Il mestiere dell’editor
Le cinque regole auree degli insegnanti della Scuola Belleville
“Il mestiere dell’Editor” è il corso della scuola Belleville di Milano che inizia il 20 marzo e che insegna a guardare dentro il testo, per capire come sviluppare una storia e trasformarla in un testo pubblicabile. Alla fine del corso gli studenti incontreranno editori e agenti per stage e collaborazioni.
Nella prima fase del corso, Stefano Izzo analizzerà alcuni casi illustri, dal lavoro di Gordon Lish – fondamentale per “inventare” lo stile di Carver – all’auto-editing di Stephen King, che dimostra come lo scrittore sia il primo editor di se stesso. Riccardo Cavallero racconterà come funziona il mercato editoriale e quali figure contribuiscono alla creazione di un libro.
Nella seconda fase gli studenti lavorano all’editing di brani o capitoli di romanzo, esercitandosi a mettere a fuoco trama, personaggi, voce e stile dell’autore. Nella terza fase editeranno in prima persona un manoscritto, scelto tra i progetti dei corsi di Scrittura di Belleville. Dialogando con la docente Laura Cerutti e con l’autore, si occuperanno non solo di editing ma anche di publishing: copertina, paratesti, lancio.
Aspettando l’inizio delle lezioni, abbiamo chiesto agli editor che insegnano a Belleville le loro cinque regole per lavorare sul testo.
Laura Cerutti
1. Patto di fiducia. Se abbiamo fra le mani un testo da lavorare siamo destinatari di un gesto di grande fiducia: maneggiamolo con la cura e il rispetto che tale gesto chiede. Chi ce l’ha affidato, nondimeno, si aspetta da noi lo sguardo di un occhio professionale, capace di cogliere quanto all’autore o all’autrice sfugge. Essere rispettosi non significa tacere le eventuali fragilità, ma al contrario sottoporle insieme a possibili suggerimenti. È così che si onora il patto di fiducia.
2. Visione dall’alto/Visione dal basso. Non esistono ricette standard nel fare un editing: ogni testo è un individuo, e va considerato nella sua peculiare specificità (seppure non avulsa da eventuali codici di genere letterari etc., che vanno tenuti in conto). L’opera deve essere dunque il più possibile coerente con il mondo che rappresenta, a cui ha dato vita (e farlo al meglio), pertanto il lavoro di editing deve innanzitutto curarsi di questo – sia a livello di editing strutturale, sia a livello di editing minuto. Il lavoro sul testo, infatti, si concretizza sia nel tener d’occhio ed eventualmente sostenere la coerenza e l’efficacia nello stile, nell’intreccio, nell’organizzazione delle parti, nella tenuta dei personaggi (o delle argomentazioni), nell’incipit e nel finale, nella costruzione complessiva, così come nel ritmo – visione dall’alto –, sia nell’intervenire a livello delle singole particelle del discorso – visione dal basso.
3. C’è ma non si vede. Proprio tale coerenza interna (non una presunta correttezza normalizzante che non valorizza le specificità stilistiche di chi scrive) deve guidare ogni proposta – anche al livello più minuto di un intervento sulla punteggiatura o della proposta di un sinonimo. Come nel lavoro di una brava sarta, la cucitura o il rammendo non si devono vedere.
4. Ascolto. È fondamentale essere in ascolto del testo e di chi l’ha scritto. Accade infatti spesso che il testo sappia più di quanto sa il suo autore: rendere consapevole chi scrive di interpretazioni di cui non aveva tenuto conto può aiutarlo a una maggiore messa a fuoco nella revisione, nella comunicazione dell’opera e persino nella scrittura di testi successivi. Ma accade anche che l’autore sappia più dell’opera, che tralasci o dia per scontati aspetti, passaggi, scavi che possono arricchire il testo. Favorire il dialogo continuo fra l’opera e l’autore permette uno scambio arricchente per tutti i soggetti coinvolti: è un lavoro entusiasmante!
5. Pragmatismo. I dubbi, le rilevazioni delle fragilità e le eventuali proposte devono essere esposti con ordine e chiarezza, in modo che le motivazioni sottese siano chiare e l’autore possa decidere con piena comprensione se accettarli, rifiutarli oppure accoglierli tanto da farli propri e avanzare una soluzione alternativa – ed è sempre la strada migliore, la più coerente.
Laura Cerutti è responsabile della narrativa italiana Feltrinelli. Ha lavorato con Roberto Saviano, Maurizio Maggiani, Stefano Benni, Michele Serra. È stata per dieci anni caporedattrice della narrativa italiana Mondadori, lavorando tra gli altri con Paolo Giordano, Niccolò Ammaniti e Walter Siti. Per il corso “Il mestiere dell’Editor” seguirà gli allievi nell’editing di un romanzo, con l’obiettivo di renderlo pubblicabile.
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Stefano Izzo
1. Empatia. Perché l’editing è una critica amorosa, una simbiosi emotiva, un confronto molto profondo con l’Altro. E lo scrittore è un Altro davvero complesso, spesso fragile, che ha bisogno di cure specifiche: ti chiede tanto ma ti dà tanto.
