Cosa sta succedendo in Kashmir
Un gruppo separatista locale ha compiuto il più grave attentato degli ultimi anni contro militari indiani: l'India ha accusato il Pakistan di essere dietro a tutto
di Nadia Corvino
Giovedì della scorsa settimana 46 persone sono state uccise in un attentato suicida contro un convoglio di veicoli militari vicino alla città di Pampore, nello stato indiano del Jammu e Kashmir. Un’auto carica di esplosivo è stata guidata contro uno dei mezzi del convoglio, facendolo esplodere insieme ad altri cinque, in quello che è diventato il più grave attentato compiuto nel Kashmir dal 1989. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo islamista e separatista Jaish-e-Mohammed, e ha causato la reazione dell’India. Il governo indiano ha avviato un’operazione militare contro i miliziani di Jaish-e-Mohammed e lunedì ci sono stati scontri nella zona di Pampore, nei quali sono stati uccisi quattro militari indiani.
Gli eventi degli ultimi giorni hanno provocato un aumento notevole della tensione nel Kashmir indiano, un territorio che da 70 anni è conteso tra India e Pakistan e in cui si è combattuto più di un conflitto. Qui, dove la maggior parte della popolazione è musulmana, operano da molto tempo gruppi armati radicali che vorrebbero l’annessione della regione al Pakistan, o almeno la sua separazione dell’India, e che secondo il governo indiano sono segretamente finanziati e appoggiati dal governo pakistano di Islamabad. Non è chiaro cosa succederà ora, ma secondo diversi analisti la situazione potrebbe peggiorare.
Cos’è il Kashmir indiano, dove non si è mai smesso di combattere
Il Kashmir è una regione divisa in tre parti amministrate dall’India, dal Pakistan e dalla Cina. I conflitti per il suo controllo iniziarono dopo il 1947, anno in cui la colonia britannica indiana fu riconosciuta indipendente dal Regno Unito e si divise in due stati indipendenti, l’India (a maggioranza induista) e il Pakistan (a maggioranza musulmana), che cominciarono a competere per il controllo sul Kashmir: da allora i due paesi hanno combattuto tre guerre, nelle quali sono morte decine di migliaia di persone: l’ultima si concluse nel 2003.
Le tensioni non sono però mai diminuite, anche per i continui attacchi dei ribelli contro le forze governative indiane. Nel 2016, per esempio, ci furono grandi violenze a causa della morte di Burhan Wani, giovane e noto comandante ribelle ucciso dalla polizia indiana durante una sparatoria avvenuta vicino all’area di Kokernag, nel sudest del distretto di Srinagar. Oltre ad avviare una massiccia operazione militare, il governo indiano impose il coprifuoco e disattivò Internet, lo strumento più usato dalla giovane generazione di miliziani separatisti per diffondere il suo messaggio di propaganda. Seguendo la linea sempre più nazionalistica adottata dal suo governo, il primo ministro Narendra Modi decise inoltre di rafforzare il controllo sullo stato del Jammu e Kashmir, inimicandosi ulteriormente le forze politiche musulmane locali.
Il suo partito, il Partito popolare indiano (BJP), terminò quindi l’alleanza con il principale partito locale musulmano, il Partito democratico popolare (JKPDP). Il segretario generale del BJP, Ram Madhav, disse che la decisione era stata presa a causa dell’aumento degli episodi di terrorismo e violenza nella zona. La scelta fu accolta molto criticamente dal JKPDP, che avvisò il governo che la rottura avrebbe potuto provocare nuove tensioni.
Cosa sta succedendo ora
L’attacco terroristico di giovedì della scorsa settimana, il peggiore da decenni, ha spinto il governo indiano ad avviare un’operazione militare molto dura contro i ribelli operanti in Kashmir, e soprattutto ad attaccare frontalmente il Pakistan, anche se per ora solo a parole.
Secondo il governo locale guidato da Satya Pal Malik, e secondo il governo nazionale di Narendra Modi, dietro i gruppi estremisti operanti in Kashmir ci sarebbe il Pakistan, accusato di appoggiare da anni Jaish-e-Mohammed, l’organizzazione che ha rivendicato l’attentato. Jaish-e-Mohammed, letteralmente “Esercito di Maometto”, è un gruppo fondato dal noto religioso musulmano Masood Azhar, uno dei tre uomini che nel 1999 furono scarcerati dal governo indiano in cambio della liberazione dell’equipaggio e dei passeggeri dell’aereo della Indian Airlines sequestrato da un gruppo estremista del Kashmir. Jaish-e-Mohammed, che nel corso degli anni si è reso responsabile di diversi attacchi in India, è stato formalmente messo fuori legge dal governo pakistano, ma secondo diversi esperti ancora oggi continua ad operare e raccogliere fondi in Pakistan con l’appoggio dei servizi segreti. Il Pakistan ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’attentato di giovedì e ha chiesto all’ONU di intervenire per evitare una pericolosa escalation di tensione con l’India.
L’ambiguità del governo pakistano nei confronti del terrorismo, comunque, non è una cosa nuova: se ne parla da anni per i rapporti dell’intelligence pakistana con i talebani afghani e con i separatisti del Kashmir. A causa di questi legami, gli Stati Uniti, storici alleati del Pakistan, minacciano periodicamente il governo di Islamabad di rompere il rapporto di amicizia, senza però ottenere particolare successo.
Come risponderà il governo indiano?
Per il momento, oltre a rafforzare la sua presenza militare nel Kashmir, l’India ha messo sotto pressione il Pakistan tramite la via politica e diplomatica.
La scorsa settimana, dopo l’attentato, l’India ha richiamato il suo ambasciatore in Pakistan per valutare le relazioni tra i due paesi, mossa che lunedì ha fatto anche il Pakistan con il suo ambasciatore a New Delhi. Il governo indiano ha annunciato la sua intenzione di prendere tutte le misure necessarie per «assicurare un completo isolamento» del Pakistan dalla comunità internazionale: tra le altre cose, ha iniziato il ritiro della “clausola della nazione più favorita“, procedura prevista dal diritto internazionale che prevede che i paesi parte di un’intesa si impegnano ad accordare ai prodotti o beni provenienti da un paese terzo condizioni doganali e dazi non meno favorevoli di quelle già stabilite nei trattati commerciali tra gli stati coinvolti.
Secondo diversi analisti, c’è anche la possibilità che Narendra Modi decida di iniziare un’operazione militare al di là del confine con il Pakistan, come fece già nel 2016, soprattutto per mostrarsi in una posizione di forza in vista dell’avvicinarsi delle elezioni generali che si terranno tra aprile e maggio. Un’eventuale offensiva militare, però, potrebbe essere complicata da compiere in questo periodo dell’anno, soprattutto a causa delle intense nevicate che hanno colpito la regione, e potrebbe comportare enormi rischi, anche perché il Pakistan, come l’India, è in possesso della bomba nucleare.