.
Lo stesso comunicato congiunto si sofferma sulla “Dichiarazione Politica”: da un lato, quindi, sembra che May abbia definitivamente rinunciato a insistere sulla riapertura del backstop vero e proprio, come era già stato anticipato mercoledì. Dopo l’incontro, però, la prima ministra ha ribadito che c’è bisogno di modifiche alle parti legalmente vincolanti dell’accordo perché sia approvato dal Parlamento britannico. Lo specificava del resto chiaramente “l’emendamento Brady”, approvato dai deputati britannici a fine gennaio.
May, quindi, vuole ottenere delle nuove clausole legalmente vincolanti – che non modifichino quelle già esistenti – per rendere certa la natura temporanea del backstop, senza però inserire clausole che l’UE ha già definito inaccettabili: come una data di scadenza per l’accordo o la possibilità per una delle due parti di rescinderlo unilateralmente. Nel comunicato, May e Juncker hanno scritto che le trattative cercheranno di verificare se sia possibile aggiungere dettagli e garanzie che assicurino la natura temporanea del backstop, trovando delle soluzioni che lo possano rimpiazzare dopo un certo periodo e rassicurando chi teme sia una misura perenne. Non è però una soluzione molto diversa da quelle ipotizzate nelle settimane, e che non erano mai sembrate sufficienti per accontentare gli oppositori dell’accordo di May. Un ulteriore risultato per May sarebbe ottenere garanzie più nette che riducano il rischio che il backstop entri in vigore.
E adesso?
A partire da giovedì arriveranno a Bruxelles per trattare il segretario britannico per Brexit Stephen Barclay e il procuratore generale Geoffrey Cox: soprattutto quest’ultimo è visto come la persona che potrebbe convincere parte dei conservatori più radicali a sostenere l’accordo. Secondo il Guardian, il suo piano sarebbe proprio quello di convincere le autorità europee a inserire un cavillo che permetta al Regno Unito di uscire unilateralmente dal backstop con un anno di anticipo, nonostante l’Unione Europea abbia sempre detto che l’unica via d’uscita al backstop accettabile è quella già presente nell’accordo, e cioè una decisione bilaterale.
May e Juncker si incontreranno di nuovo entro la fine del mese. Martedì prossimo, invece, May parlerà al Parlamento per spiegare gli eventuali progressi e lo stato delle trattative. Ma il giorno che molti vedono come quello davvero importante sarà mercoledì 27 febbraio, quando i deputati voteranno un emendamento proposto dalla laburista Yvette Cooper.
Serve a scongiurare l’eventualità del “no deal”, e al momento non sembra avere una maggioranza: ma sui giornali britannici c’è una certa attenzione per quella data, e qualcuno sostiene che l’emendamento possa unire i deputati spaventati dal “no deal”, tra cui i Conservatori moderati e quelli che sostenevano la permanenza nell’Unione. L’emendamento, in breve, prevede che se per allora non sarà stato approvato un nuovo accordo il Parlamento avrà il potere di impedire l’uscita dall’Unione Europea senza accordo chiedendo una proroga rispetto alla data del 29 marzo. Prevede insomma, che il Parlamento prenda il controllo delle trattative.