2. Umiltà. Perché per lavorare insieme su un testo occorre reciproco rispetto ma soprattutto il riconoscimento del genio dell’autore da parte dell’editor. Bisogna saper fare un passo indietro, rimanere nel backstage, rinunciare alla visibilità e alla tentazione di imporre le proprie scelte se non necessarie. Fare un editing non significa applicare un filtro al testo ma porre al suo autore le giuste domande, affinché ne diventi più consapevole e sappia individuare lui stesso la strategia più efficace per valorizzarlo.
3. Attenzione. Perché l’editor deve sorvegliare tutto – la grammatica, lo stile, la struttura, il montaggio, i personaggi, l’ambientazione, i temi, e persino le lacune, ciò che potrebbe esserci e non c’è – e leggere ogni pagina non solo dal proprio punto di vista ma da quello di tutti i possibili lettori.
4. Visione. Perché l’editing è un lavoro di comprensione e organizzazione. Per dare ordine, direzione ed equilibrio a un libro, serve averne un’idea precisa e sufficientemente distaccata. Serve osservarlo in rapporto a tutto ciò che gli ruota intorno, compreso il mercato.
5. Spirito di squadra. Perché su un libro si agisce in tanti e in fasi diverse: redattori, grafici, addetti stampa, commerciali, marketing, eccetera. È l’editor che deve informare il lavoro degli altri ed esserne il cardine. E il suo entusiasmo deve contagiare gli altri.
Stefano Izzo è responsabile della narrativa italiana per DeA Planeta. È stato per anni editor alla narrativa italiana Rizzoli, lavorando su romanzi di Walter Siti, Sebastiano Vassalli, Alessandro Bertante, Silvia Avallone, Giuseppe Catozzella, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Giuseppina Torregrossa, Andrea Vitali e molti altri. A Belleville tiene il corso serale “Il mestiere dell’Editor”.
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Alberto Rollo
1. Ascoltare. Il testo è come musica. Bisogna stare ad ascoltare. E allora ecco che avvertiamo con che ritmo procede la narrazione, dove la narrazione è muta, dove si sovrappongono suoni incompatibili, dove entra un’altra musica inattesa. Solo ascoltando è possibile procedere per fare un buon lavoro.
2. Chiedere. Interrogare l’autore, farlo parlare, di sé, dell’opera, dell’officina segreta (o non segreta), di fidanzamenti e sfidanzamenti, insomma stare dentro la vita sua e non citare mai la propria: il rapporto con l’autore non è paritario e l’opera non crea democrazia del sentire. Tutto ciò che si chiede ha a che fare con la cortina di sicurezza da creare intorno al lavoro. L’opera è quello che davvero conta.
3. Star dentro. È necessario abitare l’opera come se fosse la casa che vorremmo affittare. Si tratta proprio di misurare la luce, gli spazi, le zone misteriose, l’arredamento possibile, tutto. Meglio visitarla spesso e sempre insieme all’autore. È all’autore che bisogna chiedere come si sente lì dentro, e dove vuole dormire, e che infissi vuole. A volte standoci dentro, l’autore capisce che non ci sta bene – e allora è il momento di intervenire: vogliamo andare avanti? Vogliamo lasciar perdere?
4. Lasciarsi tormentare. Dall’opera non dall’autore. Le migliori intuizioni vengono di notte o al mattino presto. Poi non bisogna avere fretta di comunicarle. Arriva sempre il momento giusto ma non siamo noi che lo decidiamo.
5. Essere idiosincratici. Non bisogna avere paura di comunicare le nostre idiosincrasie. L’autore vuole la nostra soggettività critica non l’ipotetico camice bianco del tecnico. La tecnica non esiste, o esiste soltanto quando è entrato in gioco il resto.
Alberto Rollo è nato a Milano nel 1951. È stato a lungo direttore letterario della casa editrice Feltrinelli, dove ha lavorato per oltre vent’anni. Successivamente è stato direttore editoriale per Baldini&Castoldi e dal 2018 si occupa di narrativa italiana per Mondadori. Seguirà gli allievi del corso serale di Scrittura nella stesura dei loro progetti.
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Edoardo Brugnatelli
Prima regola: Torna lettore
La tua prima (ma anche la seconda, la terza ecc.) lettura di un testo deve essere sempre quella di un semplice lettore, che ha preso il libro in uno scaffale della libreria e non sa nulla dell’autore. È una regola tipicamente zen nella sua totale paradossalità: tanto più sei in grado di fare un editing quanto meno ti poni di fronte al testo come editor.
Seconda regola (strettamente legata alla prima): Dimentica tutto quello che hai letto prima
Sei alla ricerca di qualcosa di nuovo, non di una ripetizione o di una eco. Non essere prescrittivo davanti a quello che leggi. Almeno all’inizio. Non aspettarti nulla, né nel bene né nel male. Predisponiti a essere sorpreso.
Terza regola: Dio è nel particolare
Non c’è un singolo punto del testo che non abbia una sua rilevanza. Certo, ci sono parti che nell’economia della lettura sono più importanti, hanno maggior peso e altre che hanno funzioni ancillari. Ma nell’ambito dell’intero scritto ogni singola riga conta.
Quarta regola: L’editing non è uno sprint: è una maratona ed è per giunta un corpo a corpo
Inevitabilmente l’editing finisce per dar vita a un rapporto di coppia prolungato e molto intimo che richiede chiarezza e condivisione di intenti. Come nelle coppie migliori ci deve essere lo spazio per litigare, tanto e a fondo.
Quinta (la più importante): Il tuo obiettivo finale è quello di scomparire senza lasciare traccia
Se vuoi scrivere e affermarti in un certo modo sei assolutamente libero di farlo. Ma se stai facendo un editing, il tuo lavoro è ben fatto solo se alla fine nessuno si accorge che ci sei stato. L’editor perfetto è quello tacciato di essere un mangiapane a ufo, un inutile.
Ne avrei anche una sesta: Non dare mai risposte. Mai
All’autore fai un sacco di domande, solleva una miriade di problemi, instilla più dubbi che puoi. Sta all’autore risolvere i problemi, rispondere alle domande, sciogliere i dubbi.
Edoardo Brugnatelli lavora in Mondadori da quasi trent’anni, prima come redattore, poi come editor e direttore editoriale. Ha creato la collana Strade Blu, che ha diretto per oltre tredici anni e dove ha pubblicato autori italiani e stranieri di narrativa e di non fiction: da Dave Eggers a Neil Gaiman, da Valerio Evangelisti a Roberto Saviano. Insegna alla Scuola annuale di Scrittura di Belleville.
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Cristina Tizian
1. Essere un lettore infaticabile e possedere una solida conoscenza della lingua italiana e delle dinamiche narrative.
2. Ascoltare bene, “con occhio e orecchio prensile”, con la mente aperta e attiva.
3. Stabilire un dialogo sincero, fluttuante e maieutico con lo scrittore per sviluppare una relazione di reciproca fiducia.
4. Guidare lo scrittore a tendere verso sé stesso, verso la naturale estensione del proprio stile, del proprio ritmo, della propria voce.
5. Condurre lo scrittore a una più alta coscienza critica del testo.
Cristina Tizian è book editor e literary editor & agent di narrativa italiana e letterature comparate. È stata caporedattrice dell’editore PeQuod, che si è distinto per l’attività di scouting di esordienti che si sono poi affermati fra i più significativi scrittori italiani come Andrea Bajani, Gabriele Dadati, Mario Desiati, Diego De Silva, Giuseppe Genna, Martino Gozzi, Pierfrancesco Majorino, Marco Mancassola, Piersandro Pallavicini. Insegna al corso serale di Scrittura di Belleville, guidando gli allievi nello sviluppo dei loro progetti.
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Giacomo Papi
1. Guardare al cannocchiale
L’editor ha il dovere e il privilegio di esercitare uno sguardo d’insieme sul testo. Grazie alla sua visione panoramica può suggerire interventi sulla struttura e sul ritmo, indicando le parti da tagliare, quelle da spostare o da riscrivere. Il suo lavoro assomiglia a quello dell’architetto e dell’ingegnere, consiste anche nel pesare il testo.
2. Guardare al microscopio
L’editor deve sorvegliare le tracce che lascia chi scrive senza volerlo perché la scrittura è prima di tutto un gesto, anche spontaneo, in cui possono rimanere impigliati ausiliari non necessari, aggettivi inutili, sintassi farraginose che, per fortuna, possono scomparire prima di diventare libro.
3. Essere sinceri
Prima che il libro sia stato scritto e dopo che è stato pubblicato è possibile, e a volte necessario, incoraggiare e blandire la vanità dell’autore. Quando si lavora sul testo, invece, si ha il dovere della sincerità. L’editor deve indicare quello che non va, a volte con delicatezza, altre con durezza, accettando che lo scrittore decida il contrario.
4. Scomparire
L’editor deve provare piacere nell’arte della sparizione. È la levatrice, il cui nome non lascia traccia, e che non deve imporre all’autore la propria idea di narrazione o di stile.
5. Fare scomparire
Ma il lavoro segreto, e più difficile, consiste anche nel fare sparire l’autore e comparire il testo. L’editor lavora per cancellare le parole in cui l’autore si esibisce in modo da lasciare al lettore soltanto quelle che mostrano la storia, che è l’unica cosa importante.
Giacomo Papi dirige la scuola Belleville e la piattaforma di scrittura e lettura online TYPEE. Ha collaborato con Severino Cesari, fondatore di Einaudi Stile Libero, ed è stato il primo editor di Michela Murgia e Omar Di Monopoli. Ha scritto e curato una decina libri (il primo: Era una notte buia e tempestosa nel 1993 – l’ultimo: Il censimento dei radical chic nel 2018), fondato e diretto una casa editrice (Isbn edizioni), lavorato in un giornale (Diario) e collaborato con molti altri (al momento scrive per Repubblica, il Venerdì e il Post), e lavorato come autore per la tv (Che tempo che fa).