La storia della principessa Latifa, che aveva provato a fuggire da Dubai
La fuga – pianificata per anni – durò meno di una settimana: la principessa fu intercettata dagli uomini di suo padre, lo sceicco di Dubai, e di lei non si era saputo più niente fino a dicembre
Nelle ultime settimane si è parlato di nuovo della storia della principessa Latifa bint Mohammed al Maktoum, una delle figlie dello sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum, primo ministro degli Emirati Arabi Uniti ed emiro di Dubai, che nel 2018 aveva provato a scappare dal suo paese e che era stata però intercettata da alcuni uomini di suo padre e ricondotta a Dubai. Dopo quel momento, per mesi nessuno aveva più avuto sue notizie fino a quando poco prima di Natale erano state pubblicate delle foto che la ritraevano in compagnia di Mary Robinson, ex presidente d’Irlanda ed ex commissaria dell’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) nel palazzo della sua famiglia a Dubai.
Il New York Times ha ricostruito il tentativo di fuga della principessa, pianificata per anni con l’aiuto della sua istruttrice finlandese di capoeira, Tiina Jauhiainen. La fuga era durata appena pochi giorni: dopo essere riuscita a lasciare il paese per andare in Oman, Latifa si era imbarcata sullo yacht di proprietà di un cittadino francese, Hervé Jaubert, per arrivare negli Stati Uniti, dove aveva intenzione di chiedere asilo, attraverso l’India. Era stata però trovata e riportata indietro il 4 marzo, dagli uomini di suo padre. Temendo che la sua vita fosse in pericolo, Latifa aveva filmato un video prima di partire come garanzia se l’avessero scoperta.
Nel video Latifa racconta della condizione in cui sono costrette a vivere le donne nel suo paese, comprese le donne nella sua famiglia. Quando aveva 14 anni, per esempio, sua sorella maggiore, Shamsa, fuggì di casa durante un viaggio nel Regno Unito. All’epoca, alcuni uomini inviati dal padre riuscirono a rintracciarla, mettendo sotto sorveglianza il telefono di un’amica a cui la ragazza telefonava spesso: la trovarono in una strada di Cambridge e la costrinsero a salire su un’auto. Latifa ha detto che da allora Shamsa è tenuta sotto sorveglianza, sedata e drogata.
Latifa aveva già cercato di fuggire una prima volta nel 2002, ma era stata trovata quasi subito, torturata e segregata in una parte della tenuta familiare chiamata “la Tenda”. Gli uomini di suo padre le avevano detto che l’ordine iniziale era quello di lasciarla morire, ma lei rimase invece in quel carcere per tre anni, dal giugno del 2002 all’ottobre del 2005, in totale isolamento, senza niente per potersi lavare e con un materasso sudicio su cui dormire. Nonostante Dubai in Occidente sia diventata ormai sinonimo di lusso e ricchezza, e nonostante lo sceicco si stia impegnando formalmente per promuovere i diritti umani e delle donne, la realtà raccontata nel video è molto diversa: Latifa descrive il padre come «un uomo malvagio», interessato solo a proteggere la propria reputazione e senza scrupoli nell’eliminare le persone che lo ostacolano o ne compromettono il nome. Latifa racconta anche che una delle sue sorelle è stata tenuta rinchiusa in una gabbia per colpa del suo atteggiamento considerato troppo ribelle dalla famiglia, e che una delle mogli di suo zio è stata uccisa dopo la morte del marito perché «parlava troppo».
Dopo il 2005, a 19 anni, Latifa ha vissuto rinchiusa nella reggia di famiglia: ogni volta che si muoveva era seguita da una domestica, non poteva frequentare le case dei suoi amici, ma solo luoghi pubblici dove poteva essere controllata e seguita dalle guardie di suo padre. Le era stato vietato di studiare, non poteva viaggiare e il suo passaporto era stato sequestrato dal padre. Nel periodo subito dopo i suoi tre anni di prigionia racconta di aver passato tutto il suo tempo assieme agli animali della tenuta ed evitato il contatto con tutti i membri della sua famiglia, perché non poteva fidarsi più di nessuno, compresa sua madre, che non avevano mai mostrato un briciolo di compassione per lei.
A fine di febbraio 2018 la principessa aveva tentato di scappare di nuovo, ma la nave su cui si trovava era stata intercettata il 4 marzo a meno di 80 chilometri al largo delle coste dell’India. La donna che si trovava con lei, Jauhiainen, ha raccontato che alle 10 di sera si trovavano insieme sottocoperta. Dopo aver sentito urla e spari si erano chiuse nel bagno, ma la cabina si era riempita di fumo ed erano state dunque costrette ad uscire. Secondo Jauhiainen la Guardia costiera indiana aveva attivamente partecipato all’incursione in coordinamento con le autorità degli Emirati Arabi Uniti. Jauhiainen ha detto in seguito di essere stata minacciata con una pistola, di essere stata costretta a mettersi a terra con le mani legate dietro la schiena, mentre gli uomini sul ponte continuavano a gridare in inglese: «Chi è Latifa?».
La versione ufficiale della famiglia è che Latifa sia stata rapita da Hubert e Jauhiainen per chiedere un riscatto. A metà aprile con un comunicato stampa il governo di Dubai aveva fatto sapere che la principessa era «sana e salva con la sua famiglia» e che tutta la storia della fuga era «una questione interna, trasformata in una soap opera a sua volta divenuta uno schema impazzito per offuscare la reputazione di Dubai e dello sceicco Mohammed». I compagni di fuga di Latifa erano tutti stati accusati di avere dei precedenti penali e di essere contro l’Islam.
Per mesi non si avevano più avute notizie della principessa. Poi, prima di Natale, erano state pubblicate delle foto in cui si vedeva Latifa in compagnia di Mary Robinson, ex presidente irlandese ed ex commissaria dell’UNHCR, che aveva incontrato la principessa su richiesta della sua famiglia: Robinson aveva detto che Latifa stava ricevendo le cure necessarie e il sostegno di cui aveva bisogno, anche se molti giornali avevano notato che dalle foto la principessa sembrava molto confusa.
«Adesso questa è una questione che riguarda la famiglia» aveva detto Robinson, attirandosi le critiche degli attivisti e degli amici di Latifa che stanno portando avanti una causa per la sua liberazione, per aver accettato la linea ufficiale di Dubai, nonostante i chiaroscuri della vicenda. Gli amici di Latifa avevano detto che da quando la conoscevano non aveva mai sofferto di disturbi psichiatrici e che la sua condizione poteva essere il risultato di mesi di prigionia o di droghe somministratele per tenerla buon In seguito alle critiche, Robinson aveva poi rilasciato una dichiarazione affermando che la sua valutazione era stata fatta «in buona fede e al meglio delle mie possibilità», e aveva aggiunto che «la principessa era evidentemente in uno stato vulnerabile».
A gennaio uno degli avvocati che stava lavorando con gli attivisti per la liberazione di Latifa ha improvvisamente abbandonato il caso e i suoi amici che ancora vivono a Dubai si sono rifiutati di parlare con il New York Times per paura di ritorsioni